Il 2024 di Lorenzo Musetti sembrava avere tutte le caratteristiche di un annus horribilis, con il carrarino in piena crisi di identità. Dopo la batosta della rimonta subita al Roland Garros da Novak Djokovic, tuttavia, qualcosa è cambiato: nel gioco, ma soprattutto nella testa del ragazzo. Proviamo a capire cosa dobbiamo aspettarci da lui.
Dal Roland Garros all’erba che non ti aspetti: come è cambiata la stagione di Lorenzo Musetti
Il 1 giugno scorso, nel cuore della notte parigina, si consumava una di quelle rimonte che sono da anni una sorta di marchio di fabbrica della dominazione di Novak Djokovic nel tennis contemporaneo, ma anche una di quelle che fanno malissimo a chi le subisce. Nella fattispecie, Lorenzo Musetti. Avevo anche scritto un articolo sulle parole – forse un po’ inopportune – da parte del suo team, che potrebbero essere state inconsapevole stimolo per l’avversario.
Ad ogni modo, affidandoci ai numeri che raramente raccontano qualcosa di difforme dalla realtà, fino a quel 1 giugno il 2024 di Musetti si sintetizzava con un mediocre 50%: 17 vittorie, 17 sconfitte.
Lorenzo si avviava a scivolare fuori anche dalla top 30, qualcosa che appariva come una bestemmia considerando il suo talento, ma che era il risultato di una serie di prestazioni non all’altezza, e di un feeling momentaneamente smarrito. In tal senso, la breve stagione su erba non si presentava certo con canoni salvifici, quanto piuttosto come una sorta di passaggio obbligato, sperando che non succeda nulla di disastroso. E invece, alla fine, proprio i prati ci hanno restituito un giocatore rinato.
Prima la semifinale di Stoccarda, ma soprattutto il bellissimo Queen’s e la pazzesca semifinale a Wimbledon, hanno ricollocato Musetti dove gli spetta, e forse non è ancora abbastanza.
Perché l’erba sembrava nemica del “vecchio” Musetti
Eppure, l’erba non sembrava la superficie più adatta per aiutare un giocatore in crisi di fiducia. Lì il tennis non è soltanto più veloce, perché i giocatori devono combattere sia con i rimbalzi a volte irregolari, che con una difficoltà a mantenere l’equilibrio che è unica, proprio tipica del tennis su green. I potenziali problemi di un giocatore come Lorenzo Musetti sull’erba erano sostanzialmente di due ordini:
- mentale, perché il giocatore deve più spesso fare ricorso alla sensibilità del tocco. E il tocco, che certo non è un difetto del giovane toscano, risente negativamente di un approccio mentale errato, o di momenti di mancanza di fiducia nei propri mezzi
- tecnico, perché Musetti ha due fondamentali molto belli ma anche dai movimenti molto ampi, che su erba possono essere penalizzanti
Tutti questi dubbi sono stati però progressivamente spazzati via. Le prestazioni di Stoccarda e soprattutto Queen’s hanno dato convinzione a Lorenzo, che poi a Wimbledon ha trovato distanze e feeling totale con la palla. Proprio a Londra abbiamo visto come Lorenzo Musetti è capace anche di accorciare i movimenti dei due fondamentali, in particolare con il dritto.
L’innata sensibilità del rovescio, e la sua capacità di variare angoli, lunghezza, potenza e rotazioni con questo colpo, hanno completato l’arsenale di un giocatore improvvisamente proiettato nell’elite della superficie.
Il click mentale di Lorenzo
Ma il vero “click” di Lorenzo Musetti è stato quello mentale, e lo si è capito definitivamente nel ritorno sulla terra battuta. A Umag e soprattutto nel torneo olimpico di Parigi, abbiamo visto un Lorenzo in ultra-fiducia, uno stato di grazia che però non è parso solo frutto del momento. Tatticamente, l’italiano sembra aver finalmente capito come sfruttare a pieno il suo enorme potenziale, mentre in precedenza sul suo talento si adagiava, o si nascondeva dietro di esso. Abbiamo finalmente visto Musetti comandare mentalmente avversari forti, non solo per quello che gli riusciva di fare in campo, ma anche per il modo in cui ha affrontato gli errori e i passaggi a vuoto. Il Lorenzo Musetti di Parigi era finalmente un giocatore in piena consapevolezza, che non cerca alibi esterni, che si perdona gli errori e pensa punto per punto.
Cosa ci ha detto la semifinale contro Djokovic
La cosa gli è riuscita sostanzialmente con tutti, tranne che con Novak Djokovic. Nella semifinale olimpica, la sua nuova solidità non è comunque bastata contro un uomo in missione come era Nole. Parliamo di un Djokovic infinito eppure umano, come è la versione attuale: un giocatore che ti dà tante chance, ma che ti punisce puntualmente se non le sfrutti. Nel secondo set, ad esempio, ha avuto la possibilità di andare avanti di un break sul 2-1 e servizio, contro un Nole che era molto nervoso. Era un momento in cui far girare l’inerzia della partita, ma non è riuscito a trovare la tranquillità necessaria per mantenersi in vantaggio.
Dopo allora ci sono state altre occasioni, in cui Djokovic era un po’ provato ma Musetti ha sbagliato risposte sulla seconda palla dove invece era obbligatorio far partire lo scambio. Così come Musetti, un po’ per tutta la partita, ha pensato che dare molta fiducia al proprio rovescio – e alle sue bellissime variazioni – sarebbe bastato anche contro Djokovic, così come era successo in precedenza contro Fritz e soprattutto Zverev. Un peccato di presunzione, che si è concretizzato in una serie di situazioni in cui sarebbe stato più saggio girare intorno alla palla e colpire di dritto. Invece lui ha insistito sulla diagonale di rovescio, cosa che contro Djokovic non è esattamente una passeggiata.
Che Musetti attenderci ora
Magari non sarebbe bastato ugualmente, ma è comunque un segnale degli amplissimi margini che ancora Lorenzo Musetti ha davanti a sé. L’era di Nole Djokovic si avvia al tramonto, ma il carrarino deve guardare solamente ad accrescere propria solidità mentale. Continuando a giocare punto dopo punto, a perdonarsi gli errori, a non cercare alibi, ma anche a migliorare il servizio e la qualità della risposta (due statistiche, non a caso, in cui è stato eccellente su erba e positivo anche alle Olimpiadi), vederlo in top 10 entro la fine dell’anno sembra improvvisamente possibile.