Almeno una volta nella vita, a più di una latitudine sparsa per il globo terracqueo, sarà capitato, ad un tifoso qualunque, di pensare: «Vincere il derby… sì, magari. Non perderlo, certo… ci metto la firma». È inutile fossilizzarsi sulla classica e per certi versi demotivante sentenza che recita: «non è una partita come le altre». È talmente ovvio che sia così, che abbiamo finito per pensare il contrario.
Ma il derby proprio non è una partita come le altre. Ogni derby, poi, si differenzia dall’altro. Una stracittadina non vale mica l’altra. La stessa partita, poi, ripetuta ogni volta, ha un peso sempre diverso. Può salvare una stagione, o rovinarla. Può rappresentare una svolta, o una disfatta destinata a rimanere in eterno nella mente della gente.
Un derby per una stagione
È l’11 maggio del 2001. Inter e Milan scendono in campo per un derby che fiuta a) aria di Champions, suona b) come una finale e vale c), per il resto dell’estate, gloria eterna per una e lacrime di coccodrillo per l’altra. Le due squadre hanno alle spalle una stagione travagliata, culminata con i cambi in panchina, che hanno portato Tardelli su quella dell’inter già alla 2ª giornata e Cesare Maldini in abbinata a Tassotti a traghettare il Milan verso l’arrivo dell’Imperatore Fatih Terim.
Insomma l’aria che si respira è quella di un derby che deve salvare una stagione di mestizie, e per questo forse assume ancora più importanza.
Formazioni. Inter con Frey tra i pali. In difesa: Ferrari, Blanc, Simic. A centrocampo, da destra a sinistra: Javier Zanetti, Farinos (34’ Cauet), Di Biagio (1’ st Seedorf, ebbene sì), Dalmat, Gresko. In attacco: Vieri e Recoba. Allenatore, ahilui: Tardelli.
Milan con Seba Rossi in porta. Difesa composta da Helveg, Costacurta, Roque Junior, Maldini. A centrocampo Gattuso, Giunti (26’ st Guglielminpietro), Kaladze, Serginho (sì, a centrocampo entrambi; e fossi in voi non scherzerei troppo sul secondo). In attacco? Comandini (12’ st Josè Mari) e Andryi Shevchenko. Allenatore: Tassotti. Direttore tecnico: Maldini, Cesare.
È Opel contro Pirelli. È rossonero contro nerazzurro. È Diavolo contro Biscione. Due simboli del male per un calcio che, di solito, fa più che bene all’anima, da queste parti. Le due tifoserie sono scese in campo, ormai, da qualche ora. L’attesa è spasmodica e non c’è bisogno di tagliarla col coltello; ci pensano i corpi dei giocatori a infrangere lo strato pannoso provocato dai fumogeni di entrambe le curve. Metafora, quest’ultima, di un’epica tanto travolgente quanto reale.
Quando Comandini sembrava Van Basten
Collina dà inizio delle ostilità. Ferrari perde subito un pallone in uscita. Serginho brucia Di Biagio, accelera, imbuca tra due difensori e trova Gianni Comandini. Fino a quel momento, zero gol. Gli bastano 180 secondi dall’inizio del derby per risultare già decisivo. Milan in vantaggio.
Risposta Inter, immediata. Gattuso si esibisce in un palleggio non da lui, poi spazza in rovesciata ma pesca Dalmat, rimpallo, ancora Dalmat, destro, Seba Rossi male, Vieri! Ma Maldini lo anticipa. Tifosi dell’Inter inferociti. Era rigore? Per Tardelli, senza alcun dubbio.
Prosegue l’azione. Serginho dal fondo, nessuno ne fiuta la pericolosità. Il brasiliano avanza indisturbato, la mette in mezzo con un mancino che taglia il derby; Comandini, di testa, anticipa tutti ed emette la sentenza. 2-0. Ma quel rigore reclama vendetta. Il replay lascia pochi dubbi.
Ma non c’è neanche il tempo di fermarsi a riflettere. Siamo al 22’. Comandini si invola nella metà campo nerazzurra, ormai allo sbando, e costringe il povero Simic ad un fallo da rosso, ma Collina si limita al giallo: arancione, si direbbe oggi.
Milan all’attacco, l’Inter è alle corde. Costacurta per Gattuso che, di destro, disegna una parabola tagliata e magica per la testa di Serginho che di testa, in tuffo, sfiora il 3-0. Palla che termina di poco a lato dalla porta di Frey.
