Il 17 febbraio del 1530, Carlo V, della famiglia degli Asburgo, assediava Firenze e i fiorentini provando l’ingresso in città direttamente dalle mura che ne cingono il perimetro. Mai assedio fu più fallimentare. I fiorentini, decisi più che mai a difendere la libertas di Florentia, si divisero schierandosi per zone, riuscendo con l’orgoglio cittadino e la grande organizzazione militare, oltre ad un’ottima preparazione atletica generale, a respingere gli attacchi del Re forestiero.
Una storia millenaria
Stando alla vox populi, è questa la data, e l’evento, ai quali far risalire la nascita del cosiddetto Calcio Storico Fiorentino. L’aneddoto storico, dai contorni assai più tragici, ma altrettanto veritieri, spinge in realtà la datazione del folklore sportivo fiorentino a molti secoli più in là rispetto alla vera data di nascita del gioco. Secondo gli esperti, il calcio storico risale almeno ai tempi della primissima fondazione di Florentia ad opera di Giulio Cesare (ormai più di 2000 anni fa, per la precisione nel 59 a.C.). In effetti, tanto l’estetica quanto l’etica del gioco ricordano i divertimenti sportivi dei legionari romani.
Secondo una testimonianza di Svetonio, storico romano, «al termine delle guerre civili [Augusto] rinunciò agli esercizi militari dell’equitazione e delle armi e, inizialmente, si diede al gioco di palla e pallone. » (Svetonio, Augustus, 83).
Tutto molto generico, perché il gioco di palla e pallone potrebbe essere qualunque cosa. Eppure, non c’è fiorentino che veda in questa rapida descrizione altro che il calcio storico. In effetti, era diventato costume dei legionari romani, al termine delle campagne belliche, riunirsi e darsele di santa ragione, ma con un pallone spartito tra mani e piedi, per il semplice scopo di tenersi in allenamento. In ogni caso, è senza dubbio il 1530 l’anno di consacrazione, se vogliamo di fondazione, della disciplina nel modo in cui la conosciamo oggi.
Le regole del calcio fiorentino
«Too small to be a war, too cruel to be a game», recita una celebre battuta del Re di Francia Enrico III, datata 1574, quindi a distanza di qualche decennio dalla famosa debacle bellica di Carlo V d’Asburgo.
Vediamo allora qualche regola sul gioco – se è lecito chiamarlo tale.
Su di un campo rettangolare e sabbioso, sullo stile dei colossei romani, 54 « calcianti » (27 per squadra) si sfidano a tutto campo (80 metri per 40 metri) con lo scopo di segnare una « caccia »; non chiamatelo goal, ma il senso più o meno è quello.
Si segna con le mani, non con i piedi, ma la sfera in cuoio può essere condotta con ogni parte del corpo. L’aspetto curioso del gioco non riguarda tuttavia le regole, un mix tra rugby e calcio, quanto il suo svolgimento.
Al fine di liberare uno spazio da percorrere al fine di segnare una «caccia», sul rettangolo sabbioso si formano continuamente duelli singoli tra i calcianti, duelli nei quali l’unica cosa che conta è stendere l’avversario – con qualsiasi mezzo. Negli ultimi anni sono state aggiunte delle regole – non si attacca da dietro, non si attacca da terra – per evitare alcune denunce che, con il crescere della popolarità mediatica del gioco, hanno colpito calcianti e squadre di Firenze – su tutte i Bianchi e gli Azzurri.
Le squadre e i giocatori
Le squadre sono le stesse dal Rinascimento. Sono tutte di Firenze e si rifanno ai quattro principali quartieri della città: sono i Rossi di Santa Maria Novella, i Bianchi di Santo Spirito, i Verdi di San Giovanni – fortissimi negli anni ’90, ora in calo – e gli Azzurri di Santa Croce.
Nel decennio che sta per concludersi, la squadra che ha dominato il gioco – quest’anno fermo causa Covid – è stata quella del quartiere di Santa Maria Novella (i Rossi).
Il gioco si è fermato solo in tre circostanze per più di 500 anni: la pandemia che stiamo vivendo, l’alluvione del ’66 e la Prima Guerra Mondiale.
I calcianti, più che descriverli, andrebbero conosciuti. Scambiarci quattro chiacchiere è il miglior modo per capirne la natura. Trattasi di ragazzi e adulti dalla prestanza fisica notevole: sono tutti o pugili o rugbisti, in ogni caso gente abituata a darle e prenderle.
Uno dei principali motivi d’attrazione per il pubblico e di repellenza per il grande pubblico è infatti proprio quello legato alla violenza del gioco. L’introduzione di alcune regole, sopra citate, volte alla diminuzione del pericolo per la salute dei calcianti, ha funzionato solo a metà.
Non si contano gli infortuni durante il torneo, né quelli durante la partita. Difficilmente una squadra che arriva in finale giocherà con gli stessi calcianti con cui ha vinto la semifinale. C’è chi gioca con le ossa rotte, letteralmente. E solo per l’onore di Firenze, anche perché i calcianti non percepiscono alcuna retribuzione.
Orgoglio Fiorentino
Certo, se a mancare sono i soldi ciò che proprio non manca è la gloria eterna. Giocare il calcio storico è per un fiorentino un vanto da narrare alle generazioni future. È il simbolo più puro di Firenze, di una città che muta coi tempi senza cambiare mai. Che si riscopre giocherellona persino nella violenza più estrema, dal sentimento primitivo nonostante l’eccellenza culturale che sorregge i calcianti e la città intera nella marcia dal proprio quartiere al campo della finale.
Poi la partita, dopo settimane di allenamento sferzante – a partire da febbraio. Va ricordato ancora una volta che il calciante non è un mestiere, e che ognuno dei partecipanti ha già un lavoro nella vita privata. Ecco perché non sarebbe male per loro l’introduzione di un’assicurazione per la salute che vada a coprire i danni lasciati dal gioco, spesso irreparabili.
L’episodio più celebre è senza dubbio quello del calciante – non ci è noto il nome – che perse un occhio nel campo di battaglia, continuando a giocare con un occhio stretto nel pugno e un altro vigile sul colpo da sferzare.
Nell’antica Roma, l’antenato del calcio storico era l’Harpastum. Dal verbo greco ἁρπάζω (harpázō), «strappare, acchiappare, portar via con la forza». Molti giochi sono andati perduti nel tempo, ma quello del calcio storico no. Si è solo trasferito da una legione a un’altra. Nel segno di Roma e dell’Impero Romano. Nel segno della Guerra e del Dio Marte, che venera i calcianti, orgoglio di Firenze.