Zeljio Raznatovic dirà probabilmente ben poco alla maggior parte dei tifosi di calcio di tutto il mondo. Al contrario, le memorie di qualche lettore in più torneranno ad essere maggiormente pimpanti se scrivessimo la parolina magica “Arkan”.
Serbia, fine millennio
Gli appassionati di calcio e di sport in generale, o almeno quelli che hanno la possibilità, per ragioni anagrafiche, di ricordare gli episodi, le manifestazioni e le guerre che hanno rivoluzionato la geopolitica europea dal 1989 in poi, avranno la fortuna, o il disagio, di abbinare loro anche un buon numero di storie uniche che accompagnarono quel periodo anche in ambito sportivo.
Una di queste fa capo alla frammentazione in più nazioni di una terra fiera, affascinante e bellissima, la Jugoslavia.
Abbiamo toccato più volte, anche in queste pagine, l’argomento, ma la storia di Arkan ha davvero dell’incredibile.
Raznatovic, nato al confine
Brezice è una cittadina dal nome che rievoca la stessa origine semantico-geografica di migliaia di altri paeselli e piccoli centri urbani presenti nei territori della ex Jugoslavia, in questo caso nella odierna Slovenia, specificamente quella orientale, a pochi kilometri dalla Croazia.
Fin da subito Zeljiko Raznatovic che a Brezice vi nacque, dimostrò una spiccata predisposizione alla formazione politica e militare e questa vocazione ne fece il personaggio che noi tutti conosciamo sotto lo pseudonimo di Arkan.
Questo soprannome, almeno nella versione meno fantasiosa, deriverebbe dalle generalità presenti in uno dei suoi innumerevoli passaporti falsi, in questo caso turco, che lui utilizzava per i suoi scopi.
Fin da bambino si fa notare per una idiosincrasia piuttosto marcata verso chi gli vorrebbe negare una libertà diversa da come la intende lui e già a 9 anni scappa per la prima volta da casa, mentre, dopo tutta una serie di episodi di malaffare, al compimento della maggiore età viene arrestato dopo l’ennesima rapina ad un bar.
La causa jugoslava
Non vi abbiamo ancora scritto che il piccolo Zeljko nasce nell’ormai lontano 17 aprile del 1952, per cui si ritrova a sposare la causa jugoslava proprio nel momento in cui la sua maturità di uomo si abbina a quella degli scontri tra le varie fazioni che determineranno il frazionamento della Ex Jugoslavia nei territori che conosciamo oggi.
Ufficialmente militare, peraltro quarto figlio del colonnello Veljko facente parte dell’armata popolare jugoslava, Zeljko divenne un agente segreto che condusse in porto la formazione di una delle falangi paramilitari armate tra le più sanguinose e violente che la recente storia europea si ricordi, le Tigri di Arkan.
Non esattamente tra le più tenere quando parliamo di giustizia, la legge jugoslava non vedeva di buon occhio rapine, piccoli reati ed episodi vari di delinquenza comune e forse proprio per questo Arkan sparisce dalla Jugoslavia e comincia ad operare tra Italia, Germania Ovest e Olanda, prima di tornare in patria
A metà degli anni ’80 diventa uno dei personaggi più conosciuti anche nel mondo del calcio, visto che si mette a capo di una tra le più feroci e conosciute fazioni del tifo ultras della Stella Rossa di Belgrado, la “Delije”, eroi.
Nel 1989, siamo nel pieno della Jugoslavia post Tito, il gruppo ha regole ben precise: nessun tafferuglio disorganizzato, poco spazio ad alcool e droghe, ma disciplina, aspetto perfetto e dimostrazioni mirate e ben studiate.
Nel maggio del 1990 saranno celebri gli scontri di Maksimir, vero punto di non ritorno che porterà poi alla formazione delle Tigri di Arkan, che fin dall’anno successivo metteranno a ferro e fuoco i territori balcanici tramite veri e propri crimini di guerra perpetrati contro croati e musulmani bosniaci.
Il passaggio all’”imprenditoria”
Al termine dei conflitti struggenti che misero in ginocchio un pezzo di Europa suddividendola nell’attuale frazionamento che tutti conosciamo, Arkan divenne ricchissimo, grazie all’intelaiatura di amici e compari che riuscì a mettere insieme durante la guerra.
