La potenza è nulla senza controllo, recitava lo slogan di una vecchia campagna pubblicitaria di pneumatici che vide come azzeccatissimo testimonial Ronaldo, il Fenomeno. Ma senza la potenza non si va da nessuna parte, verrebbe da dire guardando oggi il Duvan Zapata terminale offensivo di quella macchina che viaggia a pieni giri che è l’Atalanta di Gasperini.
Nonostante il fisico imponente, Zapata non è il classico centravanti boa che viene incontro alla palla e la protegge spalle alla porta, come fa per esempio Lukaku nell’Inter, ma è il terminale più avanzato della manovra, colui che cerca sempre la profondità, costringendo la linea difensiva avversaria ad arretrare per contenerlo. La sua potenza gli permette delle progressioni palla al piede in cui sembra travolgere gli avversari come fossero i birilli del bowling. In un calcio fatto sempre più di triangolazioni, sovrapposizioni, falsi nueve e manovre avvolgenti, un tale attaccante-ciclone ci fa tornare in mente un attaccante dalle caratteristiche simili che ha segnato in maniera indelebile la Premier League degli anni 2000: Didier Drogba.
Didier Drogba, tutta la rabbia dell’Africa scaraventata in rete
Didier Yves Drogba Tebily nasce ad Abidjan, in Costa d’Avorio l’11 marzo 1978, in un contesto difficile in cui soffre anche di malnutrizione. A soli 5 anni viene mandato, da solo, in Francia, a vivere con lo zio Michel Goba, calciatore che giocava nel Brest. Nonostante i genitori fossero contrari e volessero che si concentrasse sugli studi, lo zio lo iscrisse a 6 anni alla scuola calcio. Ma dopo 3 anni in Francia la nostalgia della famiglia è troppo forte ed il bambino torna in Costa d’Avorio, dai genitori.
Ma la crisi economica della Costa d’Avorio costrinse Didier ad interrompere gli studi, dato che i genitori non potevano pagare le tasse scolastiche. Compiuti 11 anni, Didier tornò in Francia, dopo che i suoi genitori dovettero chiedere nuovamente allo zio di riaccoglierlo e pagargli il viaggio. Nuovamente sotto l’ala protettiva dello zio, ricominciò a giocare a calcio, come terzino destro prima nell’Olympique Vannes, poi nel Levallois. A 19 anni viene tesserato dal Le Mans, dove inizia a giocare in attacco e a dimostrare doti fisiche davvero notevoli.
In tre stagioni e mezza con i Sang et Or Didier mette a segno 15 gol in 72 presenze, aiutando il club a raggiungere la salvezza in Ligue 2 e guadagnandosi la chiamata del Guingamp, in Ligue 1, nel gennaio 2002. Se nella fase conclusiva di quel campionato mette a segno solo 3 reti in 11 presenze, nella stagione successiva dimostra di poter giocare nella categoria, con 17 gol in 34 presenze.
La stagione successiva viene acquistato dall’Olympique Marsiglia, con cui si impone all’attenzione di tutta Europa, mettendo a segno 19 gol in campionato, 5 in Champions League e 6 in Europa League, competizione in cui arriva in finale venendo sconfitto dal Valencia. È il Chelsea di José Mourinho che si assicura quindi le prestazioni di quest’attaccante nell’estate del 2004.
Nella prima stagione con i Blues i suoi gol, 16, sono già fondamentali per vincere League Cup e il titolo della Premier League, dopo 50 anni dall’unica altra vittoria del Chelsea. Nelle stagioni successive arrivano le vittorie di altri 2 titoli inglesi, 1 Coppe di Lega e 4 Coppe d’Inghilterra, che rendono Drogba il volto più riconoscibile della squadra rifondata da Abramovich e Mourinho.
Nel frattempo Didier diventa anche l’uomo simbolo di una Costa d’Avorio che grazie ai suoi gol arriva in finale di Coppa d’Africa nel 2006 (persa ai rigori contro i padroni di casa dell’Egitto) ma soprattutto si qualifica per la prima volta ai Mondiali nel 2006. Con Drogba capitano, e primo giocatore ivoriano a segnare un gol ai mondiali, Les Elephants centreranno la qualificazione anche in nelle successive due edizioni, arrivando fino al 12° posto della graduatoria mondiale. Drogba è talmente idolatrato in patria che nel 2005, mentre si giocavano le qualificazioni per i Mondiali, il suo appello per l’unità nazionale portò alla sospensione della guerra civile che stava dilaniando il paese.
A fianco dei trionfi però ci sono anche le delusioni, come quella incredibile della finale di Champions League del 2008, dopo l’addio di Mourinho, quando il goffo scivolone ai rigori del capitano John Terry vide il Chelsea perdere il trofeo a favore dei rivali del Manchester United, dopo una partita in cui aveva preso un palo ed era stato espulso nei supplementari.
