Il boom del poker in Italia, iniziato all’incirca nel 2006, coincide non solo con la grande diffusione del gioco online ma anche con la nascita di numerosi tornei dal vivo.
In quel periodo si gioca live nei casinò di Sanremo, Campione e Venezia che ospitano le tappe dei primi tour: il Campionato Italiano di Texas Hold’em, l’Italian Poker Championship, l’Italian Rounders e vari altri. Ma si gioca anche – e forse soprattutto – nei circoli dove nascono tornei capaci di attirare centinaia di partecipanti. Il caso più famoso in questo senso è probabilmente La Notte degli Assi.
Nel 2009 però le cose cambiano. Con l’arrivo delle licenze .it per il poker (fino al 2011 solo in modalità “torneo”), i principali operatori dell’online capiscono che gli eventi live sono un ottimo sistema di marketing.
E così nascono i più importanti tour italiani di tornei dal vivo, quasi tutti sponsorizzati da famose pokeroom. Uno di questi è l’Italian Poker Tour.
L’IPT debutta alla grande e per almeno 6 stagioni, cioè fino al 2015, rimane leader sulla scena competitiva italiana. Ma c’è una ragione precisa che spiega questo successo.
Anche se in forma nazionale, cioè ridotta, l’IPT si ispira direttamente al modello dell’European Poker Tour che in 5 anni è diventato il brand numero 2 (dietro alle WSOP) per quanto riguarda i tornei live. La formula della kermesse è molto simile e soprattutto il brand che lo sostiene è lo stesso. Ed è per questo che l’IPT, pur essendo un appuntamento italiano, riesce ad attirare molti giocatori stranieri. Tra questi, una sostanziosa percentuale viene dall’Ungheria.
In occasione del recente EPT di Praga ne abbiamo incontrato uno. Peter Kamaras è un veterano dei tornei live di poker. Ma soprattutto è un grande appassionato di Texas Hold’em, dell’Italia e del vecchio IPT.
GLI INIZI
Classe 1958, Peter Kamaras è di Budapest. Anche se non ha visto i cingolati sovietici sopprimere la rivoluzione ungherese del 1956, è comunque cresciuto ai tempi della Cortina di Ferro.
Forse anche per questo nel suo curriculum di giocatore ci sono gli scacchi. Kamaras è un maestro FIDE, cioè uno scacchista di livello internazionale anche se non particolarmente competitivo: “Di sicuro ho ottenuto risultati molto migliori con il poker!” chiarisce subito.
In effetti nella sua storia personale c’è molto più poker che scacchi, così come è evidente la sua preferenza per le carte piuttosto che per Re e Regine.
La sua love story con il poker inizia quando è ancora un ragazzo. “Giocavo con gli amici. Non a Texas Hold’em ovviamente, ma a una specie di draw poker con 32 carte ungheresi che sono diverse da quelle francesi” ci spiega. In effetti è così: i semi non sono gli stessi, graficamente ricordano le “italiane” ed è interessante notare il doppio “jack” (o “fante”) come nella tradizione tedesca:
Tuttavia, più o meno a metà degli anni ’70, Peter Kamaras abbandona le carte. Il TH non è ancora arrivato in Europa, mentre lui è già un maestro di scacchi e può dedicarsi ai tornei e all’insegnamento del gioco. Tra l’attività di scacchista, gli studi e poi il servizio militare non c’è spazio per il poker.
Ci vorranno quasi trent’anni prima che player magiaro riprenda in mano le carte. Questa volta, però, saranno quelle di cuori, fiori, quadri e picche.
IL TEXAS HOLD’EM E L’ITALIAN POKER TOUR
Per il ritorno alle carte galeotto è un torneo di scacchi. “Un mio amico mi dice: andiamo a vedere le finali nazionali al Lago Balaton. Lo seguo, ma anziché dedicarmi agli scacchi mi iscrivo a un torneo di poker organizzato in una pokeroom locale. Come accade spesso in questi casi, il debuttante alla fine vince!“.
E’ il 2006 e Peter Kamaras ha appena messo a segno il suo primo ITM. Inevitabilmente rimane affascinato dal TH e non smette più di giocare.
Da allora è andato a premio 112 volte (dato TheHendonmob.com): almeno un risultato ogni anno, ad eccezione dell’annata 2009 in cui è rimasto a secco. L’ultimo in ordine di tempo lo ha ottenuto proprio all’EPT di Praga: un 79° posto nel National per €5.300 di premio. Le sue vincite oggi ammontano in tutto a $753.000.
Peter Kamaras è uno che ama viaggiare. I suoi ITM sono divisi tra Las Vegas (WSOP) e Europa. Nel continente europeo gioca soprattutto in Austria, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Italia. Poco in Ungheria, visti i limiti che la legge impone: “ci sono poche sale da gioco ufficiali e i tornei sono limitati a buy-in da 150 euro. Solo in pochi casinò il tetto arriva a mille euro. Per questo motivo il field non cresce, non crescono le skills, non cresce il livello dell’organizzazione. I migliori player giocano tutti all’estero“.
