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Il greco Stefanos Tsitsipas è solo l’ultimo esempio della lunga letteratura, presente nel tennis, sul difficile rapporto dei tennisti con i propri genitori, soprattutto quando diventano coach o manager.

Stefanos Tsitsipas licenzia (di nuovo) suo padre come coach

“È con il cuore a pezzi che annuncio la fine della collaborazione con mio padre come coach. Preferisco mantenerlo come padre, e solo come quello. La filosofia ci insegna che la saggezza arriva dalla comprensione dei nostri limiti e dal riconoscimento dei nostri errori. “

Quelle che avete appena letto sono le prime parole di un lunghissimo post pubblicato da Stefanos Tsitsipas sul suo account X, poche ore dopo la sorprendente sconfitta patita a Montreal contro Kei Nishikori. Un KO pesante, anche considerando che il 34enne giapponese è preciptato quasi al n.600 del ranking ATP e non batteva un top 20 da più di 3 anni. Si è trattato della sconfitta numero 15, per il greco, in questo 2024 con pochi alti e molti bassi. Il momento per lui è molto critico, ma questo tipo di situazioni è per lui abbastanza abituale, perché il rapporto con i genitori (entrambi) non è certo burrascoso solo da oggi.

Stefanos Tsitsipas è figlio di Apostolos e di Julia Salnikova, ex tennista russa poi naturalizzata greca dopo il matrimonio con Tsitsipas senior. Fin da piccolo, Stefanos ha convissuto con pressioni molto alte, come si evince anche dalla seconda parte del suo post.

“Mio padre ha cercato negli ultimi anni di allenarmi, crescermi nel modo giusto e fornirmi conoscenza e saggezza, sia dentro che fuori dal campo. Lo ringrazio per questo. Lo ringrazio per i sacrifici e le sofferenze che ha sopportato per rendere questa impresa un successo. D’ora in poi il suo ruolo rimarrà entro i confini del ruolo paterno, e solo in quello. Mio padre continuerà a viaggiare con me e sarà lì per sostenermi e fornirmi assistenza fuori dal campo, come ho sempre desiderato. Ho affidato a mio padre il ruolo di allenatore per così tanti anni e considero la nostra partnership un successo. Non so chi prenderà il suo posto e non sono ancora in grado di decidere. Quello che so è che è ora di lasciare che questo capitolo e questa fase si chiudano, e provare a scriverne uno nuovo. Siamo entrambi d’accordo e speriamo di concentrarci prima sul nostro lato umano, poi sul resto. Accettare i miei errori e cercare di correggermi fa parte del mio percorso di atleta, e vi assicuro che continuerò a lavorare duro per migliorarmi, sia dentro che fuori dal campo. Spero che questa esperienza sia una lezione per me e per tutti coloro che lottano per trovare il giusto equilibrio nella propria vita.”

Tsitsipas aveva già mollato il padre, l’ultima volta lo scorso anno, affidandosi momentaneamente a Mark Philipoussis. La collaborazione sembrava anche dare i suoi frutti, ma la coabitazione con papà Apostolos non deve essere stata facile. Dopo un tira e molla, Tsitsi aveva lasciato definitivamente il coach australiano dopo il disastroso US Open 2023 (ko al 2° turno dal qualificato svizzero Dominic Stricker), per riabbracciare il contestato padre ancora una volta.

Mamma Julia e le critiche alla Badosa

In tutto questo, non bisogna dimenticare mamma Julia, che non si fa sentire spesso ma quando lo fa “sposta”, come in occasione delle critiche a Paula Badosa, fidanzata di Stefanos definita una ragazza problematica, lamentando peraltro di non essere stata interpellata dal figlio circa la sua scelta…

Da Agassi a Lucic a Pierce, breve storia dei papà-mostri nel tennis

La commistione tra pubblico e privato, nella fattispecie tra coach/manager e genitore, comporta da sempre equilibri molto fragili da mantenere. La storia del tennis è piena di casi, più o meno famosi, di padri-padroni, o persino violenti, nei confronti di figli o figlie.

