L’edizione 2008 del Main Event WSOP è stata una delle più particolari, almeno per due motivi. Il primo riguarda la struttura. Quell’anno, infatti, Harra’s Corporation annunciò che il tavolo finale a 9 si sarebbe giocato a circa tre mesi di distanza dalla conclusione della kermesse. Era nata la formula dei cosiddetti November Nines, che spostava da agosto a novembre l’attesa per conoscere chi avrebbe vinto il torneo di poker più importante al mondo. Una decisione che in quel momento spiazzò un po’ tutti, generando un’ondata di malcontento ma che alla fine si dimostrò azzeccata, almeno per i successivi 8 anni.
La seconda peculiarità di quell’edizione riguarda proprio uno dei November Nines e, per essere più precisi, il vincitore: Peter Eastgate. Il giocatore danese quell’anno stupì il mondo del poker per la sua giovane età: 22 anni, 2 in meno di quelli che aveva Phil Hellmuth quando si aggiudicò il titolo nel 1989.
Alla fine, il nuovo record è durato solo un anno: nel 2009 è stato migliorato da Joe Cada che ha vinto il Main Event delle WSOP all’età di 21 anni, 11 mesi e 24 giorni – 340 giorni in meno di Eastgate. Ma non è di questo che vogliamo parlare qui, quanto piuttosto della storia di Peter Eastgate successiva alla conquista del titolo di campione del mondo. La ragione sono le “zone d’ombra” nel suo rapporto con il poker che hanno contribuito a creare un’immagine controversa del giocatore danese.
Una prima zona d’ombra si intravede il giorno stesso della sua vittoria a Las Vegas. In quella occasione Peter Eastgate incassa $9.152.416 dopo aver messo in fila 6.843 avversari. E’ la seconda vittoria più alta di sempre, dopo quella clamorosa (12 mln) portata a casa da Jamie Gold nel 2006 (oggi quella di Eastgate è al quarto posto, superata anche nelle edizioni del 2014 e del 2019). Nonostante la valanga di soldi, la sua esultanza è pari quasi a zero. Gli amici vanno ad abbracciarlo, a congratularsi con lui, ma il 22enne dimostra un autocontrollo incredibile. In realtà, anche il suo avversario dell’heads-up, il russo Ivan Demidov, è altrettanto pacato nella reazione, lo sconforto sembra essere sotto controllo. Qualcuno dice che tra i due fosse in atto un accordo per splittare la vincita, ma questo non è mai stato confermato. Per chi non avesse presente quello che stiamo dicendo, ecco il video della mano conclusiva:
La sensazione è che Eastgate in quel frangente si sentisse fuori posto. Eppure era già un giocatore conosciuto, soprattutto online: uno dei giovani “Vichinghi” del poker, generazione di grinder scandinavi che avevano fatto del gioco su Internet la palestra per sperimentare l’approccio loose aggressive. E il poker che il 22enne mette in mostra alle WSOP è senza dubbio spumeggiante, aggressivo a volte fino all’eccesso, ma molto efficace. D’altra parte quando Eastgate arriva al ME WSOP è già sponsorizzato da una nota pokeroom online.
Anche live non se la cava male: in soli tre eventi dal vivo prima del ME WSOP, le vincite sono già superiori ai 60mila dollari. Il danese tuttavia minimizza sulle sue capacità di giocatore. Nel post-evento dichiara di essere stato molto fortunato, di essersi “trovato nel posto giusto al momento giusto“e di avere “un’intelligenza media“. Non c’è dubbio che per vincere un torneo da quasi 7mila partecipanti, la maggior parte dei quali sono pro, la fortuna giochi un ruolo decisivo; ma Eastgate mette in mostra un’umiltà e una distanza emotiva dal risultato ottenuto che risultano spiazzanti.
Tra il 2008 e il 2010 il danese continua a giocare dal vivo e mette a segno la bellezza di 19 in the money, quasi tutti caratterizzati da buy-in pesanti. Vince un side event da $5.000 alla PCA ($343.000), va di nuovo a segno nel ME WSOP – quello del 2009 dove chiude 78° per 69mila dollari -, poi piazza due final table Main Event EPT: nel 2009 è secondo a Londra per £530.000, nel 2010 è ottavo a Deauville, in Francia, per altri 70mila euro. Infine, sempre nel 2010 raggiunge altri due tavoli finali in eventi delle WSOP. Il tutto per un totale che ammonta a 11 milioni di euro, dal 2007 al 2010. Un cifra pazzesca. E poi?
Poi ci saranno ancora 3 risultati – compreso un 4° posto da $200K nuovamente in un evento WSOP – ma si tratta delle sue ultime apparizioni nel circuito, perché nel 2013 Peter Eastgate annuncia il proprio ritiro dal poker giocato. La sensazione è che si tratti di una decisione maturata già tre anni prima, alla fine della grande “cavalcata” di risultati.
