I tifosi interisti spesso si lasciano andare a facili entusiasmi, dettati anche dai continui alti e bassi della squadra nerazzurra. Ad ogni rinascita o presunta tale della squadra meneghina, fioccano i paragoni tra i giocatori protagonisti e i più svariati campioni. Talvolta il brusco ritorno alla realtà costringe a rivedere certe valutazioni, altre volte questi talenti si affermano e arrivano a scrivere la storia del club nerazzurro. In questa stagione però c’è un giocatore verso cui il giudizio è rimasto decisamente in sospeso: Stefano Sensi.
Dopo un inizio di campionato a livelli davvero stratosferici, il centrocampista marchigiano è caduto vittima di una serie di problemi fisici che l’hanno costretto ai margini della squadra e, proprio quando sembrava pronto a rientrare a pieno ritmo nelle rotazioni del centrocampo di Antonio Conte, è arrivata la sospensione del campionato. Il dubbio sul vero valore di Sensi è quindi rimasto: quello che aveva fatto vedere a inizio stagione era solo dovuto ad un momento di forma straordinario, favorito dal suo fisico che arriva a pieno regime prima degli altri, oppure l’Inter ha davvero pescato un jolly che può ricordare sotto certi aspetti un centrocampista che ha segnato in maniera indelebile il calcio europeo dell’ultimo ventennio, Andrés Iniesta?
Don Andrés Iniesta, un fenomeno costretto a fare il gregario
La storia di Andrés Iniesta inizia a Fuentealbilla l’11 maggio del 1984, in Spagna, nel cuore della Mancia. Dopo i primi calci al pallone tra le fila dell’Albacete, a 12 anni viene chiamato dalla Masìa del Barcellona. Il piccolo, in tutti i sensi, Andrés, introverso e timido, fatica a trovare la sua dimensione nel collegio frequentato dai giovani blaugrana, provenienti da tutto il mondo, ma con il tempo stringe quelle amicizie che segneranno tutta la sua vita e la sua carriera, anche in campo: Carles Puyol, Victor Valdés, Cesc Fabregàs, Gerard Piqué… Dopo 4 anni, alle giovanili del Barça si unisce un altro ragazzino piccolo e minuti, ma capace di numeri pazzeschi con il pallone: Leo Messi.
Insieme a tanti altri giovani di quella fenomenale nidiata di talenti, si affaccia alla prima squadra nei primi anni del nuovo millennio, facendo la spola tra il Barcellona B e la prima squadra. Esordisce in prima squadra in Champions League, il 29 ottobre 2002 contro il Club Brugge, grazie a Luis Van Gaal, e nelle stagioni seguenti, sotto la guida di Frankie Rijkaard, diventa ben presto titolare a centrocampo, prima sostituendo e poi affiancando un altro fenomenale prodotto della Masìa, Xavi.
Attraverso la guida tecnica di Rijkaard prima, di Guardiola poi e infine di Luis Enrique, Iniesta è stato probabilmente il giocatore più importante, dopo l’extraterrestre Messi, di un Barcellona che ha vinto tutto e segnato in maniera indelebile la storia del calcio negli anni 2000. Nasce inizialmente come trequartista, per poi essere usato spesso da ala sinistra in maniera da sfruttare la sua velocità sui brevi tratti e la sua abilità nel giocare tra le linee. In 674 partite con la maglia blaugrana si è poi spostato in qualsiasi posizione dal centrocampo in su. A differenza dei fuoriclasse come Xavi, Yaya Touré, Rakitic o Sergio Busquets che l’hanno affiancato nel corso degli anni, Andrés era l’unico centrocampista che riusciva ad essere presente ed efficace anche nelle zone avanzate del campo, pur non facendosi mai trovare assente in fase di costruzione del gioco.
Ma se in un Barcellona con cui ha vinto 9 campionati spagnoli, 6 Coppe del Re, 7 Supercoppe spagnole, 4 Champions League, 3 Supercoppe UEFA e 3 Coppe del mondo per club il suo enorme talento finiva spesso per essere messo in secondo piano a causa delle giocate fuori dal mondo di Messi, è forse con la nazionale spagnola che Iniesta ha fatto capire di che livello fosse il suo talento: leader tecnico di una generazione formidabile capace di conquistare 2 titoli europei consecutivi, Andrés ha legato il suo nome al trionfo mondiale sudafricani del 2010, quando il suo gol ai supplementari contro l’Olanda fece prendere alla Coppa del Mondo la via di Madrid.
