Al giorno d’oggi, complice forse la diffusione del fantacalcio e dei videogame calcistici, si tende sempre a categorizzare sempre di più i giocatori in ruoli predefiniti. Se una volta si parlava semplicemente di centrocampisti, oggi si spazia tra mediani, mezzali, trequartisti, enganche se vogliamo dare un sabor latino, cercando sempre di incasellare i giocatori in quello spazio di campo, con compiti ben definiti. Ma essendo il calcio prima di tutto un gioco, c’è sempre il fattore che fa saltare gli schemi e che rompe tutte le teorie e le categorizzazioni.
Nessun tifoso romanista potrà mai dare una definizione univoca di quello che è stato Radja Nainggolan nella squadra giallorossa: giocatore presente in ogni zona del campo, in grado di attaccare e difendere con la stessa intensità. Il suo passaggio all’Inter è stata una delusione per i tifosi nerazzurri, che speravano di aver trovato l’erede di un altro centrocampista che sfuggiva a qualsiasi categorizzazione e che è stato il simbolo dei successi nerazzurri di fine anni ‘80: Lothar Matthäus.
Lothar Matthäus, il condottiero teutonico dell’Inter dei record
Nato a Erlangen il 21 marzo 1961, Lothar Matthäus è stato un vero e proprio simbolo del calcio tedesco. Cresciuto nel Herzogenaurach, a 18 anni veste la maglia Borussia Mönchengladbach, e dopo 5 anni con i puledri del Basso Reno, nel 1984, si trasferisce al Bayern Monaco. Con la maglia dei bavaresi vince 3 campionati, 1 Coppa e 1 Supercoppa di Germania. Regista dinamico e grintoso, nel 1986 fa parte della spedizione tedesca ai Mondiali del Messico, dove la Germania arriva a giocare la finale contro l’Argentina di Maradona. Per tutto il primo tempo, Lothar viene incaricato da Beckenbauer di marcare a uomo Maradona, e ancora oggi il Pibe de Oro lo ricorda come il miglior avversario mai incrociato su un campo da calcio. Quando la Germania subì un doppio svantaggio, Matthäus fu liberato dai compiti offensivi e poté alzare il baricentro della sua azione, guidando i teutonici al pareggio, prima che una magia di Maradona permise a Burruchaga di segnare il gol che decise il mondiale.
Dopo il Mondiale, Maradona le provò tutte per convincere il tedesco a raggiungerlo a Napoli, arrivando anche a fargli recapitare valigette piene di soldi a casa, ma il tedesco decise di restare a Monaco. Nel 1988 arriva la chiamata dell’Inter di Ernesto Pellegrini, e a Milano, sotto la guida di Giovanni Trapattoni, Matthäus diventa l’uomo chiave di quell’Inter che vince il campionato infrangendo ogni record. Proprio Matthäus segna il gol decisivo per lo scudetto, una punizione a San Siro proprio contro il Napoli di quel Maradona che l’avrebbe voluto ad ogni costo come compagno di squadra.
Nell’estate del 1990 la sua rivincita nei confronti di Maradona si completa, guidando la nazionale tedesca al trionfo nei Mondiali di Italia 90 da capitano, mettendo a segno 4 gol nella competizione e guadagnandosi così il Pallone d’Oro.
Centrocampista eclettico, presente in ogni zona del campo dalla difesa all’attacco e dotato di un tiro esplosivo, mette a segno 53 gol in 153 presenze con la maglia dell’Inter. Con i nerazzurri Lothar conquista anche una Supercoppa Italiana e una Coppa UEFA, prima di tornare a Monaco nel 1992, dopo un grave infortunio al ginocchio e la turbolenta fine del suo primo matrimonio (saranno ben quattro i matrimoni che finiranno male per il tedesco).
Con il Bayern Matthäus vince altri 4 campionati tedeschi e 2 coppe di Germania, ma vive la grandissima delusione della finale di Champions League del 1999, quando il suo Bayern, in per tutta la partita, si fece rimontare e superare dal Manchester United nei 3 minuti di recupero, dopo che Lothar aveva abbandonato il campo per ricevere una standing ovation per quello che doveva essere il trofeo che suggellava una carriera memorabile, che l’ha visto primatista di presenze con la maglia della Germania (150) e il giocatore con più partite giocate ai Mondiali (25 presenze suddivise in 5 edizioni). Dopo una comparsata in MLS, con la maglia dei New York Metrostars, appende gli scarpini al chiodo e intraprende un’incerta carriera da allenatore.
