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Nel tennis, ogni campione del passato ha portato qualcosa al gioco che è rimasto fino ai giorni nostri, colpi che sono diventati marchi di fabbrica o abitudini personali che sono diventati standard collettivi. Ivan Lendl è, in tal senso, un esempio quasi enciclopedico.

Ivan Lendl, il transfuga mai troppo amato

Nato nel 1960 a Ostrava da due genitori entrambi tennisti (e la madre Olga che era stata numero 2 cecoslovacca), Ivan Lendl divenne il secondo transfuga più famoso nella storia del tennis dopo la connazionale Martina Navratilova. Entrambi i grandi campioni fuggirono appena fu possibile dal regime comunista in cui erano nati, per trasferirsi negli USA e diventare cittadini statunitensi dopo qualche anno. Se Navratilova però è sempre stata idolo popolare, Lendl faticò sempre moltissimo a farsi amare dal pubblico. “Colpa” di un gioco regolare e senza troppi fronzoli, ma anche di un carattere ombroso. Eppure, la sua influenza sul tennis attuale è abbastanza pesante. Ma ne parleremo più avanti.

I primi anni e la maledizione-Slam

L’avvento di Borg aveva dimostrato che un’altra via per vincere era possibile, basando il proprio gioco sulla regolarità da fondo campo e su un marcato atletismo. Lendl fece suo questa sorta di Vangelo tennistico, apportandoci anche alcune novità.
Lendl fu il primo a introdurre un’abitudine divenuta poi standard per molti colleghi, per diversi anni: cambiare racchetta a ogni cambio di palle. Scientificamente, Ivan spacchettava una delle sue Adidas GTX Pro incordate di fresco, per affrontare il game successivo con le palle nuove. Per alcuni era una solo una fissazione e forse un po’ lo era, ma l’equilibrio di un grande campione si basa anche su piccole abitudini o tic, come poi abbiamo visto con Rafa Nadal.
Lendl aveva alcuni piccoli riti prima di servire, come usare il polsino tergisudore sulle sopracciglia, e proprio le sopracciglia erano oggetto delle sue attenzioni nei momenti di maggiore tensione, quando arrivava a strapparsene qualcuna con le dita.

Comunque, l’impressione era che il suo essere un “piccolo Borg” fosse un modo per arrivare vicino al top ma che non bastasse per vincere un torneo del Grande Slam. Lendl aveva raggiunto i quarti di uno Slam già a 20 anni allo US Open 1980, sconfitto da quel John McEnroe che poi sarebbe stato protagonista del torneo della svolta.

Arrivarono poi le sconfitte in finale Roland Garros 1981 contro Borg (6-1 al quinto), allo US Open 1982 sempre in finale contro Connors in quattro set, copione ripetuto l’anno seguente, sempre in 4 set con un severo 6-0 a chiudere.
Vincere uno Slam sembrava essere diventato un’ossessione, per il fresco cittadino statunitense. Si arriva così alla finale del Roland Garros 1984, vero punto di svolta per la sua carriera, e forse anche per quella di John McEnroe.

La finale-svolta: Roland Garros 1984

Big Mac rappresentava un modello tennistico nettamente agli antipodi e ne era pienamente consapevole, al punto da aver detto un giorno “ho più talento io nel mignolo che lui in tutto il suo corpo”, a proposito proprio di Lendl.

Quel giorno, a Parigi, i due arrivano in perfetta parità a livello di scontri diretti negli Slam: Mac aveva vinto ai quarti US Open 1980 e in semifinale Wimbledon 1983, Lendl ai quarti Roland Garros 1981 e in semifinale US Open 1982.

McEnroe va avanti 2-0 in maniera molto più agevole di quanto dica il 6-3 6-2, poi accade un imprevisto: un microfono piazzato a bordo campo riporta il rumore di uno spettatore, che innervosisce McEnroe e qualcosa si rompe, nel suo tennis fino a quel momento perfetto. Lendl inizia a prendere fiducia e mette a segno una colossale rimonta, vincendo terzo, quarto e quinto set 6-4 7-5 7-5. Solo per la quarta volta, nella storia del torneo parigino, un giocatore rimonta da due set a zero sotto. Per Lendl è il primo Slam, per McEnroe il Roland Garros diventerà un’ossessione destinata a rimanere tale.

Il colpo-Lendl: il passante di dritto in corsa

La rimonta in finale del Roland Garros 1984 era stata possibile grazie a un numero indefinito di passanti, con cui Lendl infilò McEnroe accendendo il pubblico come mai era accaduto in precedenza.

Il passante diventa il colpo migliore nel repertorio di Ivan Lendl, in particolare uno, che passerà alla storia come “colpo-Lendl”: il passante lungolinea di dritto in corsa, che gli porterà moltissimi punti importanti in carriera, e un numero di applausi che altrimenti difficilmente avrebbe ricevuto.

Gli anni del dominio e l’ossessione-Wimbledon

Come detto, la finale del Roland Garros 1984 diventa la svolta nella carriera di Lendl, che diventa il dominatore del circuito per tutta la seconda metà degli anni ’80. Dominatore ovunque, tranne in un posto: Wimbledon.

L’erba londinese diventa l’ossessione di Ivan Lendl come il Roland Garros era per la sua nemesi John McEnroe. E, per entrambi, sarà un’ossessione rimasta tale.

Per provare a vincere sull’erba londinese, Ivan Lendl arriverà persino a saltare di netto il Roland Garros. Nel 1986 è il giovane “Bum Bum” Becker a impedirgli di alzare il trofeo, mentre nel 1987 a mettersi tra lui e il trionfo a Wimbledon è un altro attaccante puro come Pat Cash.
Nel 1988 lo ferma ancora Becker in semifinale, stesso turno in cui è Stefan Edberg a esporgli il semaforo rosso nel 1990, proprio l’anno in cui aveva rinunciato al Roland Garros per preparare la campagna su erba.

Per lui, Wimbledon era il torneo più importante di tutti, dove Borg aveva trionfato 5 volte e dove anche lui voleva tremendamente lasciare il segno. Non ci riuscirà mai, da giocatore.

Da allenatore, l’ossessione di Ivan Lendl per Wimbledon verrà placata diversi anni dopo, nel 2013. Era proprio lui il coach di Andy Murray, quando lo scozzese riuscì a imporsi per 3 set a 0 su Novak Djokovic. Wimbledon era in qualche modo violata da “Ivan il terribile”, seppure soltanto da coach, ma così facendo aveva anche posto fine a un digiuno ben più lungo: Murray era il primo britannico a vincere Wimbledon dopo ben 77 anni!