Stefano Sensi, scoprirsi indispensabile all’Inter dopo una gavetta lunghissima
Stefano Sensi non è paragonabile ad Andrés Iniesta per vittorie e carriera al momento, mettiamolo subito in chiaro. Il centrocampista italiano, nato ad Urbino il 5 agosto 1995, è arrivato ad un palcoscenico di primo livello solo a 24 anni, e per quanto negli ultimi tempi si sia imposto al punto di diventare un buon elemento della nazionale, il paragone con Iniesta lo si può fare solo sulla base di alcune somiglianze fisiche marcate e di alcuni echi del gioco dello spagnolo che si rivedono nel nerazzurro.
Dopo le giovanili di Urbinate, Rimini e Cesena, Sensi è passato anche attraverso la Serie D con il San Marino prima di fare la gavetta tra Serie B e serie A con Cesena e Sassuolo, mentre Iniesta a 18 anni esordiva già in Champions League e a 20 era titolare in una delle squadre più forti della storia. Sensi, dopo due stagioni da comprimario con i neroverdi, è solo nella stagione 18/19, alle dipendenze di Roberto De Zerbi, che riesce ad imporsi come titolare, al punto di guadagnarsi il trasferimento all’Inter.
Arrivato a Milano senza troppo clamore, visto più come un rincalzo in un reparto soggetto ad un profondo rinnovamento in concomitanza dell’arrivo di Antonio Conte sulla panchina, Sensi stupisce tutti i tifosi nerazzurri grazie alle sue doti di regia ma soprattutto grazie ad un dinamismo ed un tempismo negli inserimenti che hanno portato all’impegnativo paragone con Iniesta. Inizialmente visto come principale alternativa a Brozovic nel ruolo di regista davanti alla difesa, in breve tempo si afferma come mezzala offensiva in grado di coprire tutto il campo.
Cosa c’è di Iniesta in Sensi
Sicuramente la statura ed il fisico minuto sono gli elementi che portano all’accostamento tra i due giocatori, di primo acchito. Ma andando ad analizzare il gioco di Sensi, in particolare da quando è arrivato all’Inter e può fare affidamento su due centrocampisti bravi a coprire gli spazi arretrati come Brozovic e Barella, si notano alcune affinità con quello di Iniesta. Sicuramente non ha quelle doti di prestigiatore che il campione spagnolo ha fatto vedere sui campi di tutta Europa, ma centrocampisti che uniscono alla visione di gioco una tale rapidità di esecuzione ed un tale controllo di palla sullo stretto non sono così comuni nel campionato italiano.
In particolare il gioco sulla trequarti ricorda molto quello di Iniesta, quando quest’ultimo giocava come terzo di centrocampo: il fraseggio con i compagni per chiamare il triangolo in maniera di sfruttare tutta la sua mobilità, coprendo tutta la fascia centrale del campo e riuscendo ad incunearsi negli spazi stretti, trasformando il suo fisico minuto in un punto di forza.
Così come Iniesta, quando Sensi è in forma è veramente difficile per lo spettatore trovarlo al primo sguardo sul campo da gioco, perché è sempre in movimento, ma al tempo stesso per i compagni è semplicissimo trovarlo con la palla, dato che sempre presente sulle linee di passaggio.
A Sensi è stato spesso rimproverato un atteggiamento non sempre all’altezza della sua grande tecnica, e qui probabilmente risiede la vera differenza con un Iniesta che è sempre stato un professionista esemplare, fin troppo riservato e introverso. Con maggiore testa ed applicazione, Sensi avrebbe potuto arrivare molto prima al livello a cui è giunto solo negli ultimi due anni. Ma questa gavetta allo stesso tempo gli ha donato una versatilità che l’ha decisamente aiutato ad imporsi. Ad oggi Sensi può tranquillamente fare il mediano così come il trequartista con la stessa intensità e garantendo sempre un buon apporto anche in fase difensiva, laddove Iniesta era uno splendido centrocampista ma sempre proiettato verso l’area avversaria, dal momento che ha sempre giocato in squadre come il Barcellona e la Spagna che facevano del possesso palla la prima risorsa difensiva.