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Il potere delle storie è tutto nella loro trasmissibilità: se è unica, bella, emozionante, riesce a resistere al tempo che passa e alle intemperie che provano a gettare ombre e ricordi su di esso.

Insomma, si fa impermeabile. E non invecchia, semmai migliora. Quella che andiamo a raccontarvi sa mischiare il calcio giocato e amato, sa cambiare pelle e diventare favola. C’entra il Brasile, ma solo in parte; tutto il resto lo fa l’Umbria, regione italiana che esporta vino e bellezza, e che conserva una delle imprese calcistiche più pazze della storia.

Era il 1990 e la Seleçao aveva iniziato il ritiro tra i colli perugini, lontano dal caos delle città e in una pace che prevedeva “soltanto” quasi 1000 giornalisti al suo seguito.

Nella prima amichevole, l’entusiasmo si era dissipato e aveva fatto posto alla preoccupazione: contro la Germania Est era arrivato un 3-3 pronto a evidenziare le mancanze difensive di una squadra assemblata per la vittoria finale.

La stella di quella selezione verdeoro? Tutti e nessuno. C’è Alemao. Poi Dunga. Quindi Careca.

Giocatori che l’Italia la stavano vivendo, che conservavano per questo un grosso timore: sarebbero stati all’altezza della potentissima formazione azzurra? O sarebbero capitolati contro l’Argentina di Maradona? Nel mentre, prendevano gol da Thomas Doll, Ernst e Steinmann. Facendo mugugnare la stampa.

L’idea

Pioggia di critiche ancor prima di iniziare e di avere Romario a disposizione (inizialmente out per infortunio). Il Brasile, precedentemente all’arrivo in Italia, era atteso da una tappa intermedia in Spagna nella quale avrebbe recuperato diversi giocatori impegnati nelle ultime fasi della stagione regolare. Decide pertanto di iniziare prima degli altri: un mini ritiro a Gubbio, in un convento trasformato in albergo, poi il viaggio verso Asti.

Il gruppo sembrava spento, però. Logoro. Svuotato dal nulla monasteriale e spaccato dalle confessioni piccate ai giornalisti. Lazaroni, il tecnico, iniziò sin da subito a sbattere i pugni sul tavolo.

Romario provava invece a difendere la baracca: “Sbaglia chi pensa che nel gruppo ci siano problemi. Siamo pronti a fare la nostra parte, le amichevoli disputate fin qui ci sono servite per correggere certi errori di impostazione. Siamo più forti della squadra andata in Messico quattro anni fa“.

Pretenzioso, ma vero? Il 24 maggio, al San Biagio, il Brasile affrontò il Gubbio, quinta in C2. 14-1 per i verdeoro, con poker di Bebeto e dello stesso Romario. Tutti felici, fino a quattro giorni più tardi: accadrà l’impossibile e scatenerà i detrattori. Sulla Seleçao s’infrangerà l’onda anomala della Selezione Umbra.

La selezione umbra

Sì, avete capito bene. Un dream team, un all stars, una nazionale di soli giocatori di terra d’Umbria. Al Liberati, gremito per l’occasione con quindicimila persone sugli spalti, arrivano i più forti del Perugia, della Ternana e del Gubbio.

Una rappresentativa di livello, sì. Ma di livello da Serie C. Lazaroni non ha Romario, inserisce Galvao per Aldair in difesa e per il resto si affida al solito undici, quello che tecnicamente dovrebbe debuttare in un Mondiale pochi giorni più tardi.

Pochi minuti dopo il fischio d’inizio, chi se non Edoardo «Ciccio» Artistico a bucare Taffarel con una staffilata su punizione dai trenta metri? Traiettoria micidiale, pubblico impazzito, storia appena scritta.

È uno shock. Che comunque dura poco: il Brasile inizia a macinare gioco, a creare occasioni. Ma la semina porta solo alcuni frutti, per nulla maturi: pali, traverse, rasoiate d’un soffio a lato.

Ci mette del suo anche Vinti, estremo difensore dell’occasione: 1-0 all’intervallo nel tripudio generale. Nella ripresa, per Careca l’occasione più ghiotta. Non è Vinti, ma il suo sostituto Riommi a chiudere i rubinetti delle speranze carioca.

Sì, nonostante la doppia girandola di cambi, il Brasile non ha mai la meglio sulla forza di una storia. E su un gruppo di ragazzi che mai avevano giocato insieme prima di quell’istante, che si compattarono e diedero tutto, anche un paio di calci proibiti al destino.

La contestazione

Al fischio finale, con l’1-0 fisso per la Top Umbria, gli eroi locali lasciavano il terreno come gladiatori. La fama e la gloria dei contratti brasiliani erano diventate bottino di uomini probabilmente già al massimo traguardo della loro carriera. Dall’altra parte, la sorte non aveva scampo: doveva essere contestazione.

E così fu, da primo e legittimo impatto della stampa. Domande su domande al commissario tecnico Lazaroni: il Brasile era finito ancor prima di iniziare? “Questa è una lezione sulla quale dobbiamo meditare. Non cambieremo i programmi, ma il tipo di lavoro. Faremo meno atletica, baderemo più al calcio e meno alla velocità. Abbiamo perso sull’unico tiro in porta e in attacco abbiamo sbagliato troppo“, le parole dell’allenatore ai reporter.

Che pressavano, che criticavano, che si scagliavano veementemente contro la squadra. E sì, le condizioni di Romario avevano il loro peso.

Quel Mondiale, il Brasile, se lo lasciò scappare in una gara epica contro l’Argentina. Epica non per quello mostrato in campo, quanto per le storie che si susseguirono successivamente alla vittoria Albiceleste (ricordate la borraccia rifilata a Branco?). Dopo aver superato il girone di qualificazione, Maradona e compagni resistettero all’offensiva costante dei verdeoro, grazie a un meraviglioso Goycochea. Diego per Caniggia e… 1-0.

Proprio come contro l’Umbria Top, la prima squadra a rompere il dominio brasileiro. All’italiana, chiaramente.