Sono da poco passate le 16.30 del 5 maggio del 2002. Il cielo sopra Roma splende di un celeste così limpido da celare l’ira degli dèi. È sempre dietro la bellezza che si nascondono le tenebre.
Alle 15 di quello stesso pomeriggio, la classifica della Serie A 2001/2002 recita: Inter prima a +1 dalla seconda, la Juventus, e a +2 dalla terza, la Roma. Ai nerazzurri, lo Scudetto manca da 13 anni.
Una festa annunciata
L’Olimpico è vestito a tema. È l’Inter la Reginetta del Ballo e i tifosi della Lazio, in onore del ferreo gemellaggio che lega le due casate, decidono di colorarsi di nero e di azzurro. È bensì vero che la Curva Sud – quella riservata ai tifosi ospiti – è piena di interisti, ma lo stesso discorso vale anche per il resto dello Stadio, e in modo speciale per la Curva Nord – casa dei tifosi laziali. In altre parole: ovunque è uno sfolgorio di nero e di azzurro. Spunta anche un ironico ed inquietante due aste in curva laziale con scritto “Peruzzi scansati“
La formazione di Cuper parte forte. D’altra parte, sa – o presume – di trovarsi di fronte ad una squadra senza troppe motivazioni, esclusa dalla matematica al piazzamento in Champions League, con tanti campioni in esubero e uno stadio che, praticamente, fa il tifo per il Biscione.
Non serve troppo tempo all’Inter per sbloccare l’incontro. Da un corner a girare del Chino Recoba, Peruzzi quasi la blocca, ma poi la lascia lì, consentendo a Di Biagio di scippargliela da sotto il naso e a Bobo Vieri, ex della partita come Soldatino, di spingerla in rete con estrema comodità. Il punteggio recita allora: Lazio 0-1 Inter.
La Juventus, sull’altro campo, fa il suo. La Vecchia Signora è infatti da poco passata in vantaggio con un colpo di testa di David Trezeguet. Udine, che già porta in sé i colori bianconeri, appare quel giorno un feudo juventino.
Ma la Lazio cresce. La squadra di Zaccheroni, contestata e a tratti fischiata, prende l’Inter per le corna e la beffa sul fattore emotivo. Dopo la rete di Vieri, Moratti era stato sorpreso nell’atto di farsi il gesto della croce. Ne aveva ben donde. Stankovic pesca con un mancino scucchiaiato il piede di Fiore. La difesa dell’Inter scala in ritardo e sul passaggio arretrato del centrocampista laziale giunge Poborsky, che con un destro secco e angolato beffa Toldo e, nell’esultare, esulta in faccia alla Nord come di solito un giocatore festeggia sotto la curva avversaria.
Il talento numero uno dell’Inter, il Fenomeno, Ronaldo, non riesce ad ingranare. La sua punizione è niente più di un tentativo velleitario. La Nord continua ad incitare l’Inter, che finalmente passa. Dall’errore banale di Couto, che su cross di Conceicao aveva respinto maldestramente in calcio d’angolo, scaturisce un corner che il piede avvelenato di Recoba sfrutta alla grandissima: testa di Di Biagio, gol con dedica e 1-2 Inter. L’aria di Scudetto è ora più consistente.
Il 5 Maggio della tragedia interista
Non è che un’illusione. La Lazio continua ad attaccare. Prima Stam, poi Stankovic, spaventano da punizione la porta di Francesco Toldo. Poi, quasi in chiusura di primo tempo, un cross di Stankovic senza troppe pretese viene giocato come peggio non si può dalla coppia Cordoba-Gresko: sul suicida colpo di testa di quest’ultimo, interviene il gambone di Poborsky che anticipa Toldo e sigla la sua personale doppietta – già sa che quelli saranno gli ultimi due gol con la maglia della Lazio. Ancora non sa di essere il cattivo di giornata.
Quel gol sembra tagliare le gambe all’Inter. Ma se è vero che è sempre la testa a guidare le gambe e mai viceversa, ecco spiegato il black-out dei nerazzurri: lo Scudetto, già cucito sul petto nerazzurro nel comune immaginario, rischia di scappar via per un sovraccarico di pressioni negative. Quando la Roulette si mette in moto, nessuno sa quale numero potrà capitare. Nella propria testa, capiterà sempre il colore scelto prima del lancio. Il nero o il rosso. 50 e 50.
Cordoba rischia l’espulsione su Inzaghi, per una trattenuta che Paparesta, figlio d’arte, non giudica neanche da ammonizione. La Lazio più che attaccare sgambetta in mezzo al campo; l’Inter corre poco e quando lo fa, sbaglia ogni possibile movimento.
È da una punizione laterale battuta dal piede destro di Fiore che Simeone incorna la sfera trafiggendo Toldo e i suoi ex tifosi. Quasi dispiaciuto per quello che ha fatto, El Cholo uscirà di lì a pochi minuti, applaudendo furiosamente (e ironicamente) la Curva Nord.
Nel frattempo Materazzi ha un crollo nervoso: piange e litiga con Cesar, ricordano a lui e a tutto il popolo laziale come fosse in campo, con la maglia del Perugia, in quel apocalittico pomeriggio di pioggia di due anni prima quando assieme ai suoi compagni batté la Juve regalando alla Lazio uno degli scudetti più spettacolari ed insperati della storia.
Ronaldo esce dal campo nella delusione generale. Il Fenomeno ha fallito. Vittima anch’egli, come tutta l’Inter, di un Destino assurdo.
Il Destino ha però le sue esigenze e segue le sue strade: è lo stesso che, a chilometri di distanza sta premiando la Roma, in vantaggio a Torino, e, soprattutto, la Juventus di Lippi, che da un bel po’ di tempo è sul 2-0 grazie al raddoppio di Alessandro Del Piero.
L’Inter si sta squagliando. La Lazio corre, quanto basta per tramortirla definitivamente. Su bella giocata di Cesar arriva un cross che Inzaghi trasforma, di testa, completamente da solo, in rete. Tre uomini dell’Inter in area, nessuno a marcare Inzaghi e l’uomo alle sue spalle, entrambi in casacca biancoceleste. 4-2 Lazio.
Ronaldo, in panchina, è scoppiato in un pianto che rimarrà uno dei simboli più indelebili nella storia delle grandi tragedie sportive di ogni tempo. Qualche minuto prima, su quasi autorete di Favalli, Nesta aveva salvato sulla linea. Su quella stessa porzione di campo, adesso, piange ancora Marco Materazzi, in preda ad un’emozione che non ha parole. La Lazio sfiora persino il 5-2 con Cesar.
La rabbia ha lasciato ormai da qualche minuto spazio allo sconforto. La Juventus festeggia il suo 26° Scudetto. Uno dei più belli, sia per come è arrivato, sia per l’avversario contro cui è arrivato. La Roma scavalca l’Inter, paradosso dei paradossi. E in una giornata dal danno incommensurabile, questa non è che una beffa accessoria.