Dopo l’esordio abbastanza convincente contro il terraiolo argentino Mariano Navone, Matteo Berrettini è chiamato a una prova di tutt’altro livello, a Monte Carlo: lo attende Sascha Zverev.
Il numero 2 ATP, e testa di serie numero 1 di tutti i tornei a cui partecipa fino a quando Jannik Sinner rimarrà fuori per la sospensione concordata con la Wada, sta in realtà soffrendo oltremodo questa situazione di pressione “non richiesta”.
Ma la sfida sarà molto importante anche per lo stesso Berrettini, per dirci a che punto è nella sua rincorsa verso un tennis che metta definitivamente in pericolo tutti i migliori. E infatti, nell’ultima parte di questo viaggio, ci occuperemo anche di lui.
Sascha Zverev e la sindrome dell’impostore
Quasi 8 anni fa, dopo aver vinto in pochi mesi Monaco, Roma e Halle, Sascha Zverev aveva appena compiuto 20 anni e il mondo sembrava prossimo a cadere ai suoi piedi. Dietro ai Big 3, che al tempo erano Big 4 perché si era nel corso del breve ma intenso interregno di Andy Murray, pareva tutto pronto ad accogliere questo lungagnone tedesco di origini russe come legittimo erede di quella sconfinata nobiltà. Al tempo, Jannik Sinner doveva ancora compiere 16 anni e Carlos Alcaraz aveva appena spento 14 candeline e si dilettavano distruggendo i pari età.
Zverev e gli Slam: aspettando Godot
Il passaggio di consegne, però, tardava. Nonostante Roger Federer, Rafa Nadal e Novak Djokovic avessero 36, 31 e 30 anni, si divisero tutti e 13 gli Slam successivi. Poi arrivò il Covid e lì finalmente la prima chance di Sascha di portare a casa uno Slam, in quello strano centrale di Flushing Meadows senza pubblico. Era anche avanti per 2 set a 0 contro Dominic Thiem, ma nemmeno quello bastò per rompere il ghiaccio.
Jannik, Carlos e il sorpasso
Nel frattempo, Federer si era fatto ormai da parte e gli acciacchi di Nadal erano ormai una costante. Ma già all’orizzonte si affacciavano quei due ragazzini, che minacciavano di occupare i vertici del tennis mondiale. “Ehi, ma c’ero prima io”, avrebbe forse voluto dire Sascha. Soprattutto, sembrava che ci fosse finalmente un po’ di spazio anche per lui.
Il crack del 2022 e i dubbi sulla ripresa
Nella semifinale del Roland Garros 2022 contro Rafa Nadal, tutto sembrava finalmente pronto al passaggio di consegne. Ma il destino è per definizione beffardo e una brutta caduta gli fa girare tremendamente male la caviglia. L’infortunio è di quelli seri, che mettono a repentaglio carriere, più che annate. Sascha Zverev deve ripartire da zero o quasi, le debolezze caratteriali che aveva dimostrato nella sua fallita scalata al vertice mondiale del tennis imponevano forti dubbi anche sulla sua capacità di recuperare.
La resurrezione di Sascha e la scoperta più crudele
Sascha però smentisce tutti. Con una pazienza davvero straordinaria, programma il suo riavvicinamento al tennis. Che non solo riesce, ma il tedesco sembra anche più forte di prima. A due anni dal crack alla caviglia, torna in finale al Roland Garros dove però perde ancora da una situazione di vantaggio, stavolta 2 set a uno e contro Carlos Alcaraz.
Qui si apre una nuova frontiera del dramma sportivo che Zverev si trova costretto a vivere. Un dramma dorato, sia ben chiaro, perché parliamo di un atleta che guadagna milioni girando il mondo per giocare a tennis. Ma è pur sempre un dramma, per una crudele ragione: con una grande forza di volontà si era riguadagnato il sogno di rompere il ghiaccio vincendo finalmente uno Slam, che a un certo punto sembrava svanito del tutto, ma anche stavolta non era abbastanza.
