Da ormai più di trent’anni il Texas Hold’em è la forma di poker americano più giocata nel mondo. Il fatto che a tutte le altre tipologie sia stato affibbiato l’appellativo di “varianti” lo conferma.
Il sorpasso definitivo sui giochi Stud, Draw e Lowball è avvenuto all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, quando le World Series Of Poker hanno letteralmente cambiato marcia. La kermesse aveva già eletto il Texas Hold’em come il poker da utilizzare per il Main Event sin dalla prima edizione, e questo merito va attribuito ai grandi promoter di quel periodo: Johnny Moss, Doyle Brunson, Bryan Roberts, Jack Sraus, Crandell Addington, Amarillo Slim e Felton McCorquodale. Tuttavia il torneo non aveva mai superato quota 200 iscritti, almeno fino al 1991.
Quell’anno Jack Binion, la “mente” delle WSOP (anche se l’idea originale è venuta a suo padre Benny), decide di dare una spinta al Main Event con una mossa di marketing piuttosto aggressiva: un primo premio garantito di un milione di dollari. L’effetto è immediato, perché quel Main Event registra 215 iscritti. Da lì in avanti sarà un continuo crescendo fino al secondo boom: la famosa vittoria di Chris Moneymaker nel ME WSOP 2003 che trasformerà il TH da poker prevalentemente americano a poker globale.
Eppure, nonostante l’attuale diffusione a livello planetario, il Texas Hold’em non è arrivato per primo. Nemmeno in America che è culla e patria del poker moderno. Ma quali sono allora le sue origini?
Questo interrogativo è purtroppo destinato a rimanere senza una risposta certa perché le fonti sono poche e non particolarmente precise.
Senza andare troppo indietro nel tempo, sappiamo che intorno agli anni Trenta del XIX secolo negli Stati Uniti aveva iniziato a diffondersi il poker con 5 carte distribuite ad ogni giocatore. Le partite si svolgevano soprattutto sui battelli a vapore che percorrevano il Mississippi, perché questo consentiva ai giocatori professionisti di evitare le restrizioni al gioco imposte in molte città americane.
All’inizio il five card poker utilizzava un mazzo di sole 20 carte ma, come riportano molti scritti (in primis l’Hoyle’s Book of Games), già verso la metà del secolo era passato alle attuali 52. Per due motivi. Prima di tutto, grazie al mazzo ampliato le partite potevano avere fino a 10 giocatori, anziché 4. Inoltre era possibile realizzare punti più alti e quindi offrire molta più azione, adrenalina e soprattutto piatti più ricchi. E’ con il poker a 52 carte che hanno debuttato la scala e il colore.
Sempre nello stesso periodo si iniziano ad usare i bui. Infine, nel 1950 il Bohn’s New Handbook Of Games (pubblicato a Philadelphia) fa riferimento a una variante dove i giocatori potevano cambiare le carte ricevute (hole cards). La regola non era nuova, perché era già stata adottata da un altro gioco di carte, il brag. Ma in sostanza questa introduzione ha dato vita al draw poker che si gioca ancora oggi e che da noi è si chiama “poker all’italiana”, con un po’ di presunzione. Con l’arrivo di questo gioco, ci troviamo di fronte alla prima forma ufficializzata di poker moderno.
La seconda è invece testimoniata dai resoconti della guerra civile americana (1861-1865), riportati nell’Hoyle’s Book edizione 1864. I soldati impegnati nel sanguinoso conflitto trovavano un po’ di conforto e spensieratezza in un gioco sempre a 5 carte, ma con una coperta e 4 scoperte. I giocatori ricevevano le carte in quattro round durante i quali i giocatori effettuavano le puntate. Il gioco si chiama Five Card Stud, dal quale poi originerà il più diffuso e tuttora giocato Seven Card Stud.
Sulla base di queste due famiglie di poker (il draw e lo stud), negli anni successivi alla guerra si sviluppano una moltitudine di varianti, compresi i giochi high/low. Nel 1909 il Foster’s Complete Hoyle ne elenca 10, ma del Texas Hold’em – e anche dell’Omaha – non c’è traccia.
In sostanza, mancano ancora i documenti che attestino l’esistenza dei community card games.
Nel 2007, il Parlamento del Texas ha pubblicato un testo in cui ha preteso di stabilire periodo e località di nascita del Texas Hold’em. Ne riportiamo alcune parti. La più significativa è questa: “[…]l’invenzione del gioco risale agli inizi del Novecento e alla città di Robstown dove, secondo la tradizione, venne giocata la prima mano […]“. Segue una conclusione abbastanza prevedibile. “In conseguenza di tutto ciò, l’ottantesima assemblea legislativa dello Stato del Texas riconosce formalmente la città di Robstown come luogo di nascita del Texas Hold’em“.
