Il gol di Alex Del Piero al 21’ del primo tempo aveva illuso schiere di appassionati. Una rete splendida, quella di Pinturicchio, grazie alla quale la Juventus di Marcello Lippi, con un lampo isolato in una partita tenue, era riuscita ad allungare sull’Inter seconda in classifica.
L’1-0 dei bianconeri era l’episodio calcistico che – condito della classe di un suo illustrissimo artista ed esponente – fino a quel momento metteva a tacere quanti, tristi delle scorie del passato, puntavano il dito dell’analisi (e a priori) non sui 22 in campo, ma su quel 23esimo (il direttore di gara) che vuoi o non vuoi, in certe partite, è più un attore che una comparsa.
Niente da fare. La legge della Vecchia Signora tornava, prepotentemente, a timbrare l’ennesimo modulo sospetto sulla storia del calcio italiano. Sono passati quasi 25 anni da quella partita. Si gioca Juventus-Inter per la 31esima giornata del massimo campionato italiano di calcio. Prima contro seconda, distanziate da un solo punto. In una parola, una finale.
Iuliano-Ronaldo, e la partita finisce lì
Dopo un match relativamente equilibrato, dove la Juventus – forte sia del fattore campo, sia del vantaggio iniziale firmato Del Piero, che di una formazione oggettivamente superiore a quella nerazzurra, almeno nei singoli –, in una partita in cui dunque la Juventus aspetta, più che aggredire l’Inter di Simoni, avviene il fattacio.
Su una palla contesa inizialmente da Ronaldo e Iuliano, si avventa Zamorano, anticipato da Torricelli; il pallone rimane lì e Nazario Da Lima ci si avventa come un falco, lo sposta quanto basta per superare il diretto marcatore, Mark Iuliano appunto, che si scontra col brasiliano dopo aver mancato il contatto con la sfera. Per l’arbitro, il signor Ceccarini di Livorno, non c’è nulla.
L’azione riparte e, in un marasma emotivo senza precedenti nella storia del nostro calcio, accade di tutto.
Gigi Simoni entra in campo, un paio di giocatori nerazzurri, vicini all’azione almeno quanto Ceccarini, accerchiano l’arbitro livornese il quale, però, continuando a fare il proprio mestiere, segue la manovra bianconera, lanciata in contropiede e piuttosto promettente.
Sul ribaltamento di fronte, dunque, Zidane riceve la sfera sul lato sinistro della trequarti campo, a pochi metri dall’area di rigore; il centrocampista francese riesce a trovare un pertugio misterioso tra due maglie nerazzurre, pescando Del Piero che con un guizzo supera Taribo West, che lo atterra. È calcio di rigore; è nettissimo ed inequivocabile.
Dal dischetto Del Piero si fa ipnotizzare da Pagliuca che, avanzando a dir poco oltre il limite della linea di porta – all’epoca ancora piuttosto generoso il regolamento… – riesce a respingere la conclusione, tutt’altro che irresistibile, di Pinturicchio. Poche le emozioni successive. Ronaldo ci prova, ma senza successo, Peruzzi è attento in un paio di circostanze, e la partita si spegne così, come l’ultimo raggio di sole al tramonto, dietro il mare del campionato 1997/98, naufragato in un solo episodio.
Il replay – che di solito aumenta i dubbi sulle impressioni iniziali, quelle magari un po’ frettolose e azzardate, mediate dalla pancia del tifoso – non fa che aggravare la già delicata posizione dell’arbitro. Il contatto è indubitabilmente nettissimo, ma inequivocabilmente voluto da Iuliano, che neanche si interessa del pallone – curioso, dal momento che il gioco è proprio quello del pallone – e va diretto sull’uomo, atterrandolo in area di rigore.
Un fiume di polemiche
«Di solito giocare al calcio mi diverte. Stavolta no. Stavolta abbiamo esagerato, tutti». Quest’affermazione la si deve ad Angelo Peruzzi, portierone della nazionale e della Juventus in quel pomeriggio.
