Buon compleanno, Italia! Le tappe più importanti della storia della nostra nazionale da Pozzo a Valcareggi da Bearzot a Sacchi, fino a Lippi e all’ultimo titolo mondiale vinto.
Una passione che non muore mai
Diciamocela tutta, con un calendario così fitto come lo era quello prima che il Covid si impossessasse delle nostre vite, l’interesse per la maglia azzurra non è lo stesso che il popolo italiano aveva, rispetto agli anni d’oro dei successi della nazionale.
Il Dio denaro, i club che hanno via via aumentato il proprio dominio territoriale per l’appeal che hanno creato competizioni perfette come la Champions League, l’Europa League e, soprattutto i campionati di ogni nazione, hanno creato un po’ di vuoto tra il vero tifo della gente e la squadra azzurra.
Detto questo, nel momento in cui vi è la possibilità di stringersi intorno ad una squadra che rappresenta un intero popolo storicamente affezionato ed appassionato quasi morbosamente al pallone, praticamente tutti rispondono presente.
110 anni di passione
Nella giornata del 15 maggio 2020, giorno in cui usciamo con questo pezzo, la nazionale italiana di calcio compie la bellezza di 110 anni ed è un compleanno che dimostra tante cose, tranne il fatto che, quegli anni, li dimostri.
La maglia azzurra non è solo un meraviglioso appiglio a cui rivolgersi quando “stasera giochiamo contro…”, non c’è più fazione, non ci sono più campanilismi di natura territoriale, non ci sono scontri sul VAR o sulla moviola.
Si rema tutti dalla stessa parte, se non prima della partita quando ci travestiamo tutti da Roberto Mancini.
Tutti CT
Ebbene sì, uno dei due ex gemelli del gol che fece la fortuna, oltre che di altre squadre, della Sampdoria insieme a Gianluca Vialli, è solo l’ultimo Commissario Tecnico nei panni del quale vorremmo tutti entrare quando si tratta di giocare le partite più importanti.
“Come fai a non mettere Rivera dall’inizio?”, “come è possibile lasciare a casa Pruzzo per Paolo Rossi?”, “avrei fatto tirare il primo rigore a Roberto Baggio, non l’ultimo”.
Tutti abbiamo provato a correggere le mosse dei nostri selezionatori in un modo o nell’altro, a loro l’onore e l’onere di fare scelte qualche volta coraggiose, alcune vincenti, altre infelici.
L’esordio con la Francia
Era il 15 maggio del 1910 quando, dopo due anni passati ad ascoltare le imprese di altre nazionali come quelle del Nord Europa, Inghilterra in primis, l’allora Presidente della FIGC Luigi Bosisio, riuscì a mettere tutti d’accordo e diede delega alla Commissione Tecnica Arbitrale di formare una squadra che potesse rappresentare nel migliore dei modi il calcio nostrano.
Un nugolo di giocatori italiani fu chiamato per disputare una partita amichevole con la nazionale francese, travolta in quell’occasione per 6-2 con una tripletta di Pierino Lana e gol di Fossati, Rizzi e De Bernardi.
I trionfi di Pozzo
In quella occasione mancava un vero e proprio allenatore e a dirla tutta anche i giocatori erano suddivisi in un curioso doppio ruolo tra “probabili”, più o meno i titolari e “possibili”, le riserve.
La maglia dei probabili era bianca, quella dei possibili, di un celeste pallido, molto più vicino a quella che conosciamo oggi.
Il primo vero mitico allenatore della squadra nazionale, accorciamo i tempi, non ce ne voglia il lettore, fu Vittorio Luigi Pozzo, unico allenatore capace di vincere due edizioni del campionato del mondo.
Pozzo venne chiamato da Leandro Arpinati a guidare la nostra nazionale nel 1929 per quello che rimane un decennio di clamorosi successi, tra cui i due sopra citati mondiali, un titolo olimpico, che peraltro rimane l’unico conquistato dall’Italia del calcio e un altro paio di titoli internazionali, somiglianti all’attuale Campionato Europeo.
I mondiali arrivarono nel 1934 e nel 1938 e buona parte dei successi dei suoi calciatori fu dovuta al fatto che, oltre alla rigida disciplina per la quale si guadagnò il soprannome di “Tenente”, Pozzo fu il primo ad utilizzare il metodo, per allora rivoluzionario, del “ritiro”, una sorta di clausura, allora era veramente così, che allontanava i giocatori da qualsivoglia tentazione esterna al rettangolo di gioco.
Valcareggi post disastro
Un altro CT che portò in alto il tricolore raffigurato sul petto della squadra italiana, fu Ferruccio Valcareggi, il quale cominciò la sua avventura da allenatore dopo una lunghissima militanza da calciatore in squadre del Nord e Centro Italia, tra cui Bologna, Fiorentina, Milan e Brescia.
Subito dopo la sua ultima stagione da giocatore, nel 1966, si mise a capo della spedizione azzurra all’indomani della terribile avventura ai mondiali di Inghilterra, ancora oggi ricordata per la bruciante sconfitta contro la Corea del Nord.