Ancora il Milan che insiste. Palla larga per Helveg che disegna uno splendido cross per Sheva; sponda di testa per Comandini che si gira e calcia come viene, addosso a Frey, comunque superbo – ma piuttosto fortunato – nell’intervento che salva ancora una volta l’Inter dal 3-0. La squadra di Tardelli è un’automobile senza freni, a picco su una strada senza pianura, né tantomeno salita. Quelli del Milan arrivano da tutte le parti e per puro caso il primo tempo finisce solo 0-2. Qualche tifoso interista prova a vederci un segnale positivo, pensando ad una rimonta nella ripresa: non sanno che stanno per arriva i 45 minuti più imbarazzanti della storia dell’Inter.
Serginho rompe l’Inter
Passano 8’ dall’inizio del secondo tempo, e il Milan realizza finalmente il gol del 3-0. Roque Junior si butta in area di rigore, spinto da un difensore nerazzurro, ma non colpisce il pallone sul bel cross di Giunti. Questo non-tocco inganna il povero Sebastian Frey, che interviene in ritardo e non può molto. Il gol viene assegnato a Giunti. Il derby, per l’Inter finisce qui.
Nel frattempo Serginho continua a fare le fiamme. Prima rischia di catturare un rigore dal sacco, ma Collina non ci casca. Poi, dopo aver ricevuto palla da Comandini, su splendida uscita dei rossoneri, porta palla fino in fondo, la mette in mezzo cadendo, in estirada; ad attendere il pallone c’è l’immancabile Shevchenko, che al 22’ della ripresa, di testa, fa cappotto. Milan 4-0 Inter. Diciamo meglio, per rendere l’idea della debacle: Inter 0-4 Milan. E mancano ancora più di venti minuti alla fine.
46 gol in 63 partite per Sheva in Serie A. Sono numeri mostruosi. Non poteva mancare l’appuntamento con il gol. Ma Serginho oggi è senza dubbio la mezza ala più forte del pianeta, forse dell’universo.
A Roma, quando un calciatore è troppo forte per gli altri 21 in campo, si usa un’espressione che ben calca la partita di quel giorno del brasiliano: fare le buche. Serginho quel giorno fa le buche. E le fa letteralmente, su entrambe le fasce, durante l’intero arco dei 90’.
Lo fa al punto che, se i difensori dell’Inter non possono che guardare inermi, lui traccia, quasi senza volerlo, con la sola forza delle proprie gambe, il cammino per gli altri. Un po’ come Hansel e Gretel, per intenderci, che lasciavano tracce caramellose durante la strada. Chi coglie i frutti del lavoro di Serginho? Senza dubbio il Milan, Comandini, Sheva. Ma anche Kaladze.
La sua progressione al minuto 33’ è semplicemente clamorosa, à là Serginho. Nessuno riesce a fermarlo, e sul suo pallone messo in mezzo, Sheva fulmina l’area piccola, s’infila tra difensori e Frey ed entra in porta col pallone. 0-5.
È già la sconfitta più pesante della storia nel derby per l’Inter.
Ma purtroppo per il Biscione, non è ancora finita. Shevchenko buca centralmente, si gira, serve Serginho che passa ad una velocità semplicemente surreale; non è un uomo, è un treno. Prossima fermata: la porta di Frey. Nel coast-to-coast con la difesa nerazzurra, i difensori di Tardelli sembrano scoiattoli alla rincorsa di una Ferrari.
Niente da fare per loro, niente da fare per l’Inter. E pensare che uno dei due scoiattoli si chiama Javier Zanetti: uno che proprio lento non è. È una tragedia. Serginho entra in area e di sinistro, di punta, buca il portiere nerazzurro. Forse il meno colpevole in quella clamorosa quanto drammatica partita. 0-6. Zero a Sei. Fine.
Rimane il tempo solo per vedere l’immagine della serata: Tardelli, inerme e mortificato sulla panchina nerazzurra, alza per un attimo lo sguardo verso il tabellone dello stadio. Scorge il risultato, quasi non credesse a quello che vede in campo. Appena si rende conto che tutto è reale, sibila un “mamma mia” a mezza bocca prima di coprirsi il volto per la vergogna.
E con lui, lo fanno tutti i tifosi interisti in quella sera dell’11 Maggio 2001.