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Segnare i tempi, oltre ai gol. Carolina Morace continua a far parlare di sé, del suo messaggio, di quel coraggio che non ha unità di misura ma che resta d’indiscutibile quantità. Banalmente: se oggi guardiamo il calcio femminile con occhio meno curioso, meno sorpreso, inconsapevolmente le dobbiamo un grado di maturazione che difficilmente avremmo raggiunto senza tutto quello che ha saputo compiere.

Il calcio non è sport per uomini: il calcio è il calcio, non ha mai avuto distinzioni d’alcun tipo, figuriamoci se può incastrarsi nelle differenze di genere.

Carolina Morace è stata però il trampolino verso un fiume di possibilità, un passo enorme verso quel professionismo che a partire dal 2021 – più probabilmente 2022 – l’attuale Governo ha garantito alle massime autorità della divisione femminile della FIGC. E’ stato un faro: non nella tempesta, bensì nel vuoto. A partire da quel 1999: era la Viterbese di Gaucci, era una vita fa. Appena tolti gli scarpini, indossava il vestito di allenatrice. Nel maschilista e maschile mondo del calcio.

Innanzitutto, Carolina

Una vita sul campo, quella di Carolina. Che nasce a Venezia il 5 febbraio del 1964 e che per vocazione – non solo per mestiere – fa l’attaccante.

A 14 anni è già sui campi, è una spanna sopra le compagne e presto si distinguerà anche in Nazionale. In totale, realizzerà oltre 4000 gol in carriera, 12 volte da capocannoniere della Serie A femminile; in azzurro arriverà invece a 153 partite con 105 gol all’attivo.

Nel ’98, a 34 anni, decide che dopo oltre vent’anni di carriera è arrivato il momento di studiare, d’ingegnarsi, di essere sì portavoce del movimento ma con compiti diversi. Il primo? Da commentatrice – che ancora oggi ricopre con Sky Sport -: il primo contatto con il mondo televisivo è a Telemontecarlo, è l’estate dei Mondiali in Francia.

Il suo sogno però è un altro, è ben più legato al campo e all’atmosfera degli spogliatoi, della vita e dell’adrenalina che solo il campo sa regalare. Inizia pertanto a guidare la Lazio femminile, cioè in famiglia: vi aveva giocato dal 1982 al 1984, poi ancora dal 1987 al 1989. Settanta reti a referto, ma quella era una storia da azzerare, toccava rifare tutto dal principio. O forse no. Forse il destino aveva in serbo qualcosa di più grosso.

Grosso, sì. Quanto Luciano Gaucci, noto patron del Perugia, che con la Viterbese appena acquistata aveva in mente un paio di idee rivoluzionarie.

Più per marketing che per fiducia, probabilmente. Tant’è: dopo la promozione della squadra laziale in C1 per la prima volta nella sua storia, non riconferma Paolo Beruatto – autore della promozione appena arrivata – e opta per Carolina Morace. Subito, in panchina, a guidare un gruppo di uomini in arrivo dalla grande vittoria di un campionato complicatissimo. L’ex attaccante accetta di buon grado: curiosa, volenterosa, sa che a prescindere dalle reali motivazioni può continuare a lasciare il segno. Ovviamente, è un unicum. Che traccia un solco profondissimo su tutti i preconcetti.

L’avventura

Oh, giusto per capirsi: Gaucci, che aveva giocatori come Liverani, l’argentino Turchi e il portiere Fimiani in campo, è uno che con monotonia e abitudini aveva poco da condividere. Portò a Perugia il secondo giapponese della Serie A dopo Miura, poi il primo cinese, dunque a Viterbo la prima donna.

La più celebre calciatrice italiana, fresca di patentino, per una squadra professionistica maschile. Chiaro: l’attenzione si moltiplicò. Tutti seguivano il risultato della Viterbese: alle soglie del 2000, sembrava una rivoluzione più facile da assimilare, non per questo meno complessa per la protagonista.

Era determinata, Morace. Con sé, dopo mille battaglie, riesce ad avere la vice Betty Bavagnoli (oggi allenatrice della Roma femminile) e il preparatore atletico Luigi Perrone. Gaucci fa un po’ di resistenze, poi acconsente, complice anche l’attesa che sta montando.

Il cinque settembre del 1999 inizia il campionato, e accade subito in casa: al Rocchi, pienissimo, arriva il modesto Marsala che sulla carta non dovrebbe far paura. E’ subito vittoria, è 3-1 netto per i laziali. Ed è una grande storia da raccontare: il Time, la paragona a Michael Jordan per l’influenza che ricopre nel suo sport. Soltanto in patria, come dice il detto, non riesce ad essere profeta.

No, a Viterbo non hanno di buon occhio la situazione. Sanno che è esplosiva, che una squadra “non si costruisce con la pubblicità”. L’8 settembre, la Viterbese alza dunque la voce: allenatore, calciatori e tifo organizzato annunciano un silenzio stampa dopo gli ultimi attacchi nei confronti del tecnico. Il 12 settembre, arriva la trasferta di Crotone: l’ambiente è teso, anche Carolina è arrabbiata. Ma non con i detrattori, semmai con la sua società. Ha preferito il silenzio a una difesa a spada tratta. In Calabria, comunque, termina 5-2 per i padroni di casa. La lunga estate, d’attesa e di cambiamenti, rischia di sciogliersi alle primi luci d’autunno.

La lite e l’addio

La stampa, giustamente, fa ciò che deve. E i racconti si sprecano: dopo le voci di un Gaucci non soddisfatto neanche della gara con il Marsala, il patron esce allo scoperto dopo la batosta di Crotone. Al rientro del gruppo, il presidente e Morace hanno un alterco che termina con le dimissioni dell’allenatrice. Per tanti, sembrava un piano ben architettato sin dal principio: far parlare della Viterbese, attirare l’attenzione sulla grande innovazione, scaricarla una volta incassato ciò che doveva essere incassato.

Il 13 settembre del 1999, Carolina saluta tutti: gli screzi con il patron sono irreparabili, poco dopo sarà resa nota la volontà di Gaucci di affidarle un tutor, un supervisore che sostituisse Betty Bavagnoli e che collaborasse con Perrone. Insomma, il patron aveva colpito il punto debole, la fiducia nel team di lavoro che l’ex attaccante aveva messo insieme per un’avventura che andava ben oltre il campo. Che era un simbolo. Non una mera questione di sponsor.

Il silenzio con cui Morace abbandona Viterbo sarà storico, farà male. Quell’annata, per la Viterbese, si chiuderà con un quarto posto e con l’eliminazione ai playoff in semifinale contro l’Ascoli. Ma anche con quattro allenatori. Morace passerà dalle panchine di nazionali femminili come Italia, Canada e Trinidad&Tobago, ma non vestirà più i panni di capo allenatore in una squadra maschile. Chissà se ogni tanto ripensa alle promesse di Gaucci, a come sarebbe andata se avesse tenuto duro. Un po’ di più. Un po’ per tutte.