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Gli antichi romani amavano giocare. Ci sono giunte molte testimonianze in merito a questa passione, sia archeologiche che letterarie.

Tra le seconde ci sono quelle di grandi scrittori dell’antichità classica: Marziale, Petronio, Varrone ma soprattutto Ovidio che spesso nella sua Ars Amatoria parla dei giochi preferiti dai romani.

E poi ci sono i ritrovamenti archeologici. In molte parti dell’Impero Romano, infatti, sono stati rinvenuti oggetti chiaramente utilizzati per finalità ludiche.

Ad esempio le tabulae lusoriae, cioè “tavole da gioco”: vere e proprie scacchiere ante litteram, riprodotte su piani più o meno portatili a seconda del materiale usato (legno, marmo o bronzo).

Le tabulae lusoriae davano la possibilità di fare vari giochi. C’era quella per il Duodecima Scripta (simile al backgammon), per il Duplum Molendina (una sorta di Forza 4), per il triodo e per il ludus latrunculorum o “gioco dei ladruncoli”.

Oltre al backgammon, i più gettonati erano gli ultimi due.

Frammento di tavola da gioco con pedine per il ludud latronculorum (credits romaimpero.com)

I LADRUNCOLI

E’ un gioco simile all’odierna dama, dove però le pedine si muovono come la torre degli scacchi: in linea retta di un numero di casella a piacere, sia in avanti che all’indietro.

Lo scopo era quello di catturare tutte (o il maggior numero) di pedine dell’avversario. Ovidio spiega che nel ludus latrunculorum la cattura di una pedina avveniva circondandola con due pedine in orizzontale o in verticale.

Si tratta di un gioco molto strategico con chiari riferimenti militari. Non è un caso, infatti, che fosse molto diffuso tra i legionari e che il vincitore della partita venisse chiamato Imperator.

Il gioco è citato per la prima volta dal Varrone nel I sec. a.C., ma quasi sicuramente “i ladruncoli” hanno origini più antiche: assomiglia al gioco greco petteia (sassolini) che, secondo Platone, proveniva a sua volta dall’Egitto. 

Alcuni scavi archeologici nell’area di Colchester (Regno Unito) hanno riportato alla luce una scacchiera con pezzi per il Ludus Latrunculorum. La scacchiera è suddivisa in 12×10 quadrati (le caselle) e ci sono 24 pezzi di vetro, 12 bianchi e 12 blu.

Tabula Lusoria per Duodecima Scripta (credits Wikipedia)

IL MULINO

Gli antichi romani lo chiamavano Triodo, anche se probabilmente il gioco veniva dal Medio Oriente. Il riferimento ai mulini è nato invece molto tempo dopo, in epoca tardo-medievale.

Il gioco del Mulino ha avuto larga diffusione nell’Inghilterra del XVI secolo, dove era chiamato Nine Men’s Morris o The Mill Game. La parola “morris” potrebbe derivare dal latino merellus, cioè pezzo per (o da) giocare.

E questo aggiunge un’ulteriore spiegazione al nome. La partita si svolge infatti piazzando/muovendo una singola pedina alla volta. Lo scopo è realizzare un fila di tre, detta appunto “mulino“.

Avrete probabilmente capito che stiamo parlando della Tria o Trea. Un gioco molto conosciuto anche in Italia, dal momento che “il campo” è spesso disegnato sul retro delle scacchiere che si trovano in vendita.

Ogni giocatore dispone di 9 pedine da posizionare sui 24 punti evidenziati. Una volta terminato il posizionamento, ognuno al proprio turno sposta una pedina su un punto libero adiacente.

Il giocatore che riesce a mettere in fila tre pedine del proprio colore può mangiare una pedina avversaria (dal 2010 il regolamento internazionale prevede che si possa mangiare anche una pedina del mulino).

Se un giocatore non può più muovere, perde la partita. Altrimenti il gioco prosegue fino a quando uno dei due rimane con tre pedine. A quel punto può farle saltare, cioè a ogni turno può spostare una pedina su qualsiasi punto libero. Non appena gli viene tolta la terzultima, perde.

La Tria oggi è un gioco risolto dai software che mostrano le mosse per arrivare sempre ad una situazione di parità.

Tavoletta recuperato nel castello di Vyborg (Russia). Risale al XIII secolo e sopra è raffigurata una partita di Tria (credits gamecows.com)

Immagine di testa credits iraccontidelviandante.com