Così, quella contro Sinner all’Australian Open 2025 è più che una finale persa, perché somiglia tanto a una presa di coscienza definitiva e che l’italiano, nel suo spietato cannibalismo agonistico, ha scoperchiato con veemenza. In precedenza, nelle due finali perse contro Thiem e Alcaraz, Sascha Zverev aveva avuto delle chance, un numero variabile ma ben presente di recriminazioni. Contro Sinner non ce n’era stata neanche una.
Da lì lo scoramento che non si è neanche curato di nascondere. Fino ad allora, era stato così impegnato in quella feroce e stoica rincorsa per recuperare dal grave infortunio, da non aver avuto neanche il tempo di interrogarsi, sulle sue reali chance di fronte ai nuovi dominatori del tennis. Il KO con Sinner lo aveva – semplicemente – lasciato senza difese.
Il migliore della lost generation
All’improvviso, Alexander Zverev ha realizzato che essere riuscito in un’eroica impresa, tornare più forte di prima dopo un infortunio che avrebbe potuto chiudere la carriera, non era comunque abbastanza.
Della generazione di mezzo, i nati negli anni ’90 schiacciati tra i big 3 e i nuovi eroi, è nettamente il migliore: più costante dei vari Fritz, Tsitsipas, Tiafoe, de Minaur, Rublev, Khachanov, Humbert e persino di Medvedev e Thiem, che pure qualche Slam sono riusciti a vincerlo. Ma non è comunque abbastanza.
Sascha Zverev e l’idea di sparire dal campo
La successiva sospensione di Jannik – con relativa assenza forzata del campione azzurro – era in teoria un’occasione per approfittarne. Ma Sascha si sarà anche chiesto “approfittare di cosa?”, senza riuscire a darsi una risposta certa. Arrivare al numero 1 ATP era sicuramente un obiettivo possibile, seppure già in partenza non semplice. Però, riuscirci quando l’autostima è ridotta ai minimi storici diventa una missione impossibile. Ecco allora la brutta figura con Comesana, ecco le sconfitte con Tien, Griekspoor e Fils che in teoria ci possono anche stare.
Il problema è che questa crisi di Zverev non si risente nelle cifre. Nel post-Australian Open ha un bilancio di 6 vittorie e 5 sconfitte, ma questi risultati non sono dovuti a percentuali così peggiori di prime palle, o di punti in risposta. Zverev sparisce nei momenti che contano, in una sorta di coazione a ripetere che cercherà di interrompere a Monte Carlo. “Serve una scintilla”, ha detto recentemente. Ha ragione, ma anche no.
Matteo Berrettini, l’altra rinascita
Mercoledì, al Country Club di Monte Carlo, dall’altra parte del campo ci sarà un’altra storia di rinascita, di cui abbiamo parlato più volte. Matteo Berrettini è oggi un giocatore persino più completo di quello che era arrivato al #6 Atp e soprattutto alla finale di Wimbledon, ma gli manca sempre qualcosa. La sconfitta contro Fritz a Miami non è stata netta, ma è avvenuta contro un giocatore che ha a sua volta problemi nell’affrontare gli avversari “top”.
Matteo non ha quel problema di autostima, perché la sua forza mentale si è letteralmente alimentata con i guai di varia natura che è stato costretto a superare. E questo si è tradotto anche in progressi importanti sul campo. Il successo su Djokovic dello scorso febbraio, seppure avvenuto contro un Nole in versione depotenziata, è un segnale di progresso nella convinzione su ciò che si fa, oltre a quello squisitamente tecnico.
La sua settima sfida a Sascha Zverev (che è in vantaggio 4-2) avrà anche questo sapore: uno scontro fra due modi diversi di lasciarsi alle spalle i guai, ma anche di fronteggiare i propri limiti.