Nel meraviglioso “Open“, Andre Agassi ci aveva raccontato come fosse arrivato a odiare il tennis, per via delle pressioni che il padre Emmanoul “Mike” aveva sempre messo addosso al figlio. E sembra un caso abbastanza simile a Tsitsipas quello di Camila Giorgi, se non altro per quel rapporto amore-odio con il babbo-coach, dal quale l’italiana non è mai realmente riuscita a separarsi.

Purtroppo, il tennis femminile è molto ricco di casi ancora più critici, soprattutto di padri violenti. Era finito nelle cronache il caso di Mirjana Lucic, figlia dell’ex decathleta croato Marinko, che l’aveva maltrattata per anni. Mirjana è poi riuscita a scappare dal padre e alle sue percosse, trasferendosi negli USA Insieme alla madre e ai due fratelli.

Tristemente famoso è anche il caso di Damir Dokic, ex camionista nonché padre di Jelena, arrivata in carriera al n.4 al mondo ma chissà cosa avrebbe potuto fare senza quel rapporto burrascoso e i maltrattamenti subiti da papà. Jelena Dokic aveva raccontato tutto nella sua autobiografia: “Tutto è cominciato praticamente dal primo giorno in cui ho preso in mano una racchetta da tennis. La spirale, nel giro di poco tempo è andata fuori controllo.”

Cacciato da diverse tribune di tornei anche per ubriachezza molesta, papà Dokic fece ovviamente sentire negativamente la sua influenza sulla figlia. Jelena fu vittima di gravi stati di depressione e la sua carriera, nonostante un ritorno di fiamma nel 2009, si è poi chiusa nel 2012.

E che dire di Mary Pierce? “Ho giocato a tennis perché non avevo scelta”, raccontava qualche anno fa l’ex tennista franco-canadese. “Ho dovuto vincere perché, se non lo avessi fatto, mio ​​padre sarebbe diventato violento e avevo paura di quello che sarebbe successo. La paura era l’emozione trainante.”

Coachata dal padre fino ai 18 anni, poi Mary era riuscita a liberarsi di lui, gravato peraltro da un ordine restrittivo nei confronti della figlia. Pierce, nonostante ciò, aveva dovuto assumere una guardia del corpo per timore di ritorsioni.

I rischi dei papà-coach e i figli da spremere

Nel caso di papà Pierce, con cui poi Mary si è riappacificata, le motivazioni erano più che altro di natura economica. Questa è una molla pericolosa, insieme alla frustrazione di voler trasferire sui figli obiettivi che non si è riusciti a realizzare in proprio.

Senza una preventiva risoluzione di eventuali conflitti interiori, proporsi come coach del proprio figlio/figlia è un’arma a doppio taglio. Troppo alto il rischio di transfer dei propri obiettivi, ma anche dell’identificazione dei propri figli come gallina dalle uova d’oro, caricandoli di aspettative che, nel migliore dei casi, privano gli stessi figli della propria infanzia o adolescenza.

In generale, chi intraprende carriere sportive professionistiche di alto livello, deve comunque accettare diverse rinunce rispetto alla maggior parte dei propri coetanei. Ma tutto questo deve essere sempre accompagnato da uno sviluppo armonico della persona e del suo equilibrio mentale, cosa che non sempre un genitore è in grado di vedere o di poter garantire.

Sinner family, un esempio da seguire

In tal senso, un esempio da seguire appare quello di Hanspeter e Siglinde, genitori di Jannik Sinner. Se il nostro campione è arrivato a 22 anni al numero 1 del mondo e, più in generale, dove nessun tennista italiano era mai riuscito in precedenza, è anche merito di due genitori che hanno rispettato il proprio ruolo. Facendosi sentire quando serviva, ma senza trasferire sul ragazzo i propri sogni e le proprie aspettative perdute.