L’alchimista per definizione ha la capacità di traformare il metallo grezzo in oro puro, ma più in generale si potrebbe dire di chi da un complesso e intricato gioco tra elementi che sembrano non possedere particolari proprietà, riesce a plasmare una materia di grado superiore, dove l’insieme è nettamente maggiore della somma tra le singole parti.
Ecco, il Deportivo La Coruna di fine anni novanta che riuscì proprio a cavallo del secolo a vincere il suo primo (e unico) scudetto, potrebbe essere frutto proprio di una particolare e unica alchimia, una magia di gruppo che grazie alla pietra filosofale di Javier Irureta è diventato super, il “Super Depor”.
La nascita del mito: gli anni novanta del Depor
Dopo un lungo decennio di sali e scendi di categoria e gli anni ottanta passati quasi tutti nel purgatorio della Segunda Division, la rinascita del Deportivo comincia con l’arrivo al timone presidenziale di Augusto Cesar Lendoiro.
Rilevata nel 1988 una società in piena crisi di talento e sommersa dai debiti, dimostra subito una certa abilità nel riuscire a portare in Galizia una serie di buoni giocatori spendendo anche cifre alla portata. Ed è così che in maniera quasi fulminea, dopo la promozione in Prima divisione e una salvezza acciuffata al pelo nel primo anno, il Deportivo esplode letteralmente diventando da un giorno all’altro una delle pretendenti per il titolo e portando alla ribalta giocatori come Rivaldo o Bebeto, solo per fare gli esempi più eclatanti.
E non una, ma per ben 3 stagioni consecutive, piazzandosi una volta terza (dietro al duo Barca-Real), e due volte seconda (una dietro il Barca e una dietro al Real). Insomma il classico terzo incomodo, che però proprio in una di queste stagioni riesce a centrare il primo titolo nazionale con la Coppa di Spagna, e successivamente anche il secondo trofeo in bacheca con la Supercoppa di Spagna.
Ora la favola non è più solo nei sogni, ma sembra diventata una viva realtà del campionato spagnolo.
L’arrivo di Irureta
C’è però bisogno di un intervento quasi “divino” per continuare la corsa. Perchè dopo aver fatto risplendere così tanti talenti, è inevitabile che il richiamo delle grandi prima o poi arrivi. E così quando sia Rivaldo sia Bebeto scelsero altre strade (il primo facendo le fortune proprio dei rivali del Barcellona, il secondo tornando verso il Brasile senza però trovare più quella luce spagnola), sembra inevitabile tornare alla normalità, come confermato da un 12° posto non proprio brillantissimo in campionato.
Per ravvivare il fuoco del SuperDepor, arriva però un nome che tutti i tifosi galiziani ricorderanno per sempre: Javier Irureta.
Buon calciatore con un palmares comunque di tutto rispetto (2 campionati spagnoli, 1 coppa di spagna e una coppa intercontinentale tutte con l’Atletico Madrid), la sua carriera prende però forma proprio quando comincia a sedersi sulla panchina. Dopo tanta gavetta nelle serie minori, il basco si mette in mostra in una straordinaria stagione con il Celta Vigo, portato alla qualificazione europea con il suo gioco arrembante e organizzato (che gli valsero il premio come miglior allenatore quell’anno).
Un 4-2-3-1 che oggi è diventato il marchio di fabbrica di molti allenatori, ma che proprio nel Deportivo delle stagioni seguenti (Lendoiro ha avuto l’occhio avanti anche per gli allenatori) ha trovato i meccanismi perfetti per girare al meglio.
C’è bisogno solo di una stagione di rodaggio, chiusa comunque al 6°, per mettere a punto quel SuperDepor che a cavallo del nuovo millennio entrerà nella storia vincendo il suo primo (e per il momento unico) scudetto.
Il miracolo del duemila
Metti in panchina un basco purosangue con idee innovative, in porta un camerunese come Songo’o talmente a suo agio in Galizia da averla scelta anche ora come sua casa, una serie di brasiliani da piedi buoni come Mauro Silva, Flavio Conceicao, Donato, oltre a un Dajalminha ispiratissimo nel proporre gioco in avanti. Aggiungete una spolveratina di arancione con l’olandese Makaay in attacco che in quella stagione metterà dentro 22 palloni in campionato, ed ecco ottenuto il mix perfetto.
Perchè la stagione che porta al nuovo millennio è davvero perfetta per il Super Deportivo guidato da Irureta. Fila tutto benissimo in campo, con 21 vittorie tra cui un pesantissimo 5-2 inflitto ai campioni uscenti del Real Madrid (stagione storta per i blancos) e ovviamente fuori, in un ambiente che non potrebbe essere più carico e propositivo di così per chiudere la stagione e dare forza nei momenti di difficoltà finale.
Sarà l’apice di un magic moment che però non si esaurisce con la vittoria in campionato, ma prosegue almeno altre quattro stagioni in patria (con 2 secondi e 2 terzi posti) e in Europa, con alcune serate davvero indimenticabili per i galiziani (vedi l’incredibile rimonta contro il Milan di Ancelotti con un 4-0 casalingo dopo il 4-1 dell’andata) a cui manca davvero solo l’acuto decisivo per centrare il miracolo anche in Coppa dei Campioni.
La fine del mito
Partiamo dalla fine, con il Deportivo che sta vivendo una stagione terribile in seconda divisione a un passo dalla retrocessione. Il declino dai palcoscenici della Champions alle ombre delle serie minori non è stato immediato, ma è stato certamente costante.
La fine del ciclo portato avanti da Irureta, che dopo mille peripezie sui campi di mezza Spagna è tornato in terra basca. La fine anche del mito del presidente Lendoiro, che dopo gli anni di acume e di scelte accurate è finito con il lasciare il Depor con qualche buco di troppo. E forse anche il calcio che è andato avanti per un’altra strada, là dove non c’era più molto spazio per i sogni e per i miracoli delle piccole realtà.
Fatto sta che proprio in questa complicata stagione, sul campo e fuori, il rischio è quello di vedere festeggiare il ventennale del grande scudetto, con una retrocessione in terza divisione che sarebbe forse la beffa più grande, per chi ha ancora negli occhi il mito di quello che sarà per sempre ricordato come il “Super Depor“.