Casinò, petrolio, night club, edilizia, furono i settori in cui affondarono gli artigli della tigre, che in poco tempo divenne potentissimo e capace di poter provare la scalata al suo sogno, la Stella Rossa.
Il tentativo andò a vuoto e Arkan pose la sua attenzione sull’Obilic, una squadra di calcio di Belgrado
La squadra non aveva esattamente un passato glorioso, spesso relegata nelle categorie inferiori, aveva vissuto come picco maggiore della sua storia quello della finale di Coppa Nazionale persa proprio contro la Stella Rossa.
L’avventura con l’Obilic
La squadra con poche pretese diventa all’improvviso quella che ha a capo uno degli uomini più potenti, ricchi e temuti dell’intera nazione e le regole cambiano fin da subito, anche e soprattutto per i tesserati.
La rosa diventa immediatamente quella coi giocatori più pagati del Paese e fin dal primo anno arriva la promozione nel campionato più importante.
I metodi del presidente Arkan fanno capo a quelli utilizzati nei gruppi militari e paramilitari che Raznatovic aveva comandato negli anni precedenti, ma il successo della propria squadra non è certo dovuto al regime semi dittatoriale dell’organico.
L’Obilic vince il campionato in passerella anche e soprattutto grazie, o a causa, vedete un po’ voi, della connivenza di giocatori, avversari e arbitri, tutti piuttosto impauriti dalla potenza del presidente dei “Vitezovi”.
Minacce di morte e, quando andava bene, di arti spaccati a giocatori avversari, “consigli” agli arbitri su come dovessero andare la partite, tutto il collegio sportivo serbo accondiscendente, permisero alla squadra di ripetersi clamorosamente l’anno successivo quando, grazie a una stagione quasi immacolata l’Obilic conquistò il suo primo sorprendente titolo.
Tra voci di gas sedativo riservato agli ospiti e defezioni dell’ultimo momento dei giocatori avversari più forti, perfino l’ultima giornata è da considerare quanto meno strana.
La Stella Rossa, con un punto di ritardo sull’Obilic, va a perdere in casa della penultima in classifica, lo Zeleznik, regalando così lo scudetto ai “Vitezovi”, che non riuscirono a vincere il loro match di chiusura. La perfezione, insomma.
La Champions League
L’anno successivo l’Obilic disputò la Coppa dei Campioni, estromesso al secondo turno dal Bayern di Monaco, con un perentorio 4-0 all’andata e uno scialbo pareggio al ritorno.
La parabola discendente della squadra di Raznatovic cominciò proprio quando l’allora presidente della UEFA Lennart Johansson intimò ad Arkan di non presentarsi con la carica di proprietario della squadra nelle manifestazioni ufficiali, anche e soprattutto perché parecchi Paesi europei, come la Germania, avevano spiccato dei mandati di cattura internazionali nei confronti di Zeljio Raznatovic, il quale ripiegò sulla scelta della moglie Ceca, che accompagnò la squadra in quel di Monaco in veste ufficiale.
Solo dopo un decennio si scoprì che lo stesso Johansson rischiò grosso, scampato con una certa fortuna ad un agguato di un gruppo di scagnozzi Arkan.
Dopo l’eliminazione dalla Champions, la squadra dell’Obilic venne sconfitta anche dall’Atletico Madrid di Sacchi, costretto a rimandare più volte la rifinitura in casa serba a causa di una tigre che si aggirava placida e serena nel campo di allenamento dei Vitezovi.
L’uccisione di Arkan
La fine della dinastia dell’Obilic coincide con l’assassinio del suo uomo più importante all’inizio del 2000, quando, il 15 di gennaio, Dobrosav Gavrić, ex poliziotto al servizio della mafia serba, uccide in un bar del centro Zeljio Raznatovic.
La squadra vive un lento e inesorabile declino, nonostante qualche sparuto piazzamento positivo di fine campionato: nel 2006 retrocede nella serie B serba e oggi milita nel campionato serbo di Prima Categoria…