Il miglior poker si gioca alle WSOP. Ma il posto più bello è l’Italia. “Amo l’Italia, vengo tutte le volte che posso. E soprattutto ho ricordi bellissimi dell’IPT. In quei tornei si respirava un’atmosfera positiva: c‘era molta cordialità tra i giocatori, una buona organizzazione e tanto divertimento“.
Ed è proprio con l’Italian Poker Tour che Peter Kamaras ha ottenuto i risultati migliori. Ha cominciato a frequentare la kermesse sin dalla prima edizione, in compagnia di altri ottimi player magiari. Parliamo di Tamas Lendvai, Valdemar Kwaisser, Andras Kovacs, Richard Scheili, Czaba Szasz, Victor Katzenberger, Zoltan Szabo e altri ancora.
Lendvai e Kwaisser hanno persino vinto un Main Event IPT, entrambi nella Season 1. Peter Kamaras ha avuto tre occasioni importanti: due volte è arrivato 4° (a Nova Gorica nel 2010 in entrambi i casi) e una volta 10° (a Sanremo nel 2013). Non male per un giocatore che si definisce “un semplice appassionato”.
“Non penso di essere un giocatore particolarmente abile, credo di essere nella media. Di sicuro me la cavo meglio dal vivo, online sono un perdente“.
Ci spiega che la ragione è legata al fattore psicologico. “La GTO non rientra nel mio bagaglio di giocatore. Io mi affido soprattutto all’esperienza e alla psicologia. Credo che proprio questo sia il mio punto di forza, perché so leggere le persone. E’ qualcosa che ho imparato a fare durante la leva militare: in quei due anni ho incontrato così tante persone diverse e in contesti differenti che ora mi viene facile capire la psicologia altrui“.
LA GOLDEN AGE DEL POKER
Con più di 15 anni di tornei alle spalle, Peter Kamaras può essere considerato a buon diritto un veterano. Qual è il segreto di tanta resistenza?
“Il divertimento. Ho avuto la fortuna di non doverlo mai considerare una professione, grazie alle mie tre piccole aziende (settore del printing, ndr) e questo mi ha permesso di viverlo con maggiore libertà e indipendenza. Quando gioco posso permettermi di non pensare al denaro e questo è un vantaggio, un elemento chiave per durare nel tempo“.
Nel 2016 Peter Kamaras ha scelto però di ridurre gli impegni. Non tanto quelli legati al poker, al contrario perché ha venduto le sue attività e adesso, per quanto riguarda il lavoro, si limita a fare qualche consulenza. Il resto del tempo è in buona parte dedicato al poker: “E’ il mio vero hobby, mi tiene il cervello attivo anche perché gioco molto meno a scacchi, solo alcune partite online“.
Ma in termini di divertimento quale “epoca” del poker è la migliore? Quella del boom o l’attuale? “Nessun dubbio: il poker dei primi anni duemila era più divertente. Il livello era inferiore e questo creava situazioni più spettacolari. Ovviamente era anche più facile vincere. Ma soprattutto l’atteggiamento generale dei player era più rilassato. In un certo la maggiore professionalità – e abilità – che c’è oggi, ha reso il poker meno divertente, meno gioco“.
La colpa, ma anche il merito se si capovolge il quadro, è di internet (e del coaching in particolare) che ha diffuso la conoscenza tecnica del gioco. Al tempo stesso ha ridotto il numero dei giocatori.
La domanda allora sorge spontanea:si può tornare alla “golden age” del poker?
IL FUTURO
Anche su questo punto Peter Kamaras ha le idee chiare.
“Da anni si dice che il poker è destinato a finire, ma in realtà questo non succede mai. Basta guardare i numeri qui a Praga (l’EPT Eureka è iniziato da due giorni, ndr) non sembra proprio. E lo stesso è successo un paio di anni fa, quando alle WSOP hanno fatto un Colossus da 2k entries. Sono cicli, periodi di discesa seguiti dalla risalita. Mode che cambiano“.
C’è però un punto che sta molto a cuore al giocatore magiaro. “Credo che l’utilizzo dell’I.A. sia l’aspetto più negativo di questi anni: i software stanno in parte uccidendo il divertimento nel gioco. L’estremizzazione di concetti legati alla GTO spostano l’attenzione dal gioco in sé, che è fatto di persone e di rapporti umani, al meccanismo per batterlo“.
La socializzazione rimane al centro del rapporto tra Peter Kamaras e il poker. “Mi piace stare a contatto con le persone. Per questo non voglio cambiare il mio modo di vivere il poker, anche adesso che ho più tempo. Voglio che rimanda un divertimento e un mezzo per rimanere mentalmente attivo“.
Arrivati alla fine del nostro incontro, il gentleman ungherese si sbottona un po’. “Negli ultimi due anni, quelli della pandemia, mi sono sentito in prigione. Mi sembrava di impazzire, avevo bisogno di vedere persone e di tornare giocare. Credo che nel poker ci siano molti aspetti positivi, anche quello di mantenersi in forma a livello mentale“.
E’ questa la conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che lo vedremo ancora in sala. Almeno fino a quando il poker rimarrà un “fattore umano”.
Immagine di testa: Peter Kamaras (credits Neil Stoddard/RIHL)