Nei primi anni Duemila l’Italia scopre la passione per il poker americano o, in maniera più specifica, per quello “alla texana”.
Vuoi per la vittoria di Chris Moneymaker nel Main Event WSOP 2003, vuoi per la contemporanea diffusione di numerosi show tv dedicati al gioco, ‘Texas Hold’em’ diventa un termine sempre più familiare anche nel Belpaese. Da lì nasce la prima generazione di poker player nostrani che guarda al gioco in ottica professionale.
Ma il vero boom italiano del Texas Hold’em è datato 2008. Quell’anno l’online viene regolamentato attraverso le piattaforme .it che avvicinano al poker centinaia di migliaia di nuovi giocatori. Poco dopo prendono il via i grandi circuiti live: l’Italian Poker Tour in primis e poi il WPT National e il People’s Poker Tour.
Inevitabilmente il field si espande, arricchito dall’arrivo di giocatori mediamente più giovani e formati dalla “palestra”-Internet: è la seconda generazione di italiani che scelgono il poker come professione e della quale fa parte Marco Bognanni.
Il piacentino appartiene perfettamente a quello scenario. Gioca tantissimo sia online che dal vivo e il suo obiettivo è fare il poker pro. Nel giro di pochi anni l’obiettivo è raggiunto.
Solo nel 2009, praticamente all’esordio nei tornei live, mette a segno 5 ITM. Il più prezioso è un settimo posto all’IPT di Nova Gorica per 20mila euro di payout. Nel 2010 è 15° nell’EPT Main Event di Barcellona, dopo aver chiuso al 3° posto La Notte degli Assi, e nel 2011 sfiora il final table dell’EPT di Sanremo con un 11° posto che vale 40.000 euro, la moneta più alta vinta da Bognanni fino a quel momento.
Questi risultati, oltre al fatto di essere una persona intelligente, comunicativa e che sa stare al tavolo, fanno di lui un ambassador ideale del gioco, tant’è che una pokeroom piuttosto in voga in quel periodo decide di sponsorizzarlo. Con il nuovo brand addosso Marco Bognanni vince il Mini IPT di Sanremo edizione 2014.
Al tempo stesso, però, ‘MagicBox‘ (questo il suo nick online) non diventa mai in una figura scontata, di quelle che fanno “molto rumore per nulla”. Bada alla sostanza, il che per lui significa poter vivere giocando senza però perdere di vista il quadro generale delle cose.
Questa sua qualità gli consente di rimanere a galla anche quando il poker entra nella fase discendente a partire dal 2014 e di resistere ai cambiamenti che hanno trasformato non solo il gioco ma l’intero settore. Il risultato è un secondo posto alle WSOP 2019 nell’evento $800 NLH Deepstack, per 183.742 dollari di premio.
E non c’è solo quello. Perché di recente la stessa visione ampia ha portato Marco Bognanni a una svolta che, pur non dimenticando il poker, lascia spazio al nuovo che avanza. E’ quello che ci ha raccontato nell’intervista che segue, realizzata qualche giorno prima del sua partenza per le WSOP 2023.
Ciao Marco e grazie per essere qui con noi. Sappiamo che stai per partire per Las Vegas, eppure da un paio di anni sei meno presente sulla scena competitiva: che spazio occupa il poker oggi nella tua vita?
Un saluto a tutti gli amici di pokerstarsnews.it. Sì è vero, ultimamente ho ridotto l’impegno nel gioco. Per tutto il 2021 il poker è rimasto il mio lavoro principale, come nei 12 anni precedenti, anche se da un certo momento in poi ho dovuto spostare l’attenzione sull’online. In particolare da quando le sponsorizzazioni in Italia sono sparite, perché senza un budget di copertura diventa molto più dispendioso e perciò potenzialmente poco profittevole giocare tanti tornei dal vivo.
Durante la pandemia ho avuto modo di guardarmi attorno e ho scoperto un altro mondo: quello delle criptovalute, più precisamente il Bitcoin. Dal 2022 il mio impegno con il poker si è drasticamente ridotto proprio perché mi sono dedicato in maniera sempre più professionale a questo settore.
Come sei arrivato a questa scelta e che tipo di professione svolgi?
Mi sono avvicinamento al Bitcoin grazie a un’amicizia legata al poker, Fiodor Martino Lavagetto (giocatore di poker non professionista ma con numerosi ITM live EPT e WSOP, ndr) che, tra le varie attività svolte, è anche socio fondatore di SWAG, azienda che che incentra il suo core business sul mining industriale di Bitcoin.