Nel 2010, infatti, il giocatore mette all’asta su eBay il braccialetto vinto alle WSOP. Problemi economici? No, perché il ricavato, 147.500$, Eastgate lo consegna all’UNICEF. Un bel gesto, ma perché privarsi di un ricordo così prezioso per un giocatore di poker, il quale avrebbe potuto devolvere la stessa cifra di tasca propria? E’ un’azione simbolica: ormai l’amore iniziale per il poker si è trasformato in una forma di rigetto. Poco dopo, infatti, Eastgate chiude la collaborazione con la pokeroom-sponsor e mette sempre più distanza tra sé e la community dei giocatori. La quale si dimenticherà altrettanto in fretta di lui, dal 2013 in poi, con probabile sollievo del giocatore.
Le zone d’ombra a questo punto sono molte, ma tutte indicano una stato psicologico di forte disagio nei confronti del gioco. L’origine rimane tuttavia avvolta nel mistero, almeno fino al 2015 quando Eastgate, dopo una fugace apparizione al ME WSOP, si presenta a Tbilisi in veste di testimonial della versione georgiana del magazine CardPlayer. La sua presenza cattura subito l’attenzione dei media presenti. Ne viene fuori un’intervista-verità nella quale Eastgate spiega le ragioni della sua scomparsa dai radar del settore poker. Riportiamo le sue parole, nella traduzione pubblicata su italiapokerclub.com:
“Quando ho iniziato a giocare, dieci anni fa, pensavo che avrei giocato a poker per il resto della mia vita. Quando sentivo qualcuno dire che tutto quello che voleva era guadagnare abbastanza soldi per essere indipendenti e poi quittare, non lo potevo capire… Invece è proprio quello che ho fatto io! Nel 2010 mi sono reso conto di aver raggiunto l’apice. Ero stanco dei cambiamenti di umore legati all’andamento del gioco ai tavoli. Probabilmente avrei fatto meglio a continuare a giocare senza rischiare i miei soldi. Ero dipendente dal gioco, un gambler degenerato… Ma poi ho capito. Mi considero molto fortunato. Avrei potuto incappare in un grosso downswing e perdere buona parte di quello che avevo vinto, ma per fortuna non è successo”.
In realtà, il danese ha in seguito ammesso che una perdita rilevante c’è stata nel 2010, ma riguarda il betting e non il poker. Una perdita di 2,2 milioni di dollari con le scommesse sportive che probabilmente è stata l’ultima goccia, quella decisiva, che ha permesso a Peter Eastgate di evitare una situazione di ludopatia ancora più grave. Perché la sua storia parla proprio di questo: di dipendenza da gioco in grado di distruggere quella che avrebbe dovuto essere invece una sana passione ludica.
Oggi Peter Eastgate ne è uscito. Negli anni successivi ha percorso varie vie: da Londra è tornato a vivere in Danimarca, ha provato con gli studi universitari (senza troppo successo) e alla fine ha capito che i soldi rimasti, ancora tanti, gli possono garantire una vita tranquilla e soprattutto normale fino alla fine dei suoi giorni. Lo ha confermato in un’intervista del 2018 rilasciata a ESPN, dove ha ulteriormente chiarito il disagio vissuto durante i glory-days del poker: “Non è un segreto che io sia una persona piuttosto introversa. Ho sempre ammesso di non trovarmi a mio agio sotto i riflettori: ero sempre agitato e non mi piaceva il senso delle mia parole nelle interviste“.
Più chiaro di così. Questo però ci porta alla domanda del titolo: la sua fu vera gloria? Dal punto di vista della storia poker, forse no. Questo non significa che Eastgate non sia stato un giocatore di talento, ma il suo percorso è stato così breve che è difficile dire come sarebbe andata negli anni successivi, nel confronto con altre generazioni di giocatori, con l’applicazione della GTO al poker, con le crisi che hanno colpito questo settore (Black Friday, truffe e fallimenti di pokeroom, calo dei numeri). Eastgate ha rinunciato a questa sfida e a un percorso che in realtà è il sogno di ogni poker player: poter girare il mondo giocando tornei, con in tasca un bankroll milionario e sul cappellino la patch di un ricco sponsor.
Ma il danese non ha rinunciato all’altra sfida, ben più problematica: quella con il proprio demone interiore, la ludopatia, la passione smodata per il gioco in grado di distruggere non solo una carriera ma la vita stessa delle persone. Peter Eastgate alla fine l’ha vinta. Per questo, almeno nell’opinione di chi scrive, la sua fu vera gloria.
Foto di testa: Peter Eastgate (credits PokerNews)