Il Liverpool campione d’Inghilterra dopo 30 anni ha molte facce simbolo: Jurgen Klopp, il vulcanico allenatore venuto dalla Germania con il suo calcio frenetico e aggressivo, Salah e Mané, le due frecce africane in grado di penetrare qualsiasi difesa, Roberto Firmino, il brasiliano più atipico della storia, Virgil van Dijk, il difensore che racchiude qualsiasi qualità si cerchi nel calcio moderno. Potremmo continuare questa lista per ore, ma finiremmo probabilmente per scordarci di citare uno degli uomini chiave dello spogliatoio di Anfield, una presenza tanto importante quanto silenziosa e sobria: James Milner.
Mai sopra le righe, sempre applicato al servizio della squadra, disposto a giocare in qualsiasi parte del campo, tanto che ormai non ha più un ruolo definito, avendo iniziato come ala per poi affermarsi come centrocampista, ma finendo a giocare anche come terzino, Milner ricorda nella sua sobrietà e abnegazione un giocatore che su questi tratti caratteristici ha costruito una carriera che l’ha visto diventare una bandiera dell’Inter fino a ricoprirne la carica di vicepresidente: Javier Zanetti.
Javier Zanetti, dai campi da calcio ai cantieri e ritorno
Javier Adelmar Zanetti è nato il 10 agosto 1973 a Buenos Aires e cresce nel Dock Sud, un quartiere periferico della città dove l’unico campo da calcio è un campetto in cemento costruito dal padre e dai genitori di altri ragazzi. Inizia a giocare con la formazione della Disneyland, per poi passare a 9 anni nelle file dell’Indipendiente, dove gioca da attaccante esterno.
Ritenuto troppo piccolo e debole, a 16 anni viene tagliato dalla squadra e per più di un anno smette con il calcio, aiutando il padre nei cantieri. Anche grazie a questo, il suo fisico si sviluppa al punto che viene poi ingaggiato dal Talleres, prima nelle giovanili, e dopo le ottime prestazioni come centrocampista in quarta divisione, come professionista in prima squadra, arretrando a giocare da terzino.
Nel 1993, a 20 anni, viene acquistato dal Banfield, esordendo il 12 settembre in Primera Division. In due anni al Banfield, le sue prestazioni gli valsero anche le prime convocazioni in nazionale. Per la potenza delle sue gambe e le sue inarrestabili progressioni palla al piede, si guadagna l’appellativo di El Tractor.
L’arrivo a Milano e la seconda pelle nerazzurra
Nell 1995 sbarca in Italia, in quella che diventerà la sua casa definitiva, ovvero l’Inter. Nei successivi 19 anni con la maglia nerazzurra, Zanetti è una costante per tutti gli innumerevoli tecnici che si susseguono alla guida della squadra.
Appena arrivato all’Inter, sotto la gestione di Ottavio Bianchi, giocava come laterale destro in un 5-3-2, per poi passare al ruolo di interno destro nel rombo di Roy Hodgson.
Con Gigi Simoni viene impiegato come laterale sinistro di centrocampo, mentre con Lippi si sposta a nuovamente a destra nel 4-4-2. Il connazionale Hector Cuper lo fece tornare terzino destro, per poi spostarsi centrocampista centrale in seguito all’esplosione di Maicon nel suo ruolo (in occasione di uno dei pochissimi infortuni subiti in carriera), prima con Mancini e poi con José Mourinho, non mancando comunque di scendere in campo anche come terzino sinistro e, in situazioni di emergenza, anche come difensore centrale.
Con la maglia nerazzurra, dopo la vittoria della Coppa Uefa nel 1998, ottenuta anche grazie ad un suo spettacolare gol, vive molti anni difficili, fatti di enormi delusioni e di clamorose sconfitte.
Il suo stoicismo e la sua dedizione alla maglia lo fanno diventare un idolo tra i tifosi della Beneamata, il Capitano da prendere a modello. Dopo il 2006, finalmente l’Inter inizia ad incassare il debito con la cattiva sorte accumulato negli anni precedenti, e Zanetti diventa in breve tempo il giocatore più vincente della storia della società meneghina, vincendo 5 campionati, 4 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, 1 Champions League e 1 Coppa del Mondo per Club.
L’immagine di Zanetti che solleva la Champions League al Bernabeu, scolpita nella memoria di ogni tifoso interista, è l’immagine simbolo della straordinaria epopea dell’Inter del Triplete del 2010.
