Déjà vu: un fenomeno psichico rientrante nelle forme d’alterazione dei ricordi (paramnesie) che consiste nella sensazione errata di aver già visto una determinata cosa. Il nome di questa nostra rubrica ha un preciso riferimento calcistico che esplicita in maniera perfetta questo termine. È quella sensazione che tutti gli appassionati di calcio hanno provato riguardo a Diego Armando Maradona e Leo Messi, i due più grandi talenti della storia del calcio.
È il 18 aprile 2007, al Camp Nou di Barcellona si gioca l’andata della semifinale di Copa del Rey, che vede contrapposte la squadra di casa contro il Getafe. In campo per i blaugrana, nel ruolo di attaccante di destra, Leo Messi, 19enne gioiello della Masia catalana, che ha già vinto un titolo mondiale Under 20 con l’Albiceleste.
Verso la mezz’ora di gioco, riceve un pallone da Xavi vicino alla linea laterale, circa tre metri prima della metà campo. Il giovane argentino evita il primo avversario che gli si para davanti e si invola in direzione della porta, palla al piede, evitando anche il secondo tentativo di intervento da parte di un altro avversario.
In 7 secondi è al limite dell’area, con un difensore alle costole e altri due che gli si parano davanti. Una finta di corpo, un tocco vellutato al pallone e uno scatto, i tre avversari sono a terra come birilli e lui è improvvisamente all’interno dell’area, con quella palla sempre incollata al piede. Il portiere gli si fa incontro, lui lo scarta sulla destra e quindi scocca un tiro preciso a depositare la palla in rete, evitando la disperata scivolata dell’ultimo difensore.
Stop. Tutto questo è già successo. L’abbiamo già visto. Torniamo a 21 anni prima.
È il 22 giugno 1986, sono i quarti di finale della Coppa del Mondo, si gioca allo Estadio Azteca di Città del Messico. A sfidarsi sono l’Argentina e l’Inghilterra. Nel ruolo di trequartista nella nazionale argentina gioca Diego Armando Maradona, stella del Napoli, il miglior giocatore del mondo, che ha già vinto un titolo mondiale Under 20 con l’Albiceleste.
Ad una decina di minuti dall’inizio della ripresa riceve un pallone da Hector Henrique vicino al cerchio di centrocampo, circa tre metri prima della metà campo. Il fuoriclasse argentino evita il primo avversario che gli si para davanti e si invola in direzione della porta, palla al piede, evitando anche il secondo tentativo di intervento da parte di un altro avversario.
In 7 secondi è al limite dell’area, con un difensore alle costole e un altro che gli si para davanti. Una finta di corpo, un tocco vellutato al pallone e uno scatto, improvvisamente è all’interno dell’area, con quella palla sempre incollata al piede, e i due avversari indietro. Il portiere gli si fa incontro, lui lo scarta, evita anche il ritorno di un altro difensore e quindi scocca un tiro preciso a depositare la palla in rete, evitando anche l’ultimo difensore che stava ripiegando sulla linea di porta.
È il 1986. Diego Armando Maradona firma il cosiddetto “Gol del Secolo”. Dopo aver sollevato la Coppa del Mondo con l’Albiceleste, avrebbe portato il Napoli a vincere 2 Scudetti e 1 Coppa Uefa, diventando una leggenda del calcio.
È il 2007. Leo Messi ricrea quasi alla perfezione quel gol di Maradona e toglie qualsiasi dubbio sulla sua etichetta di predestinato. Negli anni successivi avrebbe segnato 645 gol con la maglia del Barcellona, vincendo 10 volte la Liga, 4 volte la Champions League, 3 volte la Coppa del Mondo per Club, diventando una leggenda del calcio.
È il 1986. È il 2007. L’Argentina si fregia del più grande talento della storia del calcio.
Diego Armando Maradona, El Pibe de Oro
La storia di Diego Armando Maradona inizia il 30 ottobre del 1960, a Lanus, in Argentina. Cresciuto tirando calci al pallone prima nella squadra dell’Estrella Roja e quindi, a 10 anni nelle giovanili dell’Argentinos Juniors, Diego non ha mai dimenticato il legame con i poveri ed gli ultimi che affollavano il barrio in cui è cresciuto.
