Nello sport l’arroganza spesso può essere un pregio. Non si diventa i migliori al mondo se non si è convinti di essere i migliori al mondo. E se non sei convinto di essere il migliore al mondo, non avrai mai lo stimolo per continuare a perfezionarti, a superare i tuoi limiti e a fissare nuovi record.
Il calcio in particolare è uno sport che produce sì dati e statistiche, ma che vive particolarmente di sensazioni. Per essere il migliore non bisogna solo segnare più degli altri, fornire più assist, recuperare più palloni. Devi dominare sul campo, trasmettere quella sensazione di superiorità rispetto non solo agli avversari, ma anche rispetto ai tuoi compagni, che ti permette di elevarti ad un livello superiore. Non più atleta, ma simbolo dell’essenza stessa di quello sport.
Al giorno d’oggi, e negli ultimi 15 anni, c’è un giocatore che risponde esattamente a questa descrizione: Cristiano Ronaldo, talento strepitoso focalizzato solo ed esclusivamente verso un solo obiettivo: essere il miglior calciatore del mondo. Il livello di superiorità che esprime nei confronti degli altri giocatori ci fa tornare alla mente una vera e propria leggenda di questo sport, Calciatore del Secolo per la FIFA e Pallone d’Oro del Secolo, recordman di reti realizzate in carriera, ben 1281: Pelé.
Pelé, il re del calcio
Edson Arantes Do Nascimento nasce a Tres Coraçoes in Brasile, nello stato del Minas Gerais, figlio di Joao Ramos, ex-calciatore con il soprannome di Dondinho. A 5 anni si trasferisce nella città di Bauru, dove il padre gioca nella formazione dilettantistica locale e dove inizia anche lui a tirare i primi calci al pallone, venendo soprannominato Pelé dai compagni per prendere in giro un suo difetto di pronuncia.
A 15 anni viene notato dall’ex nazionale brasiliano Waldemar De Brito, che lo convince a fare un provino per il Santos. De Brito non usò mezzi termini con la dirigenza del Santos, dicendo che quel ragazzino sarebbe diventato sicuramente il miglior calciatore del mondo. Dopo un anno nelle giovanili, Pelé esordisce in prima squadra segnando un gol alla sua prima amichevole e a soli 16 anni, attaccante titolare del Santos, conquista il titolo di capocannoniere del Campionato Paulista.
Nel 1957, a soli 16 anni, esordisce in nazionale, giocando contro gli storici rivali argentini e mettendo a segno la rete della bandiera nella sconfitta per 2-1. Nell’estate del 1958 viene convocato per i Mondiali in Svezia, il più giovane giocatore fino a quel momento a giocare nella fase finale della Coppa del Mondo. Esordisce contro l’URSS, segnando poi il primo gol, decisivo, ai quarti di finale contro il Galles, per poi ripetersi con una tripletta nel 5-2 rifilato alla Francia in semifinale e con altri 2 gol nel 5-2 in finale contro la Svezia padrona di casa, laureandosi Campione del Mondo.
Pelé non è semplicemente uno straordinario e precoce goleador: in quell’estate del ‘58 il mondo scopre un calciatore che sembra giocare un altro sport rispetto agli altri, anche all’interno di un Brasile ricco di fuoriclasse come Didì, Vavà o Garrincha. Ha forza, velocità, coordinazione, un senso dell’equilibrio straordinario, il tutto concentrato e finalizzato completamente al tocco di palla.
Tornato in patria, O’Rei do Futebol, come ormai era soprannominato, firmò un contratto per l’Inter, ma i tifosi del Santos insorsero, arrivando anche ad incendiare la sede del club e ad aggredire il presidente della squadra, che pregò quindi Angelo Moratti di stracciare l’accordo.
Con la maglia del Santos Pelé gioca fino al 1974, vincendo 10 titoli paulisti, 5 Taça Brasil, 3 Tornei Rio-San Paolo, 1 Taça de Prata, 2 Coppe Libertadores, 2 Coppe Intercontinentali e 1 Supercoppa dei Campioni Intercontinentali. Il 19 novembre 1969, contro il Vasco de Gama, mette a segno su rigore la rete numero 1000 della sua carriera.
Nel frattempo, ha partecipato anche al Mondiale del 1962 in Cile, giocando e segnando all’esordio contro il Messico ma saltando il resto della competizione a causa di un infortunio subito nella seconda partita contro la Cecoslovacchia. Il Brasile vinse il suo secondo titolo, ma Pelé dovette aspettare fino al 2007 per vedersi consegnata la medaglia, dato che prima del 1978 non venivano date ai giocatori che non disputavano la finale.