È senza dubbio la più lucida di tutte quelle che sono state pronunciate nei decenni a venire, dai commenti a freddo a quelli a caldo, da quelli in studio a quelli nei bar del Bel Paese, passando per i salotti televisivi, mai così contenti di poter gettare pepe sul nostro calcio, malaticcio e defraudato. Sono parole splendide che però risulteranno essere un’oasi nel deserto delle polemiche, inevitabili anche per tutto quello che c’era stato prima della gara.
Perché se è vero che Ceccarini ha fallito l’infallibile, è anche vero che su di lui pesava un clima da inferno dantesco.
Dalle parole dell’inviato della DS, che prima della gara gli denotava la direzione dell’incontro proprio con questa parolina, “inferno”, a quelle della curva bianconera: «Lasciate ogni speranza voi che entrate», di dantesca e infernal memoria, per l’appunto. Davvero, lasciamo ogni speranza, tutti.
Quel giorno finisce anche, con largo anticipo, l’amore – semmai fosse sbocciato – tra Ronaldo e l’Italia. Un rapporto che in realtà avrà un secondo ciclo al Milan, ormai a fine carriera, ma che mai vedrà il Fenomeno e il Bel Paese uniti di un amore che, a tanti anni di distanza, dispiace constatare come fallito.
«Se Ronaldo avesse giocato meglio, anziché toccare tre o quattro palloni come ha fatto, forse non sarebbe qui a lamentarsi. La Juventus è sempre presente in campo, si allena bene e parla poco, soprattutto. Cosa che non fa Ronaldo, il quale sembra aver già imparato molto bene l’italiano». Le parole di Luciano Moggi non stemperano gli animi, anzi.
Il carosello tutto italiano del dibattito sul contatto Ronaldo-Iuliano arriva a rompere gli argini dello sport, finendo sulla bocca di parlamentari, personaggi più o meno influenti. Certo, il calcio è cultura e non è mai soltanto un gioco. Ma qui di culturale c’è ben poco, se non un problema, quello della sudditanza psicologica degli arbitri.
«Non è neanche colpa della Juventus. È un complesso che hanno gli arbitri». Le parole fresche di episodio di Massimo Moratti sono senza dubbio motivate. La storia di un campionato, la storia di quel campionato, ritorna ciclicamente a parlare. E la voce delle altre è sempre più bassa di qualche tono di quella della Vecchia Signora.
Una sudditanza che sembra aver colpito anche l’arbitro livornese, indebito protagonista di una sfida vista da milioni di persone in tutto il mondo. Anche solo dubitare dell’episodio del rigore, come pure è stato fatto, assai poco elegantemente, dal Ceccarini nei mesi successivi, è davvero l’immagine più triste ma al contempo veritiera del nostro Paese, Bel Paese dei balocchi.
Non aveva mai lasciato lo Stadio, il presidente nerazzurro. Aveva cambiato la cravatta, quel giorno, augurandosi una sorte favorevole. L’avversità lo ha colpito sul più bello. Ronaldo non ha paura. Forse è anche questa, la dolce ingenuità del brasiliano fresco di Serie A, s’intende, a dir le cose come stanno. Ai microfoni della DS, in un video facilmente rinvenibile su You Tube, Nazario afferma, dinnanzi ad Antonio Conte: «Campionato falsato; è una vergogna».
Da studio, Mazzola, all’epoca ds dell’Inter: «Bisogna andare oltre l’episodio. Questo è solo la punta dell’iceberg. Bisogna riflettere sul fatto che qui si falsa un intero campionato». Mazzola senza troppe ambagi parla di campionato falsato.
La sua posizione, certo, non è ininfluente sul giudizio. Le sue parole, poco pesate, pesano come un macigno. Sono parole inequivocabili, gravi senza dubbio. Ma comprensibili. Perché sarà proprio questa partita a decidere il campionato – e, ci sia consentito di affermare ciò col senno del poi, anche i successivi anni del nostro calcio, che malediranno l’Inter.
Quantomeno curiosa la profezia del signor Bettega, di juventina professione: «Auguro a Moratti di non dover aspettare altri nove anni per vincere uno Scudetto». Ne dovrà aspettare otto. Perché la stagione 2005/06, falsata dal dramma di Calciopoli, consegnerà de iure, ma non de facto, il tricolore ai nerazzurri.