Con la partita di questo pomeriggio che lo vedrà impegnato a Vienna contro il nostro Luciano Darderi, Dominic Thiem mette fine a una carriera che ha avuto un ultimo triennio molto travagliato, ma che non va assolutamente dimenticata.
Dominic Thiem, il terraiolo stiloso che ha riscattato una generazione
Alto ma non altissimo, potente ma non potentissimo, Dominic Thiem ha vissuto una carriera in quell’intervallo del “ma non”. Anche il suo rovescio a una mano, specialità che ormai si tende a guardare con l’apprensione con cui si guarda a un panda, era molto bello ed efficace, MA NON quanto quelli di Roger Federer e Stan Wawrinka. Rispetto a un altro “monomano” di grande bellezza come Richard Gasquet, però, Thiem aveva il problema di essere davvero competitivo ad altissimi livelli, mentre il francese ha sempre vissuto in pieno la limitatezza del suo bel tennis.
E come può mai essere un problema il fatto di essere competitivi? In generale non lo è, a meno che tu ti trovi a doverti confrontare con una generazione di fenomeni, eroe tra i supereroi.
Per diversi anni, diciamo almeno tra il 2016 e il 2020, Dominic Thiem è stato il secondo miglior giocatore al mondo su terra battuta. Il problema è che, nello stesso periodo, il migliore era Rafa Nadal, non esattamente uno che lasciasse qualcosa in più delle briciole agli altri, sul rosso. E anche nell’anno in cui lo spagnolo non si era presentato al Roland Garros, era stato un Djokovic ingiocabile a sbarrargli la strada.
L’amara verità è che Dominik Thiem, così come Sascha Zverev, è parte di una generazione interrotta, perduta, divorata da quella precedente, la più forte nella storia di questo sport.
Le decadi più vincenti nell’Era Open
Per avere idea di cosa stiamo parlando, la tabella qui sotto ci sarà di grande aiuto.
TENNISTI NATI NEGLI ANNI… | TORNEI DEL GRANDE SLAM VINTI (ERA OPEN) |
---|---|
’40 | 11 (Newcombe 5, Ashe e Kodes 3, Smith e Nastase 2, Orantes 1) |
’50 | 37 (Borg 11, Connors 8, McEnroe 7, Kriek 2, Edmondson, Gerulaitis, Panatta, Tanner e Teacher 1) |
’60 | 33 (Lendl 8, Wilander 7, Edberg e Becker 6, Cash, Gomez, Korda, Muster, Noah e Stich 1) |
’70 | 42 (Sampras 14, Agassi 8, Courier 4, Kuerten 3, Bruguera, Kafelnikov e Rafter 2, Costa, Ferrero, Gaudio, Ivanisevic, Johansson, Krajicek e Moya 1) |
’80 | 80 (Djokovic 24, Nadal 22, Federer 20, Murray e Wawrinka 3, Hewitt e Safin 2, Cilic, Del Potro, Ferrero e Roddick 1) |
’90 | 2 (Thiem e Medvedev) |
2000 | 5 (Alcaraz 3, Sinner 2) |
Da Dimitrov a de Minaur, la generazione interrotta
Considerando che la generazione dei nati negli anni ’40 ha avuto relativamente poco tempo, essendo l’Era Open iniziata nel 1969, l’anomalia è la “carneficina” operata dai nati negli anni ’80 rispetto a quelli della decade successiva.
Si pensi a Dominic Thiem ma anche a Sascha Zverev, Daniil Medvedev, Andrey Rublev, Stefanos Tsitsipas, Taylor Fritz, Hubert Hurkacz e poi Borna Coric, Karen Khachanov, il nostro Matteo Berrettini, Alex de Minaur.
Tutti questi, ad eccezione di Medvedev e appunto Thiem, hanno in comune il fatto di essere promesse infrante o parzialmente non mantenute, “perdenti di successo” nati negli anni ’90.
Sia chiaro, parliamo di giocatori di altissimo livello, e il problema è proprio qui, anche nei compromessi che ciò comporta con il proprio ego. Il tennis è tecnica e fisico ma anche autostima, fiducia nei propri mezzi, convinzione di poter spezzare qualsiasi avversario. E invece, quando contava, il verdetto era sempre lo stesso: alcuni ai quarti, altri in semifinale e qualcuno persino in finale, ma regolarmente rimbalzati dai big 3.