Esordisce con la maglia dell’Argentinos Jr. Il 20 ottobre del 1976, il più giovane di sempre ad esordire nel massimo campionato argentino. Il suo talento è da subito evidente: con la sua statura contenuta (nemmeno 170 centimetri), le sue gambe muscolose e il suo baricentro basso, resisteva sempre alla pressione avversaria, mantenendo la palla tra i piedi in corsa anche quando veniva contrastato duramente. Il suo tocco di palla era semplicemente fatato: Diego riusciva a dare al pallone curvature ed effetti incredibili, riuscendo in dribbling e tiri apparentemente impossibili.
Nel 1978 è già capocannoniere del campionato argentino, nel 1979 e 1980 Pallone d’Oro Sudamericano, e si trasferisce al Boca Juniors. Dopo i Mondiali del 1982 giocati in Spagna si trasferisce al Barcellona, ma una serie di infortuni gli impediscono di essere sempre protagonista, nonostante contribuisca alla vittoria di una Coppa di Spagna e di una Coppa della Liga. Ma a Barcellona Diego non vive bene, ed il suo spirito sudamericano, grezzo e formatosi nei barrios di Buenos Aires, non è ben visto dai raffinati e laboriosi catalani. Dopo due stagioni costellate dagli infortuni e in cui la scintilla con i tifosi culé non è mai veramente scattata, Diego viene acquistato dal Napoli di Corrado Ferlaino.
“Ho visto Maradona, oh mamà inamorato sono…”
Nel luglio del 1984 sono ottantamila le persone che affollano lo stadio San Paolo solo per vedere la presentazione del Pibe de Oro. Nei successivi 7 anni all’ombra del Vesuvio per Maradona si compie una sorta di trasfigurazione: da miglior calciatore del mondo assurge al ruolo di simbolo, capopopolo e guida quasi spirituale dei napoletani.
A Napoli Maradona trova l’ambiente più simile all’Argentina povera ma orgogliosa in cui è cresciuto. Diego si identifica con il popolo napoletano e viceversa. Le gesta del Pibe in maglia azzurra non sono solo le magie di un calciatore dal talento incomparabile, ma è il riscatto della Napoli più verace contro gli squadroni del ricco Nord.
Le punizioni con cui abbatte la Juventus, i gol con cui porta il Napoli a giocarsi i campionati con le milanesi esaltano il popolo partenopeo e lo elevano a idolo assoluto. Dopo le prime 2 stagione a Napoli, Maradona parte per il Messico, dove in quegli incredibile Mondiali del 1986 trascina l’Argentina alla conquista del suo secondo titolo mondiale (eliminando l’odiata Inghilterra con un subdolo gol di mano, oltre che con il “Gol del Secolo”), con 5 gol e 5 assist nelle 7 partite giocate.
Negli anni successivi, il suo palmares si arricchisce delle strepitose vittorie ottenute con il Napoli: 2 Scudetti, 1 Coppa Italia, 1 Coppa Uefa e 1 Supercoppa Italiana. Nei mondiali di Italia ‘90, che l’Albiceleste perde in finale contro la Germania, trascina addirittura metà del pubblico napoletano presente al San Paolo per la semifinale Italia-Argentina a tifare per la Seleccion. Ma così come l’angelo più luminoso, Lucifero, la Stella del Mattino, sprofondò nelle viscere dell’Inferno per essersi creduto troppo simile a Dio, così anche Diego Armando Maradona conobbe la sua personale caduta dal Paradiso.
Passato improvvisamente dalla povertà del barrio di Buenos Aires alla ricchezza e alla fama globale, Diego cade preda dei suoi vizi. A Napoli tutto gli è permesso: si allena quando vuole, passa le giornate e le notti in compagnia di donne e amici, frequenta i locali di vari camorristi. Consumatore di cocaina fin dai tempi di Barcellona, negli ambienti napoletani ne diventa effettivamente dipendente e viene trovato positivo ad un controllo antidoping del marzo 1991.
Maradona scappa in Argentina, dove viene arrestato per possesso di stupefacenti, e non tornerà più in Italia per anni. Viene squalificato per un anno e mezzo, durante il quale, insieme a René Higuita, coltiva amicizie a dir poco ingombranti nel mondo del narcotraffico, al termine del quale riprende a giocare con la maglia del Siviglia, ma dopo solo una stagione torna in Argentina, al Newell’s Old Boy, dove gioca fino ai primi mesi del 1994, quando decide di dedicarsi esclusivamente alla preparazione per il Mondiale negli Stati Uniti.
