Il 26 giugno del 2011, il River Plate tocca con mano l’inferno.
L’1-1 contro il Belgrano valevole per lo spareggio salvezza non basta al Monumental; fatale il 2-0 dell’andata. In quel Belgrano gioca El Mudo Vazquez, nel River giocatori del calibro di Carrizo, Lamela, Pereira. È il punto più basso mai toccato dal River Plate nella sua storia.
El Màs Grande, come viene chiamato dagli appassionati del calcio argentino e internazionale, è appena caduto in seconda divisione, ed esce quindi dal novero di chi non ha mai subito l’onta della retrocessione. La partita neanche finisce. L’arbitro è costretto ad arrestare il gioco al minuto 43. Troppi gli scontri sugli spalti tra forze dell’ordine e pubblico, che continua a cantare il proprio amore, come il violino stonato di un senzatetto alle prese con le disfatte dell’esistenza.
Quell’amore così grande, che ha fatto del River non solo l’antagonista per eccellenza del ben più blasonato e mediaticamente decantato Boca Juniors, ma anche una protagonista assoluta del calcio argentino, rimane impresso nelle lacrime di dolore che, solo sette anni più tardi, si trasformeranno in rabbia agonistica prima, e in lacrime di gioia poi.
Campionato di Apertura 1997. El Muneco Gallardo segna un’autentica perla, col suo River, contro l’Independiente. Uno dei gol più belli e pesanti della storia del River. Sulla schiena porta la maglia numero 10.
Ed è da fuoriclasse assoluto che condurrà proprio il River, ma da allenatore, alla finale delle finali, nel 2018, in Copa Libertadores, contro il nemico di sempre, il Boca Juniors. Gallardo era arrivato ad allenare El Mas Grande appena quattro anni prima, nel 2014. Chiamato da quell’Enzo Francescoli, icona del club, con cui aveva condiviso proprio quel gol nel ’97, da compagno di squadra.
La finale delle finali
11 novembre 2018. È la prima di due finali storiche. Ci si gioca la gloria eterna, in Copa Libertadores. Non era mai successo nella storia, che River e Boca si sfidassero per il trofeo più ambito del Sudamerica. Una finale tutta argentina, caliente già alla Bombonera.
È il Boca a passare in vantaggio nel primo tempo con il gol di Ramon Abila (33’), che al secondo tentativo beffa un incerto Armani. A rispondergli però è quasi subito (35’) “El Camelo” Lucas Pratto, con trascorsi anche nella sponda genoana della lanterna. Pareggio meritato alla luce del gran gioco prodotto dagli uomini di Gallardo. Ma il Boca è famelico e trova la rete a pochi secondi dallo scadere con lo scalmanato Benedetto, el Pipa, che di testa infilza Armani e sigla così il gol del 2-1. Ma la finale è sinistra, ambigua, indescrivibile. Nomen omen, è proprio Izquierdo a beffare il proprio portiere Rossi per il più incredibile degli autogol, quando siamo al minuto 60. Finirà 2-2 senza ulteriori squilli il primo dei due Superclasico.
Il 24 novembre si sarebbe dovuto giocare il ritorno, ma questo giorno passerà alla storia come quello della ‘Superfinal que no fue’.
Non si è giocata, infatti, River vs Boca. Motivi di ordine pubblico e di salute dei giocatori. Dopo aver salutato i propri tifosi nei pressi de La Boca, il quartiere di riferimento del popolo Xeneize, il pullman con a bordo i giocatori gialloblu giunge finalmente nei pressi dell’intersezione tra Avenida Libertador e Monroe, laddove l’inspiegabile diventa possibile.
La vettura viene infatti colpita dalla violenza inaudita dei tifosi del Millo, che scagliano la qualunque in direzione del gruppo squadra e dello staff tecnico del Boca Juniors, frantumando alcuni vetri del pullman. I giocatori sono storditi tanto dall’episodio, quanto dai lacrimogeni lanciati dalle forze dell’ordine, evidentemente inadatte all’occasione.
La CONMEBOL rinvierà la partita al giorno successivo – scelta discutibile che verrà infatti nuovamente riformulata: la finale si giocherà non a Buenos Aires, ma a Madrid, stadio Santiago Bernabeu.
Così, dietro alla straordinarietà dell’evento e del luogo, si cela minacciosa una sentenza inequivocabile: il popolo argentino, tutto, ha perso una grande occasione agli occhi del mondo.