Nei Mondiali del 1966 in Inghilterra segnò sempre all’esordio, su punizione contro la Bulgaria (diventando il primo giocatore a segnare in 3 Mondiali), ma un duro fallo subito in quella partita gli fece saltare il match contro l’Ungheria, che i verdeoro persero per 3-1, e giocare in condizioni precarie, anche a causa di numerosi falli non fischiati, il match perso per 3-1 contro il Portogallo di Eusebio (che gli rubò il soprannome di Pérola Negra, la Perla Nera).
Nonostante la decisione non giocare mai più la Coppa del Mondo dopo la delusione inglese, tornò sui suoi passi in occasione del Mondiale del 1970 in Messico diventando, ovviamente, il primo giocatore a segnare in 4 edizioni differenti dei Mondiali, insieme al tedesco Uwe Seeler. Pelé trascina il Brasile fino alla finale contro l’Italia, in cui segnò il primo gol e fornì gli assist per i successivi due nel 4-1 che incoronò il Brasile e lo stesso O’Rei per la terza volta Campioni del Mondo.
Nel 1975, dopo un anno di inattività, venne ingaggiato, con il beneplacito del governo brasiliano che l’aveva dichiarato patrimonio nazionale per impedire che venisse tesserato dalle squadre europee, dalla squadra dei New York Cosmos, in un tentativo di introdurre il calcio al grande pubblico negli Stati Uniti.
Dopo aver vinto l’edizione del 1977 della North American Soccer League, Pelé annuncia il suo ritiro, organizzando un’amichevole tra Santos e Cosmos in cui gioca in tempo per parte, e mettendo a segno l’ennesimo gol. Sono 1281 in totale i gol che gli attribuisce la FIFA, rendendolo quindi il più grande goleador della storia del calcio.
Cristiano Ronaldo, l’ossessione di essere il migliore
Di Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, nato a Funchal, nell’isola portoghese di Madeira, il 5 febbraio 1985, è quasi impossibile elencare i record infranti. Nel corso della sua carriera nelle giovanili, iniziata nel 1992 nella squadra dell’Andorinha, proseguita al Nacional De Madeira prima di passare allo Sporting Lisbona nel 1997, si distingueva già per il talento e la volontà di emergere.
Esordisce in prima squadra nel settembre 2002, e dopo una stagione da 5 gol in 31 presenze, in cui conquista una Supercoppa di Portogallo, giocando da ala destra, viene acquistato dal Manchester United, che gli assegna la maglia numero 7 appena lasciata libera da un uomo simbolo come David Beckham.
In Inghilterra si rivela un giocatore devastante, veloce, tecnico, potente, in possesso di un bagaglio tecnico che comprende dribbling, doppi passi, cambi di direzione, rabone, tutto eseguito a velocità pazzesca. Con la maglia dei Red Devils gioca per 6 stagioni, mettendo a segno 118 gol in 292 partite e conquistando 3 Premiership, 1 Coppa d’Inghilterra, 2 Coppe di Lega, 2 Community Shield, 1 Champions League e 1 Coppa del Mondo per Club.
Nel 2009, fresco di vittoria del suo primo Pallone d’Oro, si trasferisce al Real Madrid per 94 milioni di euro, blindato da una clausola rescissoria di 1 miliardo. Con i merengues CR7, il suo soprannome ormai diventato un marchio mondiale (le sue iniziali unite al suo numero di maglia allo United), deve indossare la maglia numero 9, ma in seguito all’addio di Raul nell’anno seguente può riprendere il suo 7.
In 9 stagioni al Real Madrid, stimolato anche dal continuo confronto con il rivale del Barcellona Leo Messi, Cristiano Ronaldo continua ad alzare l’asticella delle sue prestazioni, allenandosi in maniera maniacale e raggiungendo una forma fisica e mentale senza paragoni.
Autore dell’assurdo numero di 450 gol in 438 partite, porta il Real Madrid a conquistare la sua 10ª Coppa dei Campioni nel 2012, inanellando una serie di primati che è impossibile riassumere. Tra gli altri, è il primo giocatore della storia ad aver vinto Champions League, Europeo, Mondiale Per Club e Pallone d’Oro nella stessa stagione, ad aver realizzato più di 50 gol stagionali per 7 stagioni di fila, ad aver segnato più gol nelle competizioni UEFA (133, di cui 131 solo in Champions League).