Zverev è forse il caso più clamoroso dei menzionati, oltre ad avere in comune con Thiem una drammatica finale US Open.
La finale US Open 2020, icona generazionale
Siamo in pieno Covid e il tennis riprende le operazioni proprio con lo US Open, che si gioca in un impianto di Flushing Meadows del tutto vuoto, a causa delle misure di precauzione in vigore al tempo. Un tennis senza pubblico sembra impossibile, eppure in quel periodo vi guardavamo con speranza, quella di uscire da un incubo a occhi aperti. A queste condizioni di partenza già particolari, si aggiungevano i forfait di Nadal e Federer (il primo per paura della pandemia e il secondo per infortunio ma già a fine carriera), ma soprattutto l’incidente occorso a Novak Djokovic. Nel corso del match di quarto turno contro Pablo Carreno Busta, in un momento di stizza per un punto perso, Nole colpisce con una violenta pallata una giudice di linea. Un gesto ovviamente del tutto involontario ma imperdonabile, che costa al campione serbo la squalifica.
Così, per la prima volta dopo più di 16 anni (Roland Garros 2004), un torneo del Grande Slam si ritrovava senza nessuno dei Big 3 almeno ai quarti di finale. Un’occasione imperdibile, per tutta la generazione che si era dovuta mettere in coda raccogliendo le briciole.
Dominic Thiem, che partiva da testa di serie numero 2, stava raccogliendo i frutti del bel lavoro fatto con il coach Nicolas Massu. L’allenatore cileno aveva convinto il suo allievo ad accorciare gli ampi movimenti con cui colpiva i due fondamentali da fondocampo, per aiutarlo a diventare più competitivo anche sul veloce. Infatti, nel 2019 aveva vinto Indian Wells, Pechino e Vienna, arrivando in finale alle ATP Finals (sconfitto da Tsitsipas) e iniziando il 2020 con la finale Australian Open, sconfitto da Djokovic. L’austriaco sembrava però incamminato verso la prima fila, tra quelli pronti a raccogliere il testimone dai big 3.
In finale, a quello US Open, arriva però un altro dei grandi “fregati” dal cannibalismo dei tre grandi campioni: Sascha Zverev. Il tedesco è forse l’emblema più limpido del logorio di una generazione, per come riesce a perdere anche quella finale.
Sascha va avanti di due set, ma poi gradualmente si spegne. Nel semideserto centrale di Flushing Meadows, Dominic Thiem mette a segno la rimonta che – oggi possiamo dirlo – vale una carriera: 2-6 2-6 6-4 6-3 7-6.
Arrivano i millennials, il polso di Thiem dice basta
La vittoria di Dominic Thiem, a 27 anni e 11 giorni, è la prima nei tornei del Grande Slam di un tennista non nato negli anni ’80 da oltre16 anni, ovvero sempre il Roland Garros 2004 vinto da Gaston Gaudio. 64 (sessantaquattro) tornei consecutivi in cui avevano vinto solo giocatori nati negli anni ’80, fotografano la generazione interrotta. Ma, poiché al peggio non c’è mai fine, ecco presentarsi all’orizzonte i nuovi fenomeni, Jannik Sinner e Carlos Alcaraz.
Questo è stato un secondo grande colpo da assorbire, per gli aspiranti campioni nati negli anni ’90, che avevano atteso pazientemente il loro momento e ora si ritrovavano degli altri alieni da combattere. Il primo ad accusare il colpo è stato Stefanos Tsitsipas, l’ultimo – proprio di recente – Daniil Medvedev. Sascha Zverev continua stoicamente a resistere, in una carriera che però appare ormai ammantata di dorata mediocrità.
Thiem, invece, aveva mollato ancora prima, ma per ragioni differenti. Il polso aveva iniziato a dargli problemi già nel 2021, forse un dazio da pagare per gli aggiustamenti operati al fine di riuscire a eccellere. Alla fine, è stato ciò che lo ha condannato a un finale di carriera un po’ triste, a soli 31 anni, dopo 740 partite e 17 tornei vinti, tra cui uno US Open e un Masters 1000. Il gentile Dom, tuttavia, rimane il più umano degli eroi.