Dopo aver recuperato dalla rottura del tendine di Achille all’età di 40 anni, nel 2014 annuncia l’addio al calcio giocato, in contemporanea con la cessione della società da parte di Massimo Moratti, il presidente che l’acquistò 19 anni prima e con cui sviluppò un rapporto speciale.
Il nuovo proprietario, Erik Thohir, ritira in suo onore la maglia numero 4 e lo nomina subito vicepresidente, carica che ricopre ancora oggi.
James Milner, un bimbo prodigio cresciuto con serietà e umiltà
Che cos’ha in comune con Zanetti James Milner? Intanto la duttilità tattica. Milner, nato Leeds il 4 gennaio 1986, debutta come ala sinistra a soli 16 anni nel Leeds United. Il 26 dicembre 2002 diventa il più giovane marcatore della Premier League. Dopo un periodo in prestito allo Swindon Town, diventa titolare al Leeds come ala sinistra, ma nella stagione successiva viene ceduto al Newcastle, dove gioca da ala destra ma senza riuscire ad imporsi come titolare.
Passa gli anni successivi tra il Newcastle e l’Aston Villa, dove dal 2009 inizia ad essere schierato anche come centrocampista centrale. Nel 2010 passa al Manchester City, dove in 5 anni ricopre un po’ tutte le posizioni dal centrocampo in avanti, e contribuisce, con 19 gol e 45 assist in 203 presenze, alla vittoria di 2 Premiership, 1 Coppa d’Inghilterra, 1 Coppa di Lega e 1 Community Shield.
Nel 2015 si trasferisce, a parametro zero, al Liverpool, e dopo una prima stagione in cui continua a giocare indistintamente in tutti i ruoli del centrocampo, nella stagione successiva viene schierato stabilmente da Klopp nel ruolo di terzino sinistro.
Nelle stagioni successive torna a giocare principalmente a centrocampo, non disdegnando però di tornare ad occupare anche la fascia difensiva, sia destra che sinistra, risultando una risorsa fondamentale per la squadra di Klopp che vince la Champions League, la Supercoppa Europea e la Coppa del Mondo per Club nel 2019 e in questa stagione, dopo un’attesa lunga 30 anni, la Premier League.
Indispensabili per la loro utilità, più che per le loro doti
Oltre alla loro capacità di essere un jolly tattico per i propri allenatori, cosa unisce Milner e Zanetti? A parte il fatto che proprio questa loro capacità di ricoprire ruoli diversi è un chiaro segnale del loro spirito di sacrificio al servizio della squadra, è la loro normalità che colpisce.
Si tratta di una normalità che nel calcio odierno li rende eccezionali: mai una parola fuori posto, mai un comportamento sopra le righe fuori dal campo, mai un gesto egoistico, mai una concessione allo spettacolo fine a sé stesso in campo.
Le straordinarie doti di progressione e dribbling di Zanetti sono sempre state sotto gli occhi di tutti, ma non sono mai state quelle a fare di lui un vero e proprio idolo della tifoseria, così come le doti di tiro e di distribuzione di gioco di Milner sono sempre passate in secondo piano rispetto alla sua abnegazione.
Già dalla conformazione fisica dei due capisci di che tipo di giocatore si tratta: potente e concreto, professionisti esemplari che, ad un’età in cui molti colleghi fanno fatica a giocare per più di uno spezzone di gara, corrono in ogni zona del campo coprendo e facendo ripartire l’azione in uno straordinario lavoro di collante tra i reparti.
Ed è la squadra, inteso come gruppo teso alla realizzazione di un unico obiettivo, l’unica preoccupazione di due campioni come Zanetti e Milner. Il loro valore non è solo tecnico e tattico, ma anche di collante ed esempio all’interno dello spogliatoio.
Una menzione a parte, poi, per un altro tratto che accomuna i due: l’impegno in prima persona verso i più giovani.
Nel 2001, dopo la tremenda crisi economica dell’Argentina, Javier Zanetti istituisce in patria la Fondazione Pupi, che prende il nome dal suo primissimo soprannome al Talleres, per aiutare a dare un futuro, partendo dall’istruzione, ai giovani argentini.
Allo stesso modo Milner ha istituito la James Milner Foundation, che si occupa di promuovere attività ricreative e sane per i ragazzi e le ragazze del Regno Unito, così come di creare opportunità per i giovani atleti privi di risorse economiche necessarie allo sviluppo della propria passione.