Il nome vero è Ferdinand Lewis Alcindor jr., il periodo di nascita è quello dell’immediato dopo guerra americano, la città è New York, a quell’epoca in piena espansione.
Il 16 Aprile di quel 1947 nessuno nella Grande Mela poteva immaginare che in qualche punto di Harlem era appena nato il pivot cestistico destinato a cambiare per sempre il gioco.
Il dominio alla High School e al College
Si capisce da subito che il piccolo Lewis poi tanto piccolo non è. Ha gambe lunghissime proporzionate a delle braccia telescopiche. Insomma un corpo fatto per mettere la palla nel cesto.
Ed infatti già alla High School impone la legge del più forte guidando la “Power Memorial Academy” della sua Harlem a tre titoli consecutivi impreziositi dal record di 71 vittorie senza sconfitte.
È ovvio come, uno così, il college basketball non possa lasciarselo sfuggire. Lewis Alcindor jr. vola quindi in California alla prestigiosa UCLA, e li giocherà sotto la guida del leggendario coach Wooden dal 1967 al 1969. Saranno tre stagioni di dominio assoluto, con appena due sconfitte in totale.
Ci provano in tutti i modi a limitarlo. In primis i coach di mezzo paese, novelli architetti alle prese con la progettazione di gabbie con cui le difese dovrebbero mitigare lo strapotere di Alcindor.
Ci prova anche la stessa lega NCAA, che introduce una cervellotica regola secondo cui non è più possibile schiacciare. La regola di per se è da teatro dell’assurdo e soprattutto produce solo l’effetto opposto. Infatti l’impossibilità di arrivare al ferro permette al giovane Alcindor di affinare tutta una serie di capacità tecniche e di ball handling che altrimenti avrebbe trascurato, perché troppo dominante sotto canestro.
Nasce quindi in questo periodo la vera statura tecnica del non ancora Kareem Abdul Jabbar, che riesce a distinguersi dalla massa di pivot statuari, ma ineducati tecnicamente, che abbondava nel basket dell’epoca.
Jabbar è ancora più forte di Alcindor
All’alba del decennio 70′, Alcindor è pronto per il salto nell’NBA. Viene scelto al numero 1 nel draft del 1969 dai Milwaukee Bucks.
La prima stagione è un assaggio di quello che verrà: Alcindor gioca tutte le partite da titolare, è rookie dell’anno e trascina i suoi fino alla finale di conference contro i New York Knicks di Willis Reed che poi vinceranno il titolo contro i Lakers di Jerry West in una delle serie di finals più leggendarie di sempre.
L’anno dopo cambiano alcune cose. Il nome anzitutto. Infatti Alcindor giocherà la sua ultima stagione con quel nome, essendosi convertito anni prima all’Islam e facendosi chiamare Kareem Abdul Jabbar. Poi sempre in quell’anno arriva a Mailwaukee l’ultimo tassello per completare una squadra da titolo, vale dire quell’Oscar Robertson già MVP nel 1964, pronto ad un canto del cigno vincente con la maglia dei Bucks.
La stagione è perfetta e questa volta nulla può fermare Jabbar e compagni. Per il gioco della riorganizzazione delle squadre NBA, questa volta Milwaukee è inserita ad ovest, e batte in finale di conference i Lakers. Nelle finals contro i Baltimore Bullets non c’è storia, testimoniata da un perentorio 4-0. In tutto il percorso di playoff i Bucks vincono 12 partite e ne perdono appena 2. Un dominio quasi imbarazzante.
Per alcuni, gli anni della maturazione di Jabbar sono i più dominanti e sono legati alla sua militanza nei Bucks, che si conclude nella stagione 74/75. L’ultimo anno la squadra non centra l’accesso alla post season, e Kareem decide di fare ritorno in California, per indossare la canotta Lakers.
Che giocatore era Kereem Abdul Jabbar
A questo punto è utile contestualizzare che cosa fosse Jabbar per l’NBA dell’epoca, e quale impatto potesse avere sulla lega un giocatore simile.
Dal punto di vista fisico parliamo di un corpo dominante per essere negli anni 70‘. Kareem Abdul Jabbar è alto 2.18 con un fisico all’apparenza esile per un peso di circa 102 kg.