Matthäus come Nainggolan: personalità e atleticità dirompenti
Cosa rendeva Lothar Matthäus un giocatore così decisivo? La classe, la volontà e certamente la sua straordinaria esplosività fisica, che si traduceva in tiri potentissimi, ma anche e soprattutto la sua personalità, come sottolineò il Trap all’indomani dello scudetto dei record, parlando di lui e di Brehme:
In questo ricorda moltissimo Radja Nainggolan. Il centrocampista belga, cresciuto nel Piacenza e maturato nel Cagliari prima di affermarsi alla Roma, possiede moltissime delle caratteristiche che hanno reso il fuoriclasse tedesco una leggenda: un fisico esplosivo e potente, un dinamismo e una grinta che gli consentono di coprire tutto il campo con la stessa intensità, passando nell’arco della stessa azione dal ruolo di mediano a quello di trequartista senza soluzione di continuità. Ma c’è un’altra cosa che li accomuna: un carattere forte e schietto, che non si piega mai ai diktat esterni.
Atleti straordinari sul campo, sregolati fuori
Matthäus non è mai stato un modello di comportamento: negli anni interisti non si è mai fatto mancare nulla della Milano da bere, ed è rimasta celebre una sua fuga notturna dal ritiro di Appiano per raggiungere la sua futura seconda moglie in Svizzera, con il presidente Pellegrini che sguinzaglia i dirigenti Beltrami e Mazzola alla sua ricerca e lui che si ripresenta solo all’alba della domenica da un Trapattoni furioso che non ha però alternative da schierare in campo nel pomeriggio stesso contro la Roma. Nonostante la notte brava, Lothar firmò una prestazione sensazionale, mettendo a segno una doppietta nel 3-0 finale dei nerazzurri. Il suo addio ai nerazzurri fu segnato da grandi litigi con la dirigenza nerazzurra a causa dei suoi comportamenti fuori dal campo.
Di Radja Nainggolan non si può certo dire che faccia la classica vita da atleta, e d’altro canto lui non ha mai cercato di convincere nessuno del contrario. Anzi, a chi gli rimprovera i suoi eccessi, le sue notti fuori tra alcool e sigarette, ha sempre risposto con le prestazioni. Autore di 33 gol in 203 presenze con la maglia della Roma, alla sua sregolatezza fuori dal campo ha sempre unito uno spirito di abnegazione in campo senza pari, e un atletismo impressionante, che suona come una sonora pernacchia ai teorici della vita sana e dei sacrifici che deve compiere un atleta professionista.
Nella sua stagione milanese paga una serie di problemi fisici da cui non recupera mai del tutto (forse anche a causa del suo stile di vita non proprio irreprensibile), e non riesce ad entrare nel cuore dei tifosi nerazzurri, ma finisce comunque per essere il giocatore chiave della stagione, mettendo a segno il gol che vale la qualificazione alla Champions League. Il ritorno a Cagliari lo esalta, ed in particolare nella prima metà del campionato guida la compagine isolana in una serie di prestazione maiuscole.
Cosa è mancato a Nainngolan per essere il nuovo Matthäus?
Matthäus aveva più qualità da regista e più intelligenza tattica di Nainggolan, dote che gli ha permesso di prolungare la carriera a dismisura, andando a ricoprire il ruolo di libero quando le gambe non riuscivano più ad assicurare quella corsa continua per tutto il campo. Il belga è forse più spettacolare tecnicamente ed esalta le folle nei suoi recuperi difensivi, al punto che si è guadagnato l’appellativo di Ninja per il suo modo di giocare oltre che per il suo aspetto, laddove Matthäus invece operava più spesso in anticipo sull’avversario. Ma entrambi avevano questa dote che li rende leader a tutto campo, ovvero la capacità di mettere la stessa intensità e la stessa qualità in entrambi le fasi di gioco, risultando ugualmente efficaci in fase offensiva così come in fase difensiva.