La tradizione non rappresenta però una fonte storica ufficiale. Più interessante è invece l’episodio che racconta lo scrittore/giocatore James McManus nel suo Cowboys Full – The Story of Poker (2009) e che potrebbe rimandare alle origini del TH. “Tutti volevano fare una partita di stud, ma avevano solo un pacchetto di carte. Il più fantasioso dovette aver pensato che, se cinque carte fossero servite per tutti i giocatori e se ognuno di loro ne avesse ricevute solo due, allora sarebbe stato possibile giocare fino a un massimo di 23 giocatori“. (tratto da Storia del poker, di Frank Daninos, ed. Odoya)
Le cinque carte comuni e le due private fanno in effetti pensare al Texas Hold’em, ma siamo ancora di fronte a una pura speculazione. Un elemento più concreto si trova nella biografia di Johnny Moss pubblicata nel 1981 da Don Jenkins (Johnny Moss: Champion of Champions, JM Publications).
Qui si legge che in un periodo non meglio precisato tra gli anni Venti e Trenta, “[…]l’Elks Club di Dallas offriva una partita di Hold’em a dieci giocatori: una variante che Moss nn aveva mai visto prima“. E ancora: “(Moss) Ritornò a Dallas nel 1945 pre trovare una bella sorpresa. La maggior parte dei vecchi amici aveva aggiunto un nuovo gioco al repertorio: l’Hold’em, un poker di grande azione che si era diffuso rapidamente attraverso il Sud“.
Se non altro, Jenkins inquadra il Texas Hold’em in fase di diffusione poco prima dello Seconda Guerra Mondiale, soprattutto nel Sud degli Stati Uniti. Questo combacia con l’epopea di un gruppo di cowboys texani che, a partire dai primi anni Sessanta, diventeranno gli alfieri di questo gioco.
Uno su tutti: Doyle Brunson, colui che ha definito il TH come la “Cadillac del poker”. Racconta il compianto Texas Dolly: “Ho giocato per la prima volta a hold’em nel 1959 a Brenham, in Texas, una cittadina situata tra Houston e Austin. […] Mi ricordo di averlo apprezzato subito, perché ogni carta esposta sul tavolo cambiava la migliore combinazione possibile.”
Stesso anno e Stato sono indicati da Crandell Addington. “Gli amici di mio padre ci giocavano nella città di San Antonio. Non lo chiamavano Texas Hold’em ma semplicemente hold’em. […] Ho pensato subito che quella variante avrebbe potuto veramente imporsi. Al draw poker ci sono solo due giri di puntate. All’hold’em sono quattro. Bisogna quindi giocare in modo più strategico; è una variante che assomiglia molto di più a un gioco di riflessione“.
Per Addington è ancora una variante, ma non sbaglia perché il TH ha ancora molta strada da fare prima di diventare il “monopolizzatore” del poker che oggi conosciamo.
L’ultimo tassello di questa ricostruzione basata più su fonti narrative che documenti storici proviene dalla stampa. Nel 1968 A.D. Livingston si interroga sulla rivista “Life” se il Texas Hold’em (chiamato anche hold me darling oTennessee hold me) sia davvero poker. Livingston sembra avere qualche dubbio, visto che lo paragona a una terapia di gruppo. Eppure, l’autore del pezzo intuisce subito le potenzialità espansive del gioco.
“Apparsa qualche anno fa nel Sud o nel Sud Est del Paese, questa variante potrebbe far furore in breve tempo tra i 47 milioni di americani con la fissa del poker, che ogni anno giocano cifre il cui totale è stimato intorno ai 45 miliardi di dollari“. Il motivo di tanto successo sta nell’elevata azione di gioco che spesso si traduce in piatti molto ricchi. “La tendenza storica nello sviluppo del poker è sempre stata l’orientamento verso un’azione cescente“.
Siamo nel 1968. Le WSOP debuttano due anni dopo e dal 1971 il Main Event si gioca solo ed esclusivamente col Texas Hold’em. Livingston ci ha visto giusto.
Il resto è storia recente di una “variante” che si è scrollata di dosso l’appellativo. Lo ha consegnato a tutte le altre forme di poker, quelle che oggi sono per tutti diventate le “varianti del Texas Hold’em“.
Immagine di testa credits RIHL