Dal punto di vista tecnico è senza mezzi termini una specie di ircocervo della palla a spicchi. Bob Cousy, leggendario play dei Boston Celtics, lo ha definito così:
Kareem da solo riesce a combinare molto bene le capacità nelle quali eccellevano Bill Russell e Wilt Chamberlain
Bob Cousy
È facile dunque immaginare come essere il riassunto tecnico del miglior difensore e del miglior attaccante mai comparsi su un parquet, sia abbastanza per dominare la Lega.
Ma se parliamo di tecnica pura, Kareem Abdul Jabbar è ricordato soprattutto per il celebre Sky Hook, vale a dire il gancio cielo che lo rendeva letteralmente immarcabile per i difensori avversari. Si tratta di un movimento da svolgere lontano da canestro, che porta l’attaccante ad effettuare il tiro con una sola mano riuscendo a creare separazione dal difensore con l’altra.
Il livello di perfezione con cui Jabbar eseguiva questo fondamentale era assolutamente abbacinante e nessuno era in grado di trovare contro misure. Anche perché Kareem era in grado di eseguire il tiro sia con la mano destra che con quella sinistra, e la sua sensibilità nei polpastrelli gli consentiva di provarlo anche da distanze proibitive per altri.
Lo sky hook divenne quindi il marchio di fabbrica per un giocatore che però sapeva farsi valere su entrambi i lati del campo. Jabbar era infatti uno stoppatore implacabile grazie al senso della posizione, unito a dei tempi di gioco eccezionali. Il tutto ovviamente agevolato dalle telescopiche braccia già citate in precedenza.
Per finire grazie alla statura e all’intelligenza cestistica era anche un rimbalzista coi fiocchi e un tiratore di liberi affidabile avendo chiuso la carriera con un 72% in regular season e 74% nei playoff dalla linea della carità.
Jabbar nel mito dei Lakers
La parte della carriera più ricca di soddisfazioni per Jabbar è quella del periodo Lakers. Non tanto l’inizio a metà anni 70, con una squadra non sempre attrezzata per l’arrivo in post season, quanto negli anni 80.
Un Kareem Abdul Jabbar già esperto, da ormai un decennio padrone dell’NBA vede nascere la stella di Earvin “Magic” Johnson. Nascono così i Lakers dello show time, resi possibile da due scherzi della natura come Jabbar e Magic, fisico da corazzieri e mani da raffinati liutai.
Lo spettcolo sgorga prepotente per tutti gli anni 80 a Los Angeles e in tutta l’NBA, sorretta prima dalla rivalità tra Lakers e Celtics e poi dall’accecante astro nascente di Micheal Jordan.
In tutto questo turbillion di stelle, Kareem Abdul Jabbar sembra quasi affievolire il suo mito, ma il campo è sempre gentiluomo e i numeri non mentono. Nel suo periodo Lakers, Jabbar completa una mano, mettendosi 5 anelli al dito ( 80, 82, 85, 87, 88) e trova anche il tempo di essere MVP della regular season nelle annate 76′, 77′ e 80′ e delle finals 1985.
Il suo apporto è decisivo ed innegabile, e forma con Magic un duo in grado di comandare le partite in entrambe le metà campo. Quella rimane una delle formazioni di basket più forte di tutti i tempi, senza dubbio quella con l’asse play-pivot più devastante di sempre per conformazione atletica dei protagonisti e per le capacità tecniche di primissimo ordine.
I numeri record di Kereem Abdul Jabbar
Proviamo anche a spiegare Kareem Abdul Jabbar attraverso qualche numero, senza il timore di sminuire la portata di un atleta leggendario. I numeri del resto non sono altro che la rappresentazione statistica di un dominio durato quasi 20 anni.
- Miglior marcatore della storia NBA con 38.387 punti;
- 6 titoli NBA: 1 con i Bucks (1971) e 5 con i Lakers (80, 82, 85, 87, 88);
- 6 volte MVP della regular season (71, 72, 74, 76, 77, 80);
- 2 volte MVP delle finals (71, 85);
- 2 volte miglior marcatore NBA (71, 72);
- 4 volte miglior stoppatore NBA (75, 76, 79, 80);
- 1 volta miglior rimbalzista NBA (76);
- 19 convocazioni all’All-Star Game;
- 15 volte All-NBA Team (10 volte first team, 5 volte second Team)
- 11 volte All-NBA difensive team ( 5 volte first team, 6 volte second team)
A tutti questi numeri, all’apparenza freddi, ma scaldati dalla classe di Jabbar sul parquet, vanno aggiunti i doverosi riconoscimenti di membro dell’Hall of Fame dal 1995, e della lista dei migliori 50 giocatori di sempre stilata nel 1997.