I più giovani ricorderanno il nome di Gaetano Scirea per essere un punto fermo della Nazionale Campione del Mondo nel 1982, il quella formazione che venne spesso recitata come un mantra che cominciava con “Zoff, Gentile, Cabrini..”.
E Scirea. Un libero d’altri tempi che come un metronomo teneva tutto in ordine dando sempre l’impressione di avere tutto sotto controllo. Senza affanni, senza eccessi, in maniera limpida, pacata e umile. Così come era stato lui in vita, senza quasi accorgersi di essere stato uno dei più grandi del mondo.
La storia calcistica
Anche in quanto a carriera calcistica Scirea è un caso abbastanza particolare. Sono in pratica soltanto due le squadre che possono annoverarlo tra gli iscritti: l’Atalanta e la Juventus.
Dopo le trafile giovanili tra i bergamaschi infatti, esordisce in Serie A in maglia nerazzurra (era il settembre del 1972, in un pareggio a reti inviolate contro il Cagliari). In quegli anni il ruolo di Scirea non è ancora chiarissimo, facendo la spola tra il libero e la mezzala, grazie alle sue tante doti utili anche a centrocampo.
Soltanto due stagioni dopo, in Serie B, diventò titolare fisso appropriandosi di quello che da lì in poi sarebbe stato il suo unico ruolo: il libero.
Quando nel 1974 giunse alla Juventus, questo giovanotto di Cernusco sul Naviglio avrebbe dovuto fare il sostituto e farsi le ossa, ma finì per giocare 28 delle 30 partite della stagione che valsero il titolo ai bianconeri (e il suo primo trofeo nazionale).
Da allora di trofei e di vittorie ne arrivarono parecchie altre: 7 scudetti, 1 coppa dei campioni, 2 coppa italia, 1 coppa Uefa, 1 coppa intercontinentale, 1 coppa delle coppe, 1 supercoppa. E ovviamente quel trionfo mondiale del 1982 con la nazionale, che in tutto il periodo di Fulvio Bernardini ed Enzo Bearzot vide in Scirea il perno fondamentale davanti alla difesa.
Conclusa la sua attività sul campo, fu quindi quasi naturale per Scirea accettare le proposte della Juventus che lo affiancò al suo fedele compagno e tutor dei primi anni, Dino Zoff, come allenatore in seconda e osservatore. Nessuno mai pensava che proprio quel ruolo, decretasse anche la fine del grande campione.
3 Settembre 1989
La Juventus stava provando così ad aprire un nuovo ciclo con in panchina la storia stessa della società, Zoff e Scirea. Una Juve un po’ più “operaia” a arcigna, come voluta dallo stesso allenatore.
Erano arrivati Schillaci e Casiraghi in attacco, Bonetti in difesa, mentre a centrocampo erano Marocchi e Galia a tirare la carretta. Mentre erano usciti definitivamente altri pezzi di storia come Cabrini, Altobelli e Laudrup.
C’era molto di nuovo insomma, con tanta voglia di fare bene in campionato e nelle coppe. E mentre la Juve passeggiava in campionato contro il Verona nella seconda giornata (4-1), Scirea era stato spedito nella lontana Polonia per visionare i prossimi avversari europei (il Gornik Zabrze).
Altri tempi quelli, in cui si tornava davvero in macchina da quei lunghi viaggi, tenendosi anche dietro un paio di taniche di benzina per non rimanere a piedi lungo la strada del ritorno. Perchè a casa ad attenderlo c’erano la moglie Mariella e il figlio Riccardo, che ancora non sapevano che quel “Vado a messa, stasera torno a casa” sarebbero state le ultime parole del loro amato Gaetano.
Sulla strada di casa di quel 3 Settembre 1989 infatti, l’autista della macchina di Scirea effettua un sorpasso che si rivelerà troppo azzardato, scontrandosi frontalmente con un furgone sulla corsia opposta. E’ una tragedia. La FIAT 125 prende letteralmente fuoco grazie anche alle taniche di benzina presenti, non lasciando scampo per Scirea, l’autista dell’auto e un interprete. Salvo per miracolo invece il dirigente del Gornik che era volato via dalla vettura durante lo scontro.
L’ addio a Gaetano
Non erano certo i tempi dell’internet e dei social, per cui la notizia della morte di Scirea venne data in prima visione durante la Domenica Sportiva da un commosso Sandro Ciotti, lasciando il lacrime anche un Marco Tardelli presente in studio e che dovette allontanarsi per lo sconforto insostenibile.
Da quel momento la notizia rimbalza sempre più velocemente lascianto tutti con il cuore in mano, e nella tragedia le voci che si sentono lasciano un quadro sempre più definito della grandezza dell’uomo Scirea, più ancora che del calciatore.
Trapattoni lo definisce “Leader con il saio”, mentre Bearzot ne dirà molto più semplicemente come di un “Angelo”. Boniperti ne sottolinea le “Qualità fuori dal comune… dotato di spessore umano e pulizia morale, un fuoriclasse anche nella vita” (del resto proprio lui avrebbe voluto farne un punto fermo della dirigenza bianconera).
I suoi compagni di squadra ne hanno tessuto le lodi in campio e fuori, raccontando ognuno aneddoti particolare che un legame così forte si porta dietro. Furino ricorda una partita in cui dopo aver preso un forte pestone sul piede destro, giocò tutta la partita anche senza usarlo mai toccando il pallone solo con il sinistro. Il Barone Causio invece pone l’accento sulla sua calma incredibile:
Era timido e buono, forse persino troppo. Spesso gli dicevo di reagire, di essere un po’ più cattivo con gli avversari: quella sua serenità mi faceva persino incavolare. E lui sapete che cosa mi rispondeva sempre? “Non ci riesco”. Lo diceva con il sorriso sulle labbra, era disarmante.Non l’ho visto una sola volta arrabbiarsi, diceva che non ne valeva la pena, e a posteriori devo ammettere che aveva ragione lui.
Franco Causio
E poi Zoff naturalmente, che con lui aveva condiviso la camera in mille trasferte, in una coppia talmente tranquilla che lo stesso Tardelli a volte finiva per andare da loro a calmarsi chiamandola “La Svizzera” tanto regalava pace e serenità.
Insomma tutti, ma proprio tutti, quelli che hanno avuto a che fare con Gaetano Scirea, sono rimasti irrimediabilmente colpiti e toccati dalla sua umanità, di cui anche oggi, più di trenta anni dopo, si sente tanto la mancanza.