4 anni più tardi, però, alla vigilia del suo addio al Chelsea, Didier poté prendersi la rivincita, nella finale di Champions che i Blues giocarono a Monaco di Baviera proprio contro il Bayern, con Drogba che prima segna il gol del pareggio all’88° e quindi il rigore decisivo che consente alla squadra allenata da Di Matteo di alzare la coppa.
Dopo un’esperienza in Cina, al Shanghai Shenhua, e in Turchia al Galatasaray, dove vince campionato, coppa nazionale e Supercoppa di Turchia, nel 2014 torna per un’ulteriore stagione al Chelsea, dove, ritrovando José Mourinho, vince un altro titolo nazionale e un’altra Coppa di Lega.
Quindi attraversa l’oceano per giocare nella MLS, con i Montreal Impact, con cui segna 23 gol in 41 presenze, per poi trasferirsi a Phoenix, abbracciando il progetto di rifondazione dell’Arizona United in ULS, che cambia nome in Phoenix Rising e che lo vede annunciare, anche nel ruolo di azionista del club, l’addio al calcio nel 2018, dopo più di 350 gol in carriera.
Duvan Zapata, il colosso colombiano rinato con la Dea
Duvan Esteban Zapata Banguero è nato a Cali, in Colombia, il 1° aprile 1991. All’età di 10 anni entra nelle giovanili dell’America de Cali, con cui esordisce in prima squadra nel 2008. Nel 2011 si trasferisce in Argentina, all’Estudiantes, con cui mette a segno 22 gol in 46 partite prima di essere acquistato dal Napoli nell’estate 2013.
Con i partenopei Zapata raramente gioca titolare, ed in 2 stagioni colleziona 15 reti in 53 presenze complessive. Viene quindi ceduto all’Udinese, dove trova decisamente più continuità: tra il 2015 e il 2017 mette a segno 19 reti in 65 partite, per poi essere ceduto alla Sampdoria dove in 32 partite nella stagione 17/18 segna 11 gol.
Nell’estate 2018 sbarca alla corte dell’Atalanta di Gasperini, in cerca di rinforzi per affrontare l’Europa League, per sostituire Andrea Petagna nell’attacco orobico. Dopo un inizio incerto, in cui la squadra bergamasca non riesce a superare i preliminari di Europa League, Duvan inizia ad assimilare i precetti tattici di Gasperini, diventando in breve tempo un attaccante devastante, autore che chiude la stagione con 28 reti segnate in 48 presenze, ed una storica qualificazione alla Champions League.
Spaccare le linee difensive con corsa e fisico
Quello che accomuna maggiormente Zapata a Drogba è la capacità di unire dinamismo, potenza e fisico, spesso nell’arco della stessa azione. Si tratta di attaccanti difficilissimi da marcare per via delle loro dimensioni e della prestanza fisica, ma che uniscono anche un’incredibile progressione e una grande precisione al tiro, peraltro sempre potente e in grado di raggiungere velocità pazzesche. Molti sono gli attaccanti in grado muoversi lungo tutta la trequarti e trascinare in avanti la squadra, ma sono pochissimi quelli che lo fanno con un fisico come quello di Drogba o di Zapata.
Un po’ come Drogba, arrivato ai vertici del calcio europeo non giovanissimo e dopo aver fatto molta gavetta, Zapata a 27 anni, dopo una sorta di bocciatura da parte del Napoli e la gavetta tra Udinese e Sampdoria, si è reinventato ed ha modificato il suo modo di giocare diventando uno degli attaccanti più prolifici e decisivi d’Europa.
Già quando era arrivato a Udine, Duvan dichiarava di ispirarsi a Drogba, oltre che ad Ibrahimovic, ma è solo con Gasperini che ha davvero raggiunto quei livelli, arrivando ad adottare negli ultimi tempi anche la stessa esultanza del campione ivoriano dopo i gol.
Ma per quanto importanti e decisivi siano i loro gol (basti vedere quanti finali giocate dal Chelsea riportino il nome di Drogba tra i marcatori), la loro capacità di attaccare la profondità e travolgere le difese li rende anche degli inestimabili grimaldelli che portano anche i loro compagni a finalizzare con profitto: chiedere a gente come Lampard o Ilicic per conferma.
Di certo a livello di personalità Duvan Zapata è molto lontano da quello che è stato Didier Drogba, leader, ispiratore e trascinatore non solo di un Chelsea che in una manciata d’anni ha preso stabilmente posto tra le grandi d’Europa, ma anche di una nazione e di un continente intero, diventando, insieme a Samuel Eto’o, una vera e propria icona del calcio africano del nuovo millennio.
Zapata in realtà è un grandissimo gregario, capace di dare l’anima per la squadra, ma né all’Atalanta, dove a “squillare la tromba” ci pensa più spesso il Papu Gomez oppure Josip Ilicic, né nella nazionale colombiana, dove ha sì dato il suo contributo ma non è mai apparso indispensabile, ha mai dato l’impressione di poter assumere il ruolo di leader.