Sgomberiamo subito il campo da ogni possibile equivoco: Ronaldo Luis Nazario Da Lima, universalmente conosciuto semplicemente come Ronaldo, detto il Fenomeno, è assolutamente imparagonabile al pur bravissimo e talentuoso Luis Muriel. Da un lato abbiamo il giocatore che alla fine degli anni ‘90 da solo ha completamente stravolto gli equilibri di quello che era ancora il campionato più prestigioso del mondo, e che dopo due infortuni che ne hanno praticamente dimezzato il potenziale è stato il centravanti del Real Madrid dei Galacticos, ovvero della squadra con forse il più grande tasso di talento della storia del calcio; dall’altro abbiamo un ottimo attaccante che ha contribuito, mai da protagonista a dire il vero, ai discreti risultati delle squadre in cui ha militato. Ronaldo, un gigante della storia del calcio, un vero e proprio monumento di questo sport, con un palmares enorme, e Muriel, un onesto attaccante che a 28 anni ha vinto al massimo un campionato di Liga2 (da riserva) e ottenuto qualche piazzamento europeo. Eppure, questa rubrica si chiama Déjà Vu perché rievoca quella sensazione di aver già visto o vissuto qualche esperienza uguale a quella a cui si assiste nel presente. Ebbene, è innegabile che certe volte, certe azioni, certi gol di Luis Muriel sembrano presi pari pari dal repertorio del Fenomeno, e probabilmente non c’è altro giocatore al mondo che può vantarsi di suscitare le stesse sensazioni.
Perché Ronaldo è il Fenomeno
Due volte Pallone D’Oro, tre volte FIFA World Player, due volte Campione del Mondo (la prima senza mai scendere in campo, la seconda da capocannoniere e miglior giocatore della competizione), due volte vincitore della Coppa America e una volta della Confederations Cup con la maglia del Brasile, a livello di club ha vinto due Coppe del Brasile, una Coppa d’Olanda, due Supercoppe Spagnole, una Coppa del Re, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa, una Coppa Intercontinentale ed un titolo della Liga: questo il palmares di Ronaldo. L’opinione generale è che abbia anche vinto poco, rispetto al suo valore. Attaccante abile con entrambi i piedi, potente e rapidissimo palla al piede, dotato di una tecnica sopraffina ma soprattutto essenziale nelle giocate: Ronaldo era in grado di disorientare e superare qualsiasi difensore, ma a queste doti tecniche univa anche la concretezza, puntando sempre la porta e arrivando sempre al tiro in porta una volta superato l’avversario. I più grandi difensori della sua generazione, da Maldini a Nesta, passando per Thuram e Stam hanno sempre dichiarato che era l’avversario peggiore che avessero mai incontrato. Fabio Cannavaro l’ha definito “immarcabile. Al primo controllo ti superava, al secondo ti bruciava, al terzo ti umiliava. Sembrava un extraterrestre”, Billy Costacurta l’ha raccontato così: “Vi assicuro che noi abbiamo marcato gente come Maradona, ma lui era assurdo. Lo marcavi stretto e lui ti chiamava la profondità, coprivi lo spazio per non dare la profondità e lui ti puntava in uno contro uno, era ossessionante.”
