Era l’inizio degli anni ottanta quando “Fuga per la vittoria” arrivò sul grande schermo, trascinato dalla popolarità raggiunta in quel momento da un Sylvester Stallone con ancora l’incredibile successo dei guantoni di Rocky addosso. E anche questa pellicola era destinata in qualche modo, a entrare nella storia. Così come quella “partita della morte” realmente avvenuta, anche se la verità è piuttosto diversa dalla finzione cinematografica.
Fuga per la vittoria – Il film
La trama del film è piuttosto semplice: siamo in piena seconda guerra mondiale e grazie alla passione per il calcio di un ufficiale nazista, viene organizzata una partita tra gli stessi soldati della base e i prigionieri.
Le intenzioni puramente sportive però vengono presto sostituite da una parte per la propaganda nazista (tanto da schierare la nazionale tedesca in campo), dall’altra come possibilità di fuga dal campo di prigionia.
Ma come si dice spesso, il calcio non è solo un gioco. E anche in questo caso, la partita diventa “vera” al punto da abbandonare i rispettivi propositi e giocare realmente per la vittoria sul campo (malgrado le ovvie difficoltà di una delle due parti).
Nel film impiegati oltre a “Sly” e altri attori del calibro di Michael Caine, anche veri giocatori di calcio di grande spessore: dal Dio del calcio Pelè, a tanti altri professionisti come Bobby Moore, Osvaldo Ardiles, Kazimierz Deyna, Paul Van Himst, Mike Summerbee, Hallvar Thoresen, Werner Roth e altri.
Quello però che forse molti non sanno, è che lo spunto per questa sceneggiatura è reale. Anche se decisamente più drammatico.
Fuga per la Vittoria – La vera “partita della morte”
Siamo sempre intorno al 1942, ma questa volta nell’Unione Sovietica appena invasa dai nazisti. In quel periodo, il calcio era un gioco molto in voga nei paesi dell’est, e proprio utilizzando questo sport le forze di occupazione cercavano di comunicare l’illusione di una vita ancora tranquilla e pacifica ai popoli soggiogati.
Per il motivo opposto, ritrovare la speranza, l’ex portiere della Dynamo Kiev Nikolaj Trusevič aiutato del titolare del panificio dove lavorava, aveva ricostruito una squadra di calcio coinvolgendo alcuni dei suoi vecchi compagni di team e qualche elemento dei “rivali” della Lokomotyv Kiev, radunati tutti sotto il nome di F.C. Start.
E proprio sui campi di calcio dell’Ucraina questa squadra si fece notare dai vertici nazisti, che pensarono bene di sfruttarla organizzando vari match di propaganda contro formazioni tedesche. Le cose però non andarono come sperato. Persero subito vari incontri in maniera anche abbastanza netta, ogni volta cercando di rimpolpare la squadra con elementi sempre più forti. Finchè non divenne un vero e proprio affare di stato, tanto da costringerli a organizzare un ultima partita ufficiale sotto i riflettori del Reich. Dovevano assolutamente vincere. Ma non ci riuscirono.
Quello che si sa di certo fu che si disputò allo Zenit Stadium di Kiev, si dice davanti a un folto pubblico nonostante la grande presenza di forze dell’ordine scoraggiasse qualsiasi tifo a favore degli Ucraini. Ma ormai il calcio era andato ben oltre la semplice competizione sportiva. Era un modo per emanciparsi dall’occupazione nazista. Era il popolo Ucraino contro lo strapotere degli invasori tedeschi.
E gli undici in campo lo dimostrarono subito. Prima rifiutando di fare il saluto nazista come gli era stato ordinato. Poi sommergendo i tedeschi con un 5-3 finale, malgrado le difficoltà fisiche e psicologiche (si racconta di un arbitraggio palesemente schierato, proprio come nel film in questo caso), e nonostante fosse evidente come avessero tutto da guadagnare nel perdere quella partita.
Purtroppo il finale ebbe esito ben diverso da quello del film. Malgrado la vittoria, e anzi proprio per quella, la squadra Ucraina fu spedita in vari campi di concentramento, con le immaginabili conseguenze.
Ma il gesto eroico dei protagonisti, quello, rimarrà immortale.