Con la nazionale Albiceleste segna all’esordio contro la Grecia, ma un controllo antidoping dopo la partita contro la Nigeria rivela l’assunzione di una sostanza dimagrante proibita e viene estromesso dalla competizione. È la fine della carriera da giocatore di Diego, che proverà ad intraprendere quella di allenatore, arrivando anche sulla panchina dell’Argentina, ma senza grandi successi.
Oggi è allenatore del Gimnasia La Plata, ma è soprattutto ancora adesso una personalità controversa, mai banale, amico di leader politici anti-capitalisti, sempre controcorrente, sempre contro il sistema, dalla parte degli ultimi e degli imperfetti. Come è sempre stata la sua vita.
Leo Messi, la Pulce che diventa gigante del calcio
Lionel Andrés Messi Cuccittini nasce a Rosario, in Argentina, il 24 giugno 1987. A 4 anni inizia a giocare a calcio nella squadra del Grandoli, e a 8 anni, dopo un fugace passaggio al Central Cordoba, passa al Newell’s Old Boy, dove mette in mostra doti tecniche sopraffine e una grande vena realizzativa. A 11 anni gli viene diagnosticata una forma di ipopituitarismo, che comporta un deficit di ormone della crescita, ed è solo grazie all’interessamento del Barcellona che può pagarsi le cure, in seguito alle quali, a 13 anni, si trasferisce in Spagna. Si narra anche dell’interessamento del Como di Enrico Preziosi, che lo avrebbe scartato in quanto troppo gracile.
Dopo un’annata giocata tra il Barça C e il Barça B, Il 16 ottobre 2004 avviene l’esordio in prima squadra, grazie a Frank Rijkard, che lo inserisce negli ultimi minuti di un derby contro l’Espanyol. È l’inizio di una leggenda: nei successivi 16 anni Leo scenderà in campo altre 730 volte con la maglia blaugrana, mettendo a segno 634 reti, diventando il capocannoniere della squadra e quello che ha conquistato più trofei, ben 34.
Simile a Maradona nel fisico, alto meno di 170 centimetri e con il baricentro basso e le gambe possenti, Leo Messi è dotato di una sensibilità nel controllo di palla sovraumana, che gli consente di effettuare controlli, dribbling e passaggi ad una velocità pazzesca. Funambolico ma sempre concreto, non concede mai nulla allo spettacolo fine a sé stesso ma compie numeri incredibili sempre avanzando verso l’area e puntando la porta.
Con il Barcellona di Guardiola prima e di Luis Enrique poi i trofei si susseguono senza sosta, arrivando a 10 titoli della Liga, 6 Coppe di Spagna, 8 Supercoppe Spagnole, 4 Champions League, 3 Supercoppe Uefa e 3 Coppe del Mondo per Club, così come i riconoscimenti individuali: con ben 6 Palloni d’Oro (di cui 4 consecutivi) è il calciatore ad averne ottenuti di più, oltre che ad aver conquistato per 7 volte il titolo di Pichici della Liga e 6 quello di Capocannoniere della Champions League. Nel solo anno solare 2012 ha toccato quota 91 gol in competizioni ufficiali, di cui 79 con la maglia del Barça.
Divino a Barcellona, incompiuto in Argentina
Se con la maglia blaugrana addosso pare che l’unico limite di Messi sia il cielo, con la maglia albiceleste della Seleccion invece le cose sono ben diverse. Stella della squadra che conquista l’Oro Olimpico nel 2008, Leo in patria deve convivere con l’ingombrante fantasma di Maradona. Se nel mondiale del 2006 arriva reduce da un infortunio riuscendo comunque a segnare nel 6-0 rifilato alla Serbia, nel 2007 perde in finale di Copa America contro il Brasile.
Nel 2010 è proprio Maradona il commissario tecnico dell’Argentina, ma di quell’esperienza a Messi resterà solo qualche lezione del Pibe de Oro su come tirare le punizioni. Infatti la Pulce resta a secco nella competizione, che finisce ai quarti per mano della Germania, così come è deludente la Copa America 2011, che si conclude sempre ai quarti per mano dell’Uruguay.
Chiamato a prendere per mano l’Argentina in previsione dei Mondiali del 2014 in Brasile, Messi vive il suo periodo migliore con la maglia albiceleste, segnando 10 reti in 6 partite consecutive nelle qualificazioni, con la fascia di capitano. All’esordio della kermesse brasiliana, va a segno contro il Cile, 8 anni dopo il suo primo gol ad un mondiale. Con 4 gol nella competizione, l’Argentina va in finale, ma viene sconfitta ai supplementari dalla Germania.
