Non è mai stato considerato un derby da parte dei tifosi che possono quasi parlarsi dai palazzi delle rispettive città, quello di Bergamo e Brescia. Ma la rivalità è tra le più sanguigne d’Italia.
Ieri nemici sportivi, oggi uniti nel dolore
Gli abitanti di Bergamo e Brescia stanno vivendo dei giorni che definire terribili è un eufemismo, ma la rivalità sportiva non sembra cessare nemmeno in questi momenti.
L’episodio che fa un po’ da paradigma a questo enunciato è stato stigmatizzato dal sindaco di Sarnico, uno degli avan posti della lotta contro il virus, dove era stato apposto un bellissimo striscione che accomunava le due tifoserie in un momento così difficile.
Sul ponte del Lago d’Iseo che divide le due province, era stato posizionato un drappo sul quale faceva capolino la scritta “divisi sugli spalti, uniti nel dolore”, che un non ben identificato tifoso di una delle due squadre aveva pensato bene di dividere a metà “ritagliando” la parte riservata ai colori del Brescia.
Dopo l’appello del sindaco, nel giro di pochi giorni, lo striscione ha ripreso la sua forma originale, segno che il momento che stiamo vivendo va ben oltre la rivalità che noi tutti eravamo abituati a vedere.
Una rivalità che parte da lontano
Lo scorso 30 novembre, dopo ben 13 anni di assenza dai campi, Atalanta e Brescia hanno ancora una volta dato vita alla loro storica sfida, dopo l’ultima partita disputata nell’ormai lontano 2006 quando l’Atalanta si impose per 2-0 nel campionato di Serie B.
Da allora le due compagini non si sono più affrontate, ma la rivalità tra le due città nasce da radici che vanno ben al di là dei campi da gioco.
Ci riferiamo addirittura all’epoca napolenica, durante la quale la Valle Camonica passò a Bergamo. Non fu un travaso di poco conto, vista la ricchezza produttiva di quei territori, ragion per cui il campalinismo cittadino assunse connotati anche economici.
Nel dodicesimo secolo, Giovanni Brusati un ricco possidente terriero, decise di mettere all’asta le sue proprietà per finanziare la sua crociata in Terra Santa, ma la difficoltà economica che all’epoca teneva in scacco la curia bresciana, non portò a un gran successo e fu così che la cessione dei feudi di Volpino, Ceratello e Onalino furono acquistati dalla ricca e prosperosa Bergamo.
La cosa non andò giù ai cittadini bresciani, i quali rivendicarono il diritto su quelle terre e i relativi castelli, dando origine per alcuni decenni scontri e scaramucce di ogni tipo.
Ci volle l’intervento dell’Imperatore Federico I Barbarossa che con un decreto sentenziò la restituzione dei poderi alla Chiesa bresciana. Tale decreto non venne accolto con entusiasmo dai bergamaschi, i quali dichiararono guerra alla città ostile, che però si rivelò una bagno di sangue per loro.
I bresciani li colsero di sorpresa dopo essersi accampati a Palosco, riducendo all’osso l’esercito bergamasco che non potè fare altro che rinunciare a ogni pretesa su quei terreni.
Non finì esattamente in quel momento, ma vi risparmiamo le successive battaglie tra le due città, l’ultima delle quali sorrise, in modo schiacciante, a Bergamo e, al termine della quale, ci fu una redistribuzione completa dei territori limitrofi.
Dalla storia al campo
In campo sportivo gli episodi da raccontare sono veramente tantissimi e fanno capo a tutta una serie di allegorie e simbologie originate, ancora una volta, dalla storia delle due città.
Partiamo dal presupposto che le opposte tifoserie hanno sempre fatto appello, per il loro perenne scontro sportivo, ai conigli, “conèc” e ai maiali, “sunì“.
I cori dei tifosi atalantini fanno spesso riferimento ai sunì, tanto che in un derby di qualche anno fa, un ultrà della curva nerazzurra, mise una maglietta del Brescia a un povero maialino che fu scaraventato in campo in mezzo al riscaldamento dei giocatori ospiti.
La pariglia fu restituita dai tifosi più accaniti del Brescia, che decisero di fare indossare ad alcuni “conèc” la maglia dei rivali.
Gli striscioni e Il Bepi
Nel 1993, dopo una partita finita 2-0 a favore del Brescia con una doppietta dell’indimenticabile Raducioiu, gli atalantini riuscirono a impossessarsi di uno striscione degli avversari, esposto poi con orgoglio nella propria curva, atto tra i più umilianti nella simbologia della rivalità Ultras.
Per tutta risposta i bresciani ne portarono via uno alla tifoseria avversaria il giorno della premiazione di Ganz.
Intorno alla fine del primo decennio del nuovo millennio, è invece molto divertente la storia del “Bepi”, cantante comico bergamasco che fece anche un disco per la squadra nerazzurra.
In quegli anni Bepi era visto come una sorta di simbolo della squadra, fino a quando fu invitato a cantare in Piazza Loggia a Brescia insieme al suo omologo bresciano, Charlie Cinelli, per un evento di beneficienza.
Gli ultra atalantini raccontano che il Bepi cantò una canzone indossando una maglia di Roberto Baggio, atto richiestogli dagli organizzatori della serata per avvicinare le due tifoserie, ma la cosa non fu accolta dai bergamaschi con entusiasmo…
La corsa di Mazzone
Il nostro cammino non può che chiudersi con l’episodio che più di ogni altro fa da paradigma alla rivalità tra Brescia e Atalanta: la corsa di Mazzone verso la curva atalantina al termine del clamoroso 3-3 in cui Roberto Baggio regalò una delle soddisfazioni più forti al proprio pubblico con la tripletta della rimonta.
In quella occasione il tecnico romano non prese nel migliore dei modi i continui insulti dei tifosi bergamaschi, cominciati addirittura prima dell’inizio della partita.
Quella folle corsa verso il tifo rivale rimane la cornice più pittoresca della passione calcistica mai vista in un campo da calcio, a prescindere dal giudizio “etico” che ognuno di noi possa dare all’episodio.
Sor Carletto diede la mano all’arbitro Collina che lo espulse al termine di quella corsa. Al ritorno i tifosi atalantini preparano decine di coreografie sull’effige di Mazzone incastonata all’interno di un cartello di divieto di accesso e la scritta “a Bergamo io non posso entrare“.