Il Pallone d’Oro è da sempre un premio che suscita tanto interesse quante polemiche. Uno dei premi ancora oggi più discussi è quello del 2003, assegnato a Pavel Nedved. In un’epoca in cui le squadre europee erano imbottite di giocatori dalla tecnica superiore, il premio a questo centrocampista di corsa e potenza lasciò interdetti in molti.
Stava finendo l’epoca dei sublimi addomesticatori del pallone e si stava entrando in quella del calcio veloce e potente, dove la prestanza atletica diventava requisito fondamentale per svettare sugli altri, in cui il panorama sarebbe stato dominato da chi univa la tecnica a forza e ritmi indiavolati, l’era dei Messi e dei Cristiano Ronaldo.
Con i due fenomeni che si stanno avviando lungo la parabola discendente della carriera, il modello del prossimo giocatore più accreditato a vincere un trofeo che sarà un uguale spartiacque è un altro centrocampista, biondo come il ceco, ma di nazionalità belga: Kevin de Bruyne, il fulcro del Manchester City di Guardiola.
Chi era Pavel Nedved, la Furia Ceca
Pavel Nedved nasce a Cheb, nell’allora Cecoslovacchia, nel 1972, figlio di una commessa e di un minatore che nei fine settimana giocava a calcio nella squadra locale. Inizia a giocare a calcio nella squadra del paese in cui è cresciuto, Skalna, ma nonostante la buona tecnica e la grande velocità, il fisico esile non gli permette di emergere. Per ovviare a questo difetto, Pavel prende l’abitudine a tirare appena possibile, in maniera da evitare eventuali contrasti. Quest’abitudine gli resterà addosso anche quando il fisico si svilupperà e gli garantirà la chiamata nelle giovanili del Viktoria Plzen. In poco tempo Pavel, grazie alla sua abnegazione, attira l’interesse delle grandi squadre della capitale, passando prima al Dukla e poi allo Sparta Praga, mentre il paese attorno a lui si trasforma, con la Repubblica Ceca che si separa dalla Slovacchia.
L’ esplosione alla Lazio
Taciturno e sempre concentrato, Pavel inizia a giocare e segnare con regolarità, vincendo 3 campionati e guadagnandosi la maglia della nazionale ceca, con la quale vive un’esaltante Europeo nel 1996, in cui segna un gol all’Italia di Sacchi e arriva fino alla finale persa contro la Germania. Il connazionale ceco Zdenek Zeman convince il presidente della Lazio Sergio Cragnotti ad investire su questo centrocampista che si era già promesso al PSV Eindhoven.
In un’epoca in cui tutte le squadre vengono costruite attorno a trequartisti tecnicamente sopraffini come i vari Rui Costa, Djorkaeff, Baggio, Zidane e via dicendo, Nedved si conquista spazio grazie alla corsa e ai suoi terrificanti tiri dalla distanza. Se con Zeman prima e Zoff poi la sua prima stagione italiana si chiude con un bilancio tutto sommato positivo, con l’arrivo di Eriksson sulla panchina laziale inizialmente trova più difficoltà a trovare collocazione nel 4-3-3 del tecnico svedese, anche a causa dell’enorme ricchezza della rosa assemblata da Cragnotti. Ma nell’arco di qualche mese il ceco diventa un elemento insostituibile della squadra, spingendo il tecnico a modificare il modulo per garantirgli spazio, in una stagione che si chiude con la finale di Coppa Uefa persa contro l’Inter di Ronaldo.
In un calcio ancora troppo costretto dalla dicotomia centrocampista di qualità o di quantità, Nedved è una variabile impazzita, un giocatore presente per tutto il campo, che si muove in maniera frenetica tra gli avversari, ostacolando il loro gioco, recuperando palla e trasformando qualsiasi situazione di gioco in un’occasione per scatenare le sue proverbiali conclusioni. Veloce e sinuoso in campo aperto, roccioso e grintoso nei contrasti ravvicinati, Nedved diventa uno dei fulcri di una Lazio capace di vincere Coppa Italia, Coppa delle Coppe, Supercoppa italiana ed Europea ed anche lo Scudetto, con un’incredibile rimonta all’ultima giornata contro la Juventus.
La consacrazione bianconera
È proprio la Juventus di Marcello Lippi che decide di puntare sul ceco per sostituire il suo miglior giocatore, quello Zidane strappato ai bianconeri dall’offerta indecente del Real Madrid. La scelta dei torinesi è azzardata, dal momento che Nedved è un centrocampista con caratteristiche completamente diverse dal Pallone d’Oro francese, se non proprio agli antipodi. Ma dopo un inizio difficile, Nedved in maglia bianconera diventa un idolo dei tifosi, conquistando il campionato e diventando un giocatore talmente completo e dominante che nel 2003 viene insignito del Pallone d’Oro.
In maglia bianconera vince 2 scudetti e 2 Coppe Italia, ma manca la finale di Champions League giocata a Manchester nel 2003 contro il Milan a causa di un cartellino giallo comminatogli in semifinale contro il Real Madrid, a causa di un inutile fallo sul punteggio di 3-1 e a qualificazione acquisita. Con la Juventus vince anche un campionato di serie B, in seguito alla retrocessione del 2006, e, dopo il ritiro nel 2009, inizia la carriera di dirigente, legando ulteriormente il suo nome ai successi bianconeri degli ultimi anni, che con lui come vicepresidente vincono 8 scudetti consecutivamente.