Nei 2 anni successivi la maledizione delle finali continua per Messi, con l’Argentina che perde la Copa America 2015 e l’edizione speciale per il Centenario del 2016, entrambe le volte in finale contro il Cile ai rigori. Messi annuncia l’addio alla nazionale, frustrato dal non essere riuscito a conquistare un titolo con l’Albiceleste, ma il c.t. Bauza riesce a convincerlo a tornare sui suoi passi. Nonostante in Liga e in Champions League continui ad essere un fenomeno, con la Nazionale Messi non riesce ad essere quel leader che trascini la squadra ad una vittoria, e anche le esperienze dei mondiali del 2018 (fuori agli ottavi di finale contro la Francia) e della Copa America 2019 (3° posto dopo la sconfitta in semifinale con il Brasile) sono fallimentari.
Diego e Leo, il sublime che si concretizza in un tocco di palla
Ancor più che nel confronto tra Cristiano Ronaldo e Pelé, è quasi impossibile paragonare Messi e Maradona ad altri giocatori. Se nel caso della leggenda brasiliana e del fuoriclasse portoghese stavamo parlando di giocatori dotati che si sono elevati al di sopra di tutti gli altri, qui stiamo parlando di due fenomeni naturali, due doni della provvidenza divina al mondo del calcio. Per anni si sono fatte ipotesi e scommesse su chi potesse essere il “nuovo Maradona”, fino a quando non abbiamo potuto ammirare Leo Messi, l’unico giocatore della storia che sia mai riuscito a fare quello che faceva Diego.
Non c’entra l’allenamento, non c’entra quanto ci si applica, non c’entra la vita che si conduce: quello che hanno Maradona e Messi è qualcosa di innato, o si ha o non lo si ha. Non lo si impara, e non lo si insegna.
Non a caso l’unico giocatore che ha affermato di aver imparato effettivamente qualcosa da Maradona è proprio Messi, e riguardo all’unico fondamentale in cui effettivamente il talento può essere soppiantato dalla pratica, ovvero il calcio piazzato. Probabilmente se Maradona avesse fatto una vita diversa avrebbe avuto una carriera più lunga, simile a quella di Messi, questo sì, ma non avrebbe giocato meglio. Forse avrebbe vinto di più, ma quello che faceva sul campo trascendeva l’aspetto puramente sportivo del calcio.
Sia Messi e Maradona non fanno le giocate che fanno per vincere le partite, per essere i migliori, per dare spettacolo. Le fanno perché per loro è naturale farle, perché non esiste altra maniera di giocare a pallone se non così: essere i migliori, vincere le partite, dare spettacolo, è conseguenza, non fine delle loro azioni.
E la grande differenza tra i due risiede anche nella vita più fortunata di Leo: con il Barcellona che gli salva, se non la vita, quanto meno la carriera e la possibilità di una vita normale e lo fa vivere all’interno della Masia fin da bambino, Messi è cresciuto sì con la consapevolezza di poter essere il migliore al mondo, ma mantenendo sempre la testa sulle spalle, grazie alla famiglia e agli amici sempre vicini.
Maradona al contrario, cresciuto tra i poveri e gli emarginati, è stato travolto dal suo successo, cercando ovunque, dalle donne alle droghe e a tutti i suoi eccessi, il sollievo a quella solitudine disperata che l’attanagliava fin da bambino.
Ma questo è anche quello che ha fatto di Maradona il migliore della storia: il suo carattere, forgiatosi in queste situazioni al limite, era quello di un leader, carismatico in campo come fuori. Nei trionfi del Napoli e dell’Argentina non c’era solo Maradona, ma squadre che con lui e per lui giocavano e lottavano.
Quando Diego veniva martoriato dai falli degli avversari, rispondeva sempre, o a muso duro oppure con delle giocate che mettevano subito in chiaro chi fosse il migliore.
Questa cattiveria nata dalla strada a Messi manca, ed è per questo probabilmente che alle vittorie di un collettivo costruito in maniera quasi familiare come quello del Barcellona non hanno fatto seguito le vittorie con la Nazionale, dove non basta essere i migliori, ma bisogna anche essere carismatici e seducenti per diventare leader.
Emblematiche sono le immagini di Messi sconsolato e silenzioso dopo le varie sconfitte dell’Argentina, contrapposte alle fumantine sfuriate di Maradona durante e dopo ogni sconfitta.