Due anni dopo Valcareggi portò gli azzurri al trionfo dei Campionati Europei per la prima volta nella storia della nazionale, ma il suo nome è legato soprattutto alla sua presenza in panchina il giorno della partita delle partite.
Tra le tante, quell’Italia–Germania 4-3 alle semifinali dei mondiali, rappresenta probabilmente la partita che più di ogni altra viene ricordata da chi ha una certa età, in un’epoca in cui cominciava piano piano a prendere forma ciò che oggi è diventato la normalità, il calcio in TV.
L’Italia si inchinò in quel mondiale solo a Pelè, nell’ultima, successiva, partita di finale, ma rimane una delle Nazionali più amate dagli italiani, con giocatori rimasti nell’immaginario collettivo come Riva, Mazzola e Rivera.
Il mondiale spagnolo
Dopo un lunghissimo periodo risalente agli anni 30, la sete di vittoria degli appassionati italiani, fu placata dalla spedizione azzurra in Spagna, nel 1982, quando, tra mille polemiche, Enzo Bearzot e i suoi ragazzi riuscirono a mettere in scena un miracolo che rimarrà per sempre nella storia di questo sport.
Erano gli anni in cui si litigava per l’inserimento dei giocatori stranieri nei club, nessuno, uno, due… Ognuno aveva la soluzione per provare ad accontentare tutti.
Quell’avventura cominciò con la clamorosa esclusione di Roberto Pruzzo a favore di Paolo Rossi, centravanti a cui “il grande vecchio” diede le chiavi di tutto il reparto offensivo di quella nazionale.
La scelta scatenò una marea di mal di pancia, poiché il giocatore juventino era rientrato da pochissimi mesi dalla squalifica per il calcio scommesse, ma ben presto, dopo una fase a giorni decisamente incolore e il conseguente silenzio stampa imposto ai nostri calciatori, poteva parlare con la stampa solo il capitano Dino Zoff, Rossi si scatenò centrando sei gol consecutivi, tra i quali la fantastica tripletta al Brasile.
L’Italia superò in finale la Germania Ovest per 3-1 con i gol di Rossi, Tardelli e Altobelli.
Dalle notti magiche ad Arrigo Sacchi
L’Italia partecipò alla 14ª edizione dei Campionati del Mondo di Calcio come Paese ospitante, era il 1990 e i nostri ragazzi vennero affidati ad Azeglio Vicini, tecnico gentiluomo, poco incline alle pubbliche apparizioni.
L’Italia mise un atto un cammino senza infamia e senza lode, presentando al mondo intero un’organizzazione perfetta, condita dagli occhi spiritati di Totò Schillaci, autentico eroe del cammino degli azzurri fino alle semifinali, quando l’Argentina Campione in carica eliminò la nostra nazionale a Napoli, laddove Maradona era un vero e proprio re incontrastato.
Proprio Schillaci portò avanti gli azzurri, raggiunti nel secondo tempo da un gol di Caniggia che mise così fine all’imbattibilità di Walter Zenga che durava da 518 minuti.
Ai rigori Donadoni e Serena non riuscirono a superare Goycoechea che portò i suoi in finale, persa poi con la solita Germania Ovest.
Alla fine dell’avventura di Azeglio Vicini, dopo il quinquennio fantastico che portò al Milan ben due Coppe dei Campioni, Arrigo Sacchi venne chiamato in nazionale dove il suo gioco innovativo e per l’epoca rivoluzionario, non ottenne lo stesso effetto.
Sacchi riuscì a centrare la finale al Campionato del Mondo negli Stati Uniti, anche qui non prima di accese polemiche che culminarono in una clamorosa sconfitta contro il Pontendera prima di partire per gli States. Fu tradito sul più bello da Roberto Baggio che sollevò sopra la traversa il rigore che permise al Brasile di vincere quel mondiale dopo averci trascinati alla finale di Pasadena.
L’era Lippi e il nostro ultimo acuto
L’ultimo trionfo ad un mondiale risale al 2006, quando l’Italia non partì di certo coi favori del pronostico.
Anche quella spedizione venne battezzata da tutta una serie di polemiche: si era in piena bufera Calciopoli e lo stesso Lippi aveva un coinvolgimento nella vicenda essendo un simbolo della Juve «moggiana» e vedendo il figlio procuratore coinvolto nello scandalo Gea World.
Come insegna la storia del nostro calcio, l’atmosfera pesante e il senso di accerchiamento esaltano le qualità del complesso, e Lippi riesce a compattare magistralmente questo gruppo di calciatori come aveva fatto con la sua Juve negli anni precedenti.
Partiti in sordina gli azzurri salgono di tono partita dopo partita, fino ad un’altra semifinale storica contro la Germania con il gol di Grosso allo scadere dei supplementari a regalarci una delle gioie più grandi della nostra vita da tifosi.
Oggi come oggi il trionfo in terra tedesca, viene ricordato come una delle imprese più belle dello sport italiano e il successo italiano acciuffato a fine supplementare, ha il sapore di quei dolci ricordi che non si dimenticano.
La finale vinta ai rigori con la Francia, rimane l’atto finale della conquista del nostro ultimo titolo internazionale.