Come giullari vacanti nel deserto, i giocatori di River e Boca si presentano dunque nella capitale spagnola, e del calcio mondiale, per spartirsi la torta più prelibata, la vittoria che non ha rivincita, la finale di Copa Libertadores.
L’epilogo nella cornice del Bernabeu
Sono 10.000 i chilometri che separano Buenos Aires da Madrid. Sono invece 80.000 i tifosi che, colorando lo stadio di gialloblu e di biancorosso, danno al Bernabeu un tocco sudamericano. Stadio pieno non solo di tifosi, ma di vip: Dybala, Messi, Griezmann, Zanetti, Simeone, per non citarne che una manciata.
Fuori dallo stadio il clima è di festa, lontano anni luce da quello teso, tenebroso e inquietante che ha accompagnato la non-sfida del 24 novembre. A quasi un mese di distanza, la rivalità è rimasta ma si manifesta più negli sfottò e in campo che nella violenza.
La sfida è bellissima fin da subito. Maidana svirgola paurosamente l’eccellente cross proveniente dal piede mancino di Olaza, ma la palla termina sopra la testa di Armani. Insiste il Boca che crea un altro pericolo, nascente stavolta dal piede destro di Villa, che pesca da corner Perez, impreciso sottoporta in girata.
Al 30’ altra grande occasione per il Boca. El Pipa Benedetto calcia male una punizione che, deviata, giunge precisa sul piede destro di Perez, che calcia ma trova un’incredibile deviazione, col pallone che termina fuori di un soffio.
Al 44’, però, cambia lo scenario. Nandez conduce un pallone da favola al centro del campo, per poi lanciarlo filtrante in direzione di Dario Benedetto, che salta netto un difensore e spiazza Armani, lasciandosi poi andare ad una linguaccia diabolica in direzione di Montiel, scagliato via dalla furia Xeneize del numero 18. Il Boca Juniors è in vantaggio.
Nella ripresa il River entra decisamente più carico, anche perché nel primo tempo di carne al fuoco se n’era vista poca. Nacho Fernandez scambia splendidamente con Pratto e conclude di sinistro dal limite: fuori di un soffio. Ma il River c’è, e pochi minuti dopo s’inventa il gol del pareggio. Nacho Fernandez dialoga al limite con Palacios, che lo imbecca à là Riquelme. Fernandez vede con la coda dell’occhio Pratto liberissimo a centro area e lo serve. Per quest’ultimo è un gioco da ragazzi segnare la seconda rete del suo personalissimo derby (al Boca Pratto ha giocato senza lasciare il segno). 1-1 al 23’. Si è stappata la partita.
Non è finale sudamericana senza supplementari. E il triplice fischio dell’arbitro Cuna fa capire ai 22 in campo che le cose ora si fanno serie per davvero. Non lo capisce Barrios, però, che scambia la foga agonistica per stupidità ed entra col piede a martello su un giocatore del River, prendendosi il doppio giallo che gli anticipa anzitempo la doccia. Le cose si mettono addirittura peggio per il Boca, che perderà Gago per infortunio, l’ultimo di una lunghissima e stramaledetta serie.
Nel frattempo Gallardo ha buttato nella mischia Quintero, altra conoscenza del nostro calcio (Pescara).
È proprio dal piede mancino, e fatato, del fuoriclasse colombiano che arriva la rete del 2-1 River. Camillo Mayada, dalla destra, gli serve un pallone forte ma preciso al limite. Quintero ha due giocatori alle spalle e due davanti a sé, che quasi lo costringono a calciare verso la porta. Il tiro parte violento, precisissimo, dal suo mancino. Bacio alla traversa e rete, River in vantaggio all’inizio del secondo tempo supplementare.
La disperazione del Boca si tramuta in un assedio finale da brividi, dal quale scaturirà un’occasione clamorosa sul piede destro di Leonardo Jara, che però colpisce il palo esterno.
Armani bacia il cielo e il River ringrazia, visto che all’occasione successiva, con Andrada fuori dai pali per l’ultimo assalto, è proprio il portiere biancorosso a smanacciare in direzione di Quintero, che si autolancia di tacco e poi serve nello spazio Gonzalo Martinez, che al minuto 17 del secondo tempo supplementare appoggia in rete il gol del definitivo 3-1, col cuore in petto che va più veloce del pallone.
È la vittoria di Gallardo, è la vittoria del Mas Grande. È il trionfo del River Plate.