Quando pensiamo al trequartista, a chi o a che cosa pensiamo? Definire cosa sia una punta, o un portiere, non è solo più facile, ma anche più esatto. Una punta, di solito, deve segnare, mentre un portiere deve parare – certo, gli ultimi sviluppi del calcio moderno ci porterebbero, specie d.N. (dopo Neuer), a rivedere anche quest’ultimo assunto: sembra quasi che gli estremi difensori, oggigiorno, siano perlopiù valutati in quanto estremi offensori. Ma torniamo a noi.
Quando definiamo un trequartista, dobbiamo in primo luogo chiederci quando accada un trequartista e non cosa sia un trequartista. Antonio Cassano, ad esempio, nasce al Bari come seconda punta e nella sua carriera arriverà a giocare come prima punta. C’è davvero bisogno di dire che Cassano, in realtà, è stato un geniale trequartista? In 400 partite di Serie A, Fantantonio ha segnato 112 reti, mandando a rete i compagni di squadra in 76 occasioni.
Contro domanda: ma allora il trequartista è un assist-man? Anche, ma non solo. Ecco allora che definire il trequartista è possibile nella misura in cui è il quando a definirlo, se volete il come, ma non il che. Quando Gilardino, nella semifinale dei mondiali in Germania 2006, contro i tedeschi, aspetta Del Piero e lo serve con un tocco palmato,con Pinturicchio che pennella sul secondo palo, ecco che Gilardino, lì e per sempre, è stato trequartista. Ma chi s’azzarderebbe a dire che Gilardino era un trequartista? Fortunatamente, nessuno.
Essere Trequartista: l’importanza del come
Il quando, allora, non ci basta ancora. Diremmo che il come, più che il quando, sovviene alla definizione del trequartista. Forse essere un trequartista è una dote innata. Non si tratta solamente di “mandare a rete” un proprio compagno di squadra, ma di “inventare calcio”. In questo senso, nessun giocatore come Juan Roman Riquelme merita il titolo di trequartista. Di lui, ebbe a dire un certo Jorge Valdano:
Chiunque, dovendo andare da un punto A ad un punto B, sceglierebbe un’autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi
Il rischio di queste parole è di percepirne solo l’ultima parte, quella della bella inutilità del trequartista.
Come sempre, però, è il linguaggio a farci questo scherzetto. Perché “bello”, in greco come in latino, ha un significato molto più ampio di quello, meramente estetico, a cui noi oggi lo riduciamo: bello significa in primo luogo ciò che sta bene insieme, ciò che è armonioso. Il bello non è inutile, tutt’altro; appunto, è bello.
E se di bello si deve parlare, nessuna ruleta, nessun pase ha avuto interpreti così straordinari come Riquelme. Il trequartista, però, è anche e in primo luogo un ruolo all’interno del terreno di gioco. Nel 4-3-2-1 di ancelottiana memoria, un grande ruolo ebbero i trequartisti. Prima Kakà e Rui Costa, poi Kakà e Seedorf (con il portoghese a fare da riserva dell’olandese; mica male…).
Se Rui Costa ha totalizzato, in 339 partite di Serie A, molte delle quali con la Fiorentina, 42 reti e 18 assist – numeri piuttosto esigui, se pensiamo che il solo Luis Alberto, nella stagione in corso, ne ha realizzati 5 –, diverso è lo “score” di Kakà, che può vantare 77 gol e 48 assist in 223 partite di Serie A ma, soprattutto – numero spaventoso – 30 reti e 26 (!) assist in 86 gare di Champions League.
Per rimanere in Brasile, non possiamo non citare forse il più grande trequartista della storia del Barcellona – se Messi l’alieno non fosse mai nato, almeno –, Ronaldinho Gaucho (50 assist e 70 gol col Barça in 145 partite). Ecco, forse Valdano avrebbe fatto bene a citare il brasiliano; ma, da buon argentino, si è giustamente fermato alle vesti albicelesti. Strano, però, che non abbia citato Lionel Messi. È vero, Messi è soprattutto uno straordinario goleador. Attualmente, sulle 695 presenze totali tra tutte le competizioni, Messi ha timbrato il cartellino in 608 occasioni; quanti assist? 247. Duecento e quarantasette. Più di ogni altro sopracitato. Più anche di Maradona, ovviamente (17 in 187 partite di Serie A). Più di Totti, altro trequartista sacro. Più di Zidane.
Trequartisti a tutto campo
Sugli ultimi due, occorre fermarsi un momento. Francesco Totti, trequartista goleador, ha siglato, in 618 gare di Serie A, 250 reti – secondo miglior marcatore della storia del nostro campionato, dopo Silvio Piola, fermo a 267 – e “assistito” in 100 occasioni. Numeri da capogiro. In effetti, Messi è fuori contesto. Persino inutile leggere i numeri di CR7 riguardanti gli assist. Certo, si dirà che Cristiano deve segnare. Ecco, Messi deve segnare, ma assiste quasi come se segnasse. Inarrivabile. Zizou si avvicina ai numeri del Capitano giallorosso, con 113 assist in poco più di 600 partite complessive – ma tra nazionale e club. La fisicità di quest’ultimo ha introdotto, forse nella prima volta nel calcio, il tipo di giocatore alto e forte fisicamente, geniale a livello di visione di gioco ma dalla movenza cadenzata. Per quanto ciò possa sembrare eretico, un giocatore più simile a Zidane, più che Kakà, è stato Hernanes – specie ai tempi della Lazio. O anche un Gullit, cervo che esce di foresta. E a proposito di animali, nessuna definizione calza più a pennello di quella di Jorge Valdano, ancora una volta: «Zinedine Zidane è un elefante (supera gli ottanta chili) col cervello di una ballerina. Il suo incedere è lento, ma le sue decisioni sono agili».
Per rimanere in Francia, non si può non citare il grande Michel Platini. Giocatore di un’eleganza fuorviante, di lui abbiamo le statistiche realizzative (fonte non-fonte Transfermarkt), ma non quelle di assist-man – ed è un vero peccato, vista la grandezza del giocatore. Infine Johann Cruyff; trequartista atipico, amava svariare il proprio gioco sulle fasce. L’intelligenza di Cruyff, abbinata ad una tecnica tra le migliori di sempre nella storia del calcio – molti la dipingono come la migliore – ha prodotto più di 50 assist in 264 presenze complessive (condite di anche 134 reti).
La lista delle citazioni può continuare a lungo. Fermiamoci ad una conclusione. Si parla sempre più spesso della scomparsa dei trequartisti.
Il fenomeno ha una sua verità, ma non è del tutto esatto. Il calcio è senza dubbio cambiato. La classe di un giocatore veniva spesso anteposta, dall’allenatore, ai dettami tattici che lo riducevano ad un numero; così Mazzone trattò Baggio, e fece bene. Oggi, il dettame tattico sembra mangiarsi, digerire e spesso espellere la qualità del singolo. È vero, il calcio moderno sta forse guardando con occhi ancora distratti un miracolo irripetibile: Kevin De Bruyne. Ma è altrettanto vero che il citato trequartista del City è in verità un tuttocampista, come il compagno di squadra David Silva. È difficile, oggi, riconoscere il trequartista, l’illuminante direttore d’orchestra della fase offensiva. Il calcio è cambiato; qualsiasi giocatore, in qualsiasi posizione di campo, è chiamato ad ampliare le conoscenze del proprio ruolo. Dall’attaccante che fa giocare bene la squadra al portiere che fa partire la manovra da dietro. Al trequartista, in via non d’estinzione, allora, ma d’evoluzione.