Con il Real Madrid il suo palmares si arricchisce di 2 titoli della Liga, 2 Supercoppe di Spagna, 2 Coppe di Spagna, 4 Champions League, 2 Supercoppe UEFA e 3 Coppe del Mondo per Club. Con la nazionale portoghese partecipa a 4 Mondiali, segnando in ognuno di essi (eguagliando quindi proprio il record di Pelé, condiviso con Uwe Seeler e Miroslav Klose), ma soprattutto la guida alla conquista dell’Europeo del 2016 e alla vittoria della Nations League del 2019, arrivando a 99 reti, 10 in meno del recordman di gol con una nazionale, l’iraniano Ali Daei.
Nell’estate del 2018, con 5 Palloni d’Oro conquistati e in cerca di nuovi stimoli, si trasferisce in Italia, dove indossa la maglia della Juventus e nelle prime 2 stagioni, chiuse con 65 gol in 89 presenze, conquista 2 scudetti e 1 Supercoppa Italiana.
Pelé e Cristiano Ronaldo: volontà di potenza
Il calcio di Pelé è consegnato alle cronache d’epoca e a filmati sgranati, mentre quello di Cristiano Ronaldo è fatto di rilevazioni e dati registrati in ogni zona del campo e riprese ad alta definizione da 6-7 angolazioni differenti. Cosa è dunque che accomuna questi due giocatori?
Come dicevamo in apertura, con le dovute differenze dovute al contesto in cui si muovono, è la straordinaria superiorità che dimostrano rispetto a tutti, avversari e compagni, in qualsiasi occasione. Ma soprattutto è la volontà di dimostrarla.
Ci sono campioni dotati di un talento unico per natura, come possono essere stati Maradona o come è Messi, che sono diventati i migliori semplicemente perché era nella loro natura.
C’è chi era il migliore ma non è riuscito ad esserlo per tutta la carriera, a causa di un fisico non adeguatamente allenato, come Ronaldo, il Fenomeno, oppure perché non era tanto interessato alla competizione quanto era interessato a divertirsi, giocando a calcio, come Ronaldinho. Ancora, c’è chi si è convinto di esserlo stato e lì si è fermato, come Ibrahimovic.
Possiamo citare tanti nomi dei giocatori che hanno sovvertito gli equilibri nel passato remoto, da Puskas a Sivori fino a Di Stefano o Eusebio, fino ai tempi più recenti come Romario, Kakà, Van Basten e tanti altri. Nessuno, però, ha mai avuto una tale volontà di confermarsi e riconfermarsi in continuazione superiore a tutti come ha avuto Pelé e come ha Cristiano Ronaldo.
Il talento di Pelé era assolutamente enorme, così come quello di Cristiano Ronaldo. Ma riuscire a sposare questo talento con una forma fisica che permetta di esprimerlo sempre ai massimi livelli nel corso dell’intera carriera richiede una dedizione e un’abnegazione rare. Pelé nella sua carriera ha dominato fisicamente i giganti svedesi che gli si sono parati davanti quando aveva 17 anni, sovrastandoli sia tecnicamente che in elevazione e nei contrasti, così come i rocciosi difensori italiani come Tarcisio Burgnich che ha tentato di contenerlo nella finale mondiale 16 anni più tardi, suggellata a 33 anni con uno stacco di testa simile a quello con cui chiuse le marcature in Svezia nel 1958.
Alla stessa maniera, Cristiano Ronaldo a 33 anni si rende protagonista di un gesto atletico semplicemente folle come l’incredibile rovesciata che, il 3 aprile 2018, mette a segno con la maglia del Real allo Juventus Stadium. Un concentrato di potenza, coordinazione, tecnica e soprattutto volontà che spinge l’intero stadio pieno di tifosi avversari ad applaudirlo.
Vestendo la maglia della Juventus un anno e mezzo più tardi, alla soglia dei 35 anni, giocando a Marassi contro la Sampdoria mette a segno un altro gol grazie ad un gesto atletico semplicemente insensato per qualsiasi altro giocatore: uno stacco aereo in corsa di 71 centimetri, con cui raggiunge un’altezza di 2,56 metri e incorna il pallone, restando in elevazione per 0,92 secondi, che si tramuta in un gol imprendibile per il portiere avversario.
Nell’ambito calcistico, Pelé e Cristiano Ronaldo sono quanto di più vicino al concetto di superuomo che ha teorizzato Nietzsche, ovvero l’uomo che afferma sé stesso, ponendo di fronte alla morale comune i propri valori, superando le costrizioni della società attraverso la volontà di potenza.
Una volontà che al contempo è desiderio di riuscire ma che allo stesso tempo nega sé stessa, per evitare di soffermarsi su un punto di vista ritenuto conclusivo.
Traducendo dall’ambito filosofico a quello sportivo, significa non accontentarsi mai di essere il migliore, ma cercare sempre di superarsi in ogni singola partita. È questo che rende un “semplice” calciatore un vero e proprio superuomo.