In una prima fase, quando capivo ancora ben poco del mondo Bitcoin, ho deciso di sfruttare i servizi come puro cliente, per avere il mio primo wallet personale e ottenere qualche risultato proprio grazie al mining. Vista la mia natura scettica e la mia propensione per gli aspetti matematico-probabilistici affinati attraverso il poker, ho fatto diversi “interrogatori” (ndr ride) al mio amico founder per capire al meglio i dettagli e la sostenibilità del progetto. E così, dopo qualche mese, ho deciso di diventare un collaboratore SWAG. Era l’ormai lontano 2019. Oggi, essendo riuscito a farmi notare per risultati e qualità personali, sono entrato a far parte del board aziendale della società.
Non sei il primo poker pro che va in questa direzione: secondo te c’è un fil rouge tra poker e criptovalute?
Mettiamola così: in entrambi i casi c’è chi si avvicina perché pensa che sia possibile fare “il colpo” anche senza avere la giusta preparazione. Sia nel poker che nelle criptovalute c’è volatilità e questo induce anche i meno preparati a rischiare. Nel poker succede soprattutto a chi gioca fuori bankroll: è un errore che costa caro! Nel caso delle monete virtuali, tanti hanno investito in cripto che poi sono collassate. Su circa 23.000 che sono state create, oggi quasi 15.000 sono finite, spente, inutilizzabili: non il Bitcoin che rimane la cripto di gran lunga più resistente e tuttora l’asset più performante mai esistito. Bisogna conoscere il settore prima di investirci tempo e denaro.
Se questo è il tuo presente, cosa resta del tuo passato professionale?
Naturalmente gioco ancora a poker, poco online ma mi concedo qualche “scappatella” live di qualità, per esempio alle WSOP. E poi ci sono i ricordi: tanti, bellissimi, legati soprattutto agli anni d’oro quando si andava in gruppo a giocare anche due eventi dal vivo al mese. C’erano le facce note, tanti amici e onestamente per tutto questo provo un po’ di nostalgia. Adesso quando vado a un torneo vedo ancora qualcuno che conosco, ma la maggior parte sono giocatori nuovi. E’ la stessa sensazione di quando torni in una città che hai lasciato da tanti anni e non riconosci più nessuno. Certo, il ricambio del field è una cosa normale, così come è normale che quello di oggi sia composto dalle nuove leve che provengono dall’online. Però è un field più freddo, intriso di robotica e device che aiutano i giocatori. Oggi c’è molto più calcolo, mancano cuore e passione che erano gli elementi portanti del vecchio poker.
Immaginiamo che qualcuno venga da te dicendoti che vuole dedicarsi in maniera professionale al poker, cosa gli rispondi?
In realtà è successo più volte e io ho sempre risposto con una serie di domande: qual è la tua situazione economica, che budget hai e quanto ti aspetti di vincere? Oggi più che mai la professione dipende dal bankroll. E non basta neanche quello, perché vincere è diventato molto più difficile. Serve tanto impegno, tanto studio, il talento naturale da solo non è sufficiente. Certi sogni oggi non si possono più fare perché rischiano poi di trasformarsi in incubi. Questo però non significa che fare il poker pro non sia più possibile, soltanto le condizioni e i margini di guadagno sono più stretti.
Naturalmente mi riferisco all’online, perché creare una professione solo con il poker live è quasi impossibile.
Cambierebbe qualcosa se ci fosse una legge specifica in grado di trasformare i circoli in realtà imprenditoriali ben definite e strutturate?
A dire il vero non sono convinto che aprire un circolo oggi sia un business. Se però fosse possibile avere pochi circoli ma molto buoni, allora il live potrebbe anche diventare un percorso fattibile per chi vuole dedicarsi al poker come professione. E’ addirittura possibile che a quel punto si crei un nuovo field.
A proposito di poker live, sappiamo che stai per volare a Las Vegas: solo svago o c’è un sassolino che vuoi toglierti dalla scarpa?
Vado alle WSOP con continuità dal 2012, perché il poker mi piace sempre e perché è un momento di svago molto bello. Tra l’altro trovo alcuni amici – uno è proprio Fiodor Martino con il quale condivido la camera a Las Vegas – e ho già pronto un bel programma di eventi che si giocheranno tra WSOP, Wynn e Venetian.
Naturalmente si va anche per provare a vincere! Se poi il ‘sassolino’ riguarda l’heads-up finale perso nel 2019, allora dico che non mi dispiacerebbe trasformare quel “vice-campione WSOP” che ho sul mio curriculum in un “campione WSOP”. Ma rimpianti non ne ho. Credo di averne avuto qualcuno solo quella sera e poi me li sono lasciati alle spalle. In fondo è un risultato che capita raramente nella vita e che alla maggior parte dei giocatori non capita mai.
Quindi ne vado orgoglioso, ma è nella mia filosofia di vita provare sempre a essere migliore dell’io dell’anno precedente. E allora sì, se mi è permesso ancora sognare, vengo qui per provare a vincere!
Immagine di testa: Marco Bognanni (credits PokerNews/WSOP)