Oggi, grazie a Jannik Sinner, tocchiamo con mano cosa voglia dire avere un tennista come sportivo più celebre in un paese a forte tradizione calcistica. Tutto questo, in Germania, accadde già a metà degli anni ’80 con Boris Becker.
Boris Becker e un nickname fuorviante
“Bum bum” è stato una delle stelle più lucenti del tennis, ma anche personaggio contraddittorio. Tennisticamente, si portava dietro un’eredità pesante che diede vita a un grosso malinteso. Il suo soprannome, giunto già quando a 17 anni sconvolse il mondo vincendo Wimbledon, era dovuto alla grandissima potenza del suo tennis. In uno sport già in evoluzione, con il suo fisico imponente e lo stile di gioco aggressivo portò molto in su l’asticella della violenza dei colpi, ma ciò portò qualcuno a pensare che il suo tennis si fermasse a quello: errore, perché Boris Becker era soprattutto un grande giocatore di rete, oltretutto agilissimo nonostante la stazza imponente, seppure con stile molto diverso dal suo grande rivale del tempo, Stefan Edberg.
Nato nel 1967 a Leimen, nella Germania del sud, prese una racchetta in mano a 7 anni e si segnala già da giovanissimo come grande prospetto, finendo sotto l’ala di un manager molto scaltro come il rumeno Ion Tiriac, che sarà figura fondamentale nella sua ascesa verso l’olimpo del tennis.
Il primo Wimbledon, pietra miliare del tennis figlio di “un’autostrada”
A 17 anni e 227 giorni, dopo aver vinto il Queen’s la settimana precedente, sorprende il mondo diventando il più giovane di sempre a vincere il singolare maschile a Wimbledon, record che regge ancora ai giorni nostri e che pare davvero difficilmente battibile. Al tempo, era anche il giocatore più giovane a vincere un torneo del Grande Slam, primato che però viene superato qualche anno dopo da Michael Chang al Roland Garros.
Anche il record di primo tennista non testa di serie a vincere Wimbledon verrà superato in seguito, da Goran Ivanisevic nel 2001 che vinse addirittura da wild card. Poi, di quel Wimbledon 1985 va ricordato, per onestà, un tabellone che definire favorevole è un eufemismo.
Il “lavoro sporco” lo fece Kevin Curren, carneade statunitense che giocò il torneo della vita, eliminando la testa di serie numero 1 John McEnroe ai quarti e la numero 3 Jimmy Connors in semifinale, senza nemmeno perdere un set. Nel frattempo, il numero 2 Ivan Lendl si era fatto sorprendere al quarto turno da quel geniaccio incostante di Henri Leconte. Così, il teenager “Bum Bum” Becker vince il suo primo Wimbledon affrontando lo svedese Anders Jarryd come avversario meglio classificato, n.6, in semifinale.
La conferma e la rivalità con Edberg
Questo percorso fortunato non toglie un grammo alla portata del trionfo e a cosa aveva rappresentato, in quel momento, per il tennis. Infatti, Becker si ripete l’anno seguente, stavolta battendo in finale il n.1 Ivan Lendl e alimentando l’ossessione di quest’ultimo verso l’erba londinese.
Sempre a Wimbledon, dopo la delusione dell’uscita al 2° turno nel 1987 contro il carneade Peter Doohan, arriva un triennio fatato per il tennis d’attacco: quello delle tre finali consecutive giocate contro Stefan Edberg.
Lo svedese era l’antitesi perfetta del tedesco. Entrambi grandi attaccanti, avevano tuttavia caratteristiche diversissime, quasi complementari. Edberg aveva un’impostazione più classica, una velocità di piedi impressionante e un lato sinistro (rovescio e volée di rovescio) tra i migliori nella storia del tennis, mentre il dritto era il suo evidente punto debole. Becker aveva servizio e dritto potentissimi, capacità acrobatiche da funambolo e un rovescio a sua volta buono ma meno affidabile.
Le tre finali consecutive segnano forse l’ultima rivalità di due tennisti che attuavano serve & volley a Wimbledon, prima delle grandi metamorfosi di questo sport nell’era moderna e contemporanea.
Boris, la terra battuta e la cieca ostinazione a vincere da fondocampo
Boris Becker verrà ricordato anche per un dettaglio, apparentemente solo statistico che però ne evidenzia un grande problema tattico. Il tedesco ha vinto in carriera 49 titoli ATP di cui 6 Slam: i tre Wimbledon, due Australian Open e uno US Open. La cosa incredibile non è la mancata vittoria di un Roland Garros, ma il fatto di non essere mai riuscito a vincere un torneo sulla terra battuta. E questo si spiega solo in parte con il dato, autoevidente, che si tratta della superficie meno amica dei giocatori d’attacco o da rete. Il vero problema di Boris Becker sul “clay” era sostanzialmente tattico: da un certo punto in avanti, diciamo dalla fine degli anni ’80, il ragazzo aveva deciso che avrebbe vinto sulla terra giocando da fondocampo. Questa ostinazione, seppure motivata da fondamentali potenti e solidi, non aveva un grande senso perché il giocatore si auto-privava di una delle sue armi più letali, seppure sulla superficie che più la limitava.
L’ostinazione è stata il grande limite di un giocatore che è stato un campione generazionale, oltre che elemento di una personalità che non gli ha portato grandissime fortune, fuori dal rettangolo di gioco.
La perla del Masters contro il miglior Lendl di sempre
Nonostante i tre Wimbledon, le tre epiche finali contro Edberg e i mille tuffi su erba, secondo chi vi scrive il match più memorabile nella carriera di Boris Becker è stato la finale del Masters 1988, vinto a New York contro il miglior Ivan Lendl di sempre. La partita, durata qualcosa come 4 ore e 43 minuti, si conclude in maniera singolare e spettacolare. Nel tie-break del quinto set, sul 6-5 Becker e match point, i due giocano uno scambio interminabile da ben 37 colpi, l’ultimo dei quali uno slice di rovescio del tedesco, che tocca il nastro e muore – lemme lemme – dall’altra parte del campo: 5–7 7–6 3–6 6–2 7–6, è l’epilogo più folle di sempre, una conclusione che sembra presa da “Match Point” di Woody Allen e dal famoso monologo sul talento e la fortuna.