Italiano o inglese? A voler essere precisi, nessuno dei due. Perché Roberto Romanello è orgogliosamente gallese.
Al tempo stesso rimane un suddito di Sua Maestà Elisabetta II e soprattutto non rinnega le proprie radici italiane. Perché la storia della sua famiglia è simile a quella di tanti italiani che nel Novecento sono stati costretti a lasciare il Belpaese per cercare fortuna all’estero.
La generazione dei Romanello emigranti è quella dei nonni del futuro Triple Crown Winner. La Seconda Guerra Mondiale è finita da poco, il boom economico in Italia deve ancora iniziare e Di lavoro ce n’é poco. Per sopravvivere, l’allora capofamiglia Romanello (il nonno di Roberto) decide di spostare la famiglia nel Galles.
Ma anche a Swansea la situazione non è rosea e chi viene da fuori si deve accontentare di opportunità modeste, almeno all’inizio. Vale sia per i nonni che per il futuro papà di Roberto Romanello, Frank. “Mio padre ha iniziato come venditore ambulante di gelati e successivamente ha lavorato in una fattoria. Per un breve periodo è stato di nuovo Italia, dove si è sposato. Poco dopo è tornato in Galles insieme a mia mamma. Sono stati anni duri, durante i quali entrambi hanno dovuto lavorare sodo fino a quando, grazie ai soldi messi da parte, hanno preso in gestione un caffè. Da quel momento in poi la strada si fatta più in discesa“.
Siamo all’inizio degli anni ’70 e i Romanello riescono ad aprire il loro piccolo ristorante di fish ‘n’ chip. Il business cresce rapidamente e nel giro di un decennio ne aprono altri due.
Nel frattempo, però, è cresciuta anche la famiglia, con l’arrivo di 4 Romanello’s brothers. Roberto (classe 1976) e i suoi tre fratelli diventano ben presto fondamentali nella conduzione dell’attività di famiglia. Il futuro poker pro ricorda con grande soddisfazione quel periodo dedicato al business delle fritture di pesce.
“Una delle cose più costruttive per me è stato lavorare nei ristoranti e incontrare persone nuove tutti i giorni. Ognuna mi ha arricchito con qualcosa che poi mi è tornato utile anche ai tavoli da poker. Sono sempre stato piuttosto estroverso e socievole e comunicando con gli avversari ho imparato a riconoscere i loro punti deboli. Incontrare le persone, fare nuovi amicizie, è stata la chiave per il mio successo anche nel poker“.
Insieme ai fratelli Roberto si dedica anche al poker. E’ il papà Frank, buon giocatore anche lui (dal 2015 a oggi ha vinto 44mila dollari nei tornei), ad insegnare loro il Texas Hold’em. Si comincia con un po’ di home games, ai quali partecipano tutti i fratelli e altre 4-5 persone ogni volta. Roberto è il più talentuoso e riesce a vincere quasi sempre. A quel punto decide di passare allo step successivo, quello dei mini tornei organizzati in un club di biliardo. Il field è più ampio, in media una quarantina di giocatori, ma la musica non cambia: Roberto continua a incassare bene. “Facevo 150-200 sterline a serata. Poi, un giorno, uno mi dice che c’è un torneo a Swansea da £100 di buy-in“.
Imperdibile, anche se un po’ di timore Roberto ce l’ha. Perché una cosa sono le serate al club, ma un torneo? Ci sono i dealer, giocatori più esperti e quasi tutti sconosciuti.
“Era il mio primo torneo in un casinò (il Grosvenor, ndr). Me la facevo sotto. L’impatto è stato duro, perché avevo al tavolo giocatori molto più anziani di me e un tipo che si comportava un po’ da boss. Ma già al secondo torneo è stato diverso. L’ho vinto e da lì in avanti ogni volta che tornavo a casa dal casinò, avevo sempre 500-1500 sterline in più in tasca. Così ho deciso di giocare tutti i tornei che si svolgevano in Galles“.
I primi risultati degni di nota sono datati 2006. Incoraggiato dalle vincite a Swansea – anche se ancora modeste in termini economici – e soprattutto dagli show tv sulle WSOP, Roberto Romanello decide di volare oltreoceano per partecipare al Main Event di quell’anno. Sembra incredibile, ma va subito a segno: un 312° posto che gli frutta $38.759. Due mesi dopo è all’EPT di Barcellona, dove vorrebbe partecipare al Main Event. Il torneo è però sold out, ci sono persino giocatori che rivendono al doppio, anche al triplo del costo, il loro ticket. Romanello si deve allora accontentare di un side event: il €550 NLH, che shippa per altri €42.200 di premio.
Il giocatore c’è. “Quando ho vinto quel torneo avevo pochissima esperienza, ma avevo fiducia nelle mie qualità. E’ stata una vittoria fondamentale perché ha consolidato quella fiducia. Ora credo sempre in me stesso, non importa il tipo di torneo o la dimensione del field. La cosa più importante è avere quel tipo di fiducia in se stessi. Se sei negativo, non puoi vincere… nel poker serve la mentalità vincente”.
Il dado è tratto. Da lì in avanti è un crescendo di successi che gli consentono di essere oggi uno dei pro player più costanti, con 4,2 milioni di dollari vinti in 145 piazzamenti a premio nei tornei di poker dal vivo. I più importanti sono però tre, quelli che gli hanno permesso di diventare uno dei (finora) 9 vincitori del Triple Crown, il “triplete” del poker.
Nel 2010 il gallese si aggiudica l’EPT di Praga per €640mila, imponendosi su un final table che comprende tre italiani: Emiliano Bono (2°), Marco Leonzio (5°) e Roberto Nulli (8°). Ma si lascia alle spalle anche pezzi grossi quali il polacco Marcin Horecki, il russo Jan Bendik e lo statunitense Kevin McPhee.
Un anno dopo arriva il secondo tassello per il Triple Crown: il WPT di Bratislava che porta nelle casse di Romanello altri 140mila euro. L’ultimo titolo necessario per il triplete arriva nel 2020, anno in cui vince il $1.500 No Limit Hold’em alle WSOP (per 216mila dollari). Il torneo, si gioca online per la pandemia, ma non per questo vale meno in chiave Triple Crown.
La parte più significativa del percorso di Roberto Romanello è forse il suo essere approdato al mondo del poker professionistico abbastanza tardi rispetto agli standard di oggi. Più o meno intorno ai 30 anni, dopo averne trascorsi una buona parte lavorando nel business di famiglia. Ma questo è un aspetto del quale il pro gallese è sempre andato fiero. Perché per Roberto Romanello quel passato, quell’esperienza lavorativa e quella famiglia sono stati un fattore decisivo per la sua formazione.
C’è una quote che descrive bene la sua visione del poker e della vita: “Life isn’t just about playing poker; it’s about enjoying winning and positivity. You want to enjoy yourself. And I can say I’ve had some amazing memories“. (La vita non è solo giocare a poker; è godersi i successi e avere un atteggiamento positivo. L’importante è stare bene con se stessi. Io posso dire di aver accumulato degli splendidi ricordi).
All’inizio dicevamo che il percorso di Roberto Romanello e della sua famiglia racconta un pezzo della storia italiana del ‘900, sa di fatica e di traguardi raggiunti grazie a volontà e determinazione.
Al tempo stesso, però, ci ricorda che la Storia non guarda in faccia a nessuno e che prima o poi un destino da emigrante può capitare a chiunque.
Foto di testa: Roberto Romanello (courtesy of PokerNews)