I due Ronaldo, prima e dopo l’infortunio
Fino al 1998 Ronaldo ha letteralmente seminato il panico tra le difese di tutta Europa, prima con la maglia del PSV (54 gol in 57 partite), poi con quella del Barcellona (47 reti in 49 partite) e quindi con la maglia di quell’Inter del presidente Massimo Moratti che si innamorò perdutamente del Fenomeno e lo rese il fulcro del suo progetto di rilancio della Beneamata. Nel novembre 1999 si lesionò il tendine rotuleo in una partita contro il Lecce, costringendolo ad un intervento chirurgico, e nell’aprile dell’anno successivo, pochi minuti dopo il suo ritorno in campo nella finale di andata di Coppa Italia contro la Lazio, nel momento in cui si apprestava a fare uno dei suoi tipici e irrefrenabili scatti con finta a disorientare il difensore, si accasciò a terra in preda al dolore: il mondo del calcio si ammutolì all’unisono, e la diagnosi successiva confermò la rottura totale del tendine rotuleo. Ci vollero ben diciassette mesi prima di rivederlo in campo, ma non riuscì mai a recuperare la forma fisica perfetta. Lasciò l’Inter da autore di 59 gol in 99 presenze con la maglia nerazzurra per indossare la camiseta blanca del Real Madrid. Il Ronaldo che arrivò a Madrid, in una squadra che già annoverava campioni come Zidane, Figo, Raul e Roberto Carlos era un giocatore molto diverso rispetto a quello degli esordi europei e del primo anno interista: la velocità non era più quella travolgente di una volta, quando raggiungeva picchi di 36 km/h, ma la potenza era forse anche aumentata. Con un tale tasso tecnico al suo servizio, la sua maniera di giocare cambiò, smise di svariare per il fronte d’attacco, recuperando palloni rientrando sulla trequarti per poi involarsi verso la porta, ma cercò di più il dialogo con i compagni, giocando in posizione più centrale e giocando più sull’anticipo al difensore. Quello che non cambiò per nulla fu la confidenza con la rete: in quattro stagioni e mezza con la camiseta blanca, Ronaldo ha messo a segno 104 in 177 partite.
Luis Muriel: tratti da Fenomeno, ma Fenomeno a tratti
Luis Muriel ha sempre dovuto convivere con il paragone verso il Fenomeno: vuoi per una certa somiglianza, vuoi per un fisico strutturato in maniera simile, ma soprattutto per certi colpi che ha fatto intravedere fin dai suoi esordi con la maglia del Lecce: quelle accelerazioni improvvise, palla al piede, girando attorno all’avversario disorientandolo e lasciandolo sul posto sono quasi esattamente sovrapponibili alle azioni del primo Ronaldo. Quello che non ha del Fenomeno però è la potenza e la precisione del tiro, come si evince dalle 84 reti messe a segno in 292 partite da professionista, ben lontano dalle medie realizzative di Ronaldo. C’è anche da dire che non ha mai giocato in club di primo piano come il Fenomeno, ma ha sempre stazionato nella media classifica: italiana con Udinese e Sampdoria, o spagnola, con il Siviglia. Per sfortuna, ma anche per una certa fragilità emotiva che l’ha sempre frenato quando sembrava sul punto di esplodere e diventare un giocatore di livello superiore. Se Ronaldo era un’ossessione per i difensori avversari, che vivevano 90 minuti nel costante terrore di venire umiliati, Muriel al massimo suscita il timore che possa avere una di quelle fiammate che tanto ricordano il Fenomeno, ma non ha quella capacità di tenere costantemente sotto pressione la linea difensiva dall’inizio alla fine della partita. Dove Ronaldo scendeva in campo sempre con un sorriso e lo sguardo di sfida, in Muriel si nota troppo spesso uno sguardo ansioso e timoroso, che nonostante a volte si accenda di gioia quando si concretizzano quelle giocate mostruose che ci spingono a paragonarlo a Ronaldo, spesso lo allontana troppo dal cuore della partita impedendogli di mettere completamente a frutto lo strepitoso talento che possiede. Dopo i positivi mesi con la Fiorentina nell’ultima parte della scorsa stagione, oggi è in una squadra come l’Atalanta, che macina gioco e risultati in un ambiente ricco di entusiasmo e con poche pressioni, con un allenatore come Gasperini che ha dimostrato di sapere esaltare al massimo giocatori tecnici e veloci come il Papu Gomez ed Ilicic: adesso sta a Muriel dimostrare di essere maturato come giocatore ed esprimersi con regolarità ai livelli che gli hanno fatto guadagnare questo paragone.