Kevin De Bruyne, il tuttocampista che sta aprendo una nuova era
Kevin De Bruyne condivide con Nedved l’indole taciturna e introversa e la grande determinazione. Nato a Drongen, in Belgio, il 28 giugno 1991, a causa del suo carattere così chiuso a 15 anni rischia di essere cacciato dalle giovanili del Genk, dove era arrivato un anno prima, ma grazie alla sua abnegazione e alle sue capacità balistiche riesce a guadagnarsi la conferma ed arrivare in prima squadra.
Notato dal Chelsea, che lo acquista e lo gira in prestito al Werder Brema, De Bruyne è un centrocampista abile a giocare sulla trequarti o sull’esterno sinistro, dotato di grande mobilità e ottime qualità balistiche, una sorta di Nedved meno nervoso. Dopo il prestito tedesco, il Chelsea lo inserisce nella rosa, ma per Kevin non scatta il feeling con José Mourinho, che dopo 6 mesi decide di fare a meno del belga cedendolo nuovamente in Germania, al Wolfsburg, ma stavolta in via definitiva.
Vuoi per la minor concorrenza, vuoi per spirito di rivalsa dopo la delusione londinese, con la squadra dei Lupi, che vincono la Coppa di Germania e si piazzano al secondo posto in campionato, De Bruyne esplode e si rivela un centrocampista eccezionale, giocatore dell’anno del campionato tedesco: 16 gol e 27 assist complessivi, di cui 21 solo in Bundesliga.
In estate il Manchester City lo acquista per più del triplo di quanto aveva incassato il Chelsea solo un anno prima. Con la maglia degli Sky Blues Kevin compie il definitivo salto di qualità, in particolare quando Pep Guardiola lo trasforma da giocatore prettamente offensivo, che staziona esclusivamente sulla trequarti, in una mezz’ala che si muove per tutto il campo, accompagnando il gioco dei compagni, riuscendo sia a suggerire che a dettare passaggi, risultando spessissimo l’uomo in più in quasi tutte le zone del campo, con risultati spesso letali per i portieri avversari, quando avviene in prossimità dell’area di rigore.
Diversi per gioco e atteggiamento, simili per intensità e peso offensivo
Ci sono grandissime differenze tra Nedved e De Bruyne, ma anche tante similitudini.
Innanzitutto, il fatto che siano centrocampisti in grado non solo di giocare in ogni zona del campo, ma di modificare il proprio gioco in maniera da adattarsi meglio agli spazi che vanno ad occupare, riuscendo a ricoprire ruoli di mediano, regista, trequartista e talvolta pure di punta anche nell’arco della stessa azione. E a questa caratteristica è legata l’incredibile intensità che mantengono per tutto l’arco della partita: come Nedved, anche De Bruyne è ovunque per tutti i 90 minuti della partita, al punto che per un cronista pronunciare il suo nome diventa quasi un’intercalare durante il racconto delle azioni.
Non è però sicuramente grintoso come Nedved. Nonostante spesso sembri il maggiore equilibratore di una squadra tecnica e poco portata all’interdizione come il Manchester City, De Bruyne nasce come trequartista e resta comunque un centrocampista più portato alla costruzione della manovra e all’azione offensiva, piuttosto che all’interdizione. Nedved spesso e volentieri ricopriva ruoli da mediano, in particolare quando nella Lazio doveva coprire le spalle a giocatori talentuosi ma decisamente poco atletici come Mancini o Boksic.
Ma nonostante questo, paradossalmente De Bruyne è più uomo squadra di Nedved. Il ceco ingaggiava spesso duelli personali con gli avversari (che lo portavano poi ad ammonizioni spesso stupide) e quando recuperava palla la sua prima opzione era sempre la conclusione personale. De Bruyne invece è la perfetta applicazione del calcio di Guardiola sul terreno di gioco: nel suo cervello vengono elaborate contemporaneamente decine di possibilità e viene sempre scelta quella che rende più per la squadra, non per la sua azione personale. E, come ama sottolineare il suo tecnico, il tutto avviene sempre in maniera fluida e veloce, il che pone il belga, nel giudizio del tecnico catalano, anche sopra a centrocampisti leggendari come Xavi o Iniesta: se i grandi cervelli del suo Barcellona facevano girare la palla in maniera sublime, ma spesso rallentando il gioco, quando la palla passa dai piedi di De Bruyne il ritmo di gioco addirittura accelera. Ed è questa la similitudine più evidente con Nedved, al di là dello stile di gioco decisamente diverso: la capacità di imprimere decise accelerate all’azione offensiva, spesso con risultati a dir poco decisivi.
Il ceco è ricordato come uno dei Palloni d’Oro più atipici, data la sua tecnica certamente non eccellente rispetto ai contendenti. De Bruyne, in particolare se il City dovesse riuscire a mettere le mani sulla Champions League con altre prestazioni come quella che ha visto il belga eliminare il Real Madrid praticamente da solo, sarebbe uno dei maggiori candidati al trofeo, possedendo molte delle qualità che garantirono il successo al ceco ma un tasso tecnico decisamente più elevato.