Conoscete le regole del Texas Hold’em? Dal momento che state leggendo un articolo sul gioco molto probabilmente la risposta è sì. Anche perché oggi, quando si parla di poker, il riferimento è quasi sempre al Texas Hold’em.
Non è un caso, infatti, che quando si fa riferimento a Omaha, Stud o Five Card Draw, questi giochi vengano chiamati varianti del Texas Hold’em. Ormai il rapporto è sempre con il gioco che da oltre 20 anni domina la scena pokeristica mondiale.
A confermarlo c’è anche il fatto che i Main Event di tutti i più importanti eventi internazionali si disputano in modalità Texas Hold’em. Un gioco che ha dalla sua regole molto semplici e una spettacolarità superiore, soprattutto nel formato No Limit.
I momenti decisivi nella storia del TH sono probabilmente due. Il primo è la scelta di utilizzarlo per il primo Main Event delle WSOP, una decisione presa all’unanimità da tutti i giocatori professionisti di quel periodo (siamo nel 1971). Il secondo è la vittoria di Chris Moneymaker alla stesso torneo ma nel 2003, nell’edizione divenuta celebre come quella che ha regalato in diretta televisiva il sogno del “chiunque ce la può fare”.
Ma come si è arrivati alla definizione delle regole del TH che, rispetto alle tante forme di poker, è un gioco abbastanza recente? Se a questa domanda, invece, non sapete dare una risposta, potete seguirci in questo breve excursus storico.
Gli albori
La prima versione “americana” di questo gioco risale agli inizi del 19° secolo ed è chiamata “Twenty-Deck Poker“. Come suggerisce il nome, il mazzo è composto soltanto da 20 carte (dal 10 all’Asso) e al tavolo possono sedere massimo 4 persone perché ogni partecipante ne riceve 5 e c’è un unico giro di puntate. Questo, per lo meno, è quanto si evince da una delle autorità di quel periodo in materia di giochi: l’Hoyle’s Book of Games. Esistono però dei precursori europei: il Poch germanico, la Primiera italica, il Mus spagnolo e il Poque francese, tutti giocati con un mazzo che va dalle 20 alle 40 carte. Il Brag inglese si gioca invece, già dal 16° secolo, con 52 carte.
La nascita del “draw”
Nel 1850 il Bohn’s New Hand-Book of Games fa riferimento alla possibilità per ogni giocatore di cambiare da 1 a 5 carte della propria mano, sostituendole con altrettante pescate (draw) dal mazzo coperto. Anche se non viene ancora indicato un secondo giro di puntate dopo il cambio, di fatto questa è la nascita del poker “classico” o Five-card draw. Da noi viene comunemente indicato come “poker all’italiana”, per distinguerlo dai giochi importati dagli Stati Uniti (il TH appunto e le tante varianti). Senza dubbio si tratta di un gioco molto più articolato e accattivante, tant’è che dal 1870 si comincia a ragionare di calcolo delle probabilità e di strategia per il draw poker.
Fare le scale
Fino a quel momento, tuttavia, i punteggi restano parzialmente ancora in fase di definizione e non comprendono le scale. Stando al già citato Hoyle, le cose cambiano nel 1864 quando compare la “straight sequence” superiore al tris ma inferiore al colore e ai punteggi più alti. Il testo si affretta però a precisare che è una regola praticata “solo in alcune località” e che deve essere concordata tra i partecipanti prima dell’inizio della partita.
La questione delle scale è confermata anche da un episodio della famosa (almeno negli States) serie TV “Maverick” (1957-62), dal titolo “According to Hoyle“. Bret Maverick (impersonato da James Garner) sta giocando una partita di poker a bordo di una nave a vapore. Si arriva allo showdown di una mano e il protagonista mostra una scala: è convinto di aver battuto il tris dell’avversario, il quale però gli ricorda che quest’ultima vale solo se stabilito prima dell’inizio della partita, secondo la regola di Hoyle!
O jacks o niente
Sempre dopo la metà del XIX secolo, arriva un’altra innovazione: quella del cosiddetto jacks or better, ovvero la possibilità di aprire il gioco solo se in possesso di almeno una coppia di “ganci”. L’intenzione era quello di portare un po’ di disciplina nel gioco, evitando le azioni sconsiderate dei maniac ante litteram. La scelta accese però la discussione tra i giocatori del tempo in merito alla bontà effettiva delle regola che spostava il gioco verso le premium hands e riduceva le possibilità di bluff. Ciononostante, per quasi per tutto il 20° secolo questa regola rimarrà in vigore nella maggior parte delle partite di poker ufficiali. Nelle poker all’italiana è rimasta l’abitudine di chiedere l’apertura con una “coppia vestita“.
Lo stud
Il termine Stud affiancato a “poker” fa la sua comparsa nell’Hoyle’s Book of Games edizione 1864, purtroppo senza indicazioni sulle regole. Anche se le origini dello stud poker restano poco chiare, dalla metà del 19° secolo questo gioco si diffonde molto, in particolare dopo la Guerra Civile. Da quel momento diventerà di uso comune definirlo come poker aperto, ad indicare che le carte sono per lo più visibili, in contrapposizione al poker chiuso come il five-card draw. Il successo dello stud continuerà anche nel 20° secolo, almeno fino all’avvento del Texas Hold’em, come è ben rappresentato nel famoso film del 1965 Cincinnati Kid.
L’arrivo del Texas Hold’em
E’ proprio il successo del seven-card stud ad aprire la via al Texas Hold’em. Per quanto diversi, i due giochi sono accomunati da un elemento chiave: il fatto di essere entrambi forme di poker aperto, con un certo numero di carte visibili per tutti i partecipanti. La nascita ufficiale del TH rimane incerta. Gli storici parlano della fine del 19° secolo, ma non ci sono prove concrete a sostegno di questa datazione. Johnny Moss, Poker Hall of Fame, racconta nella sua biografia di aver appreso il gioco intorno al 1930. Doyle Brunson dice invece di aver incontrato per la prima volta nel 1958 il TH, che in quel periodo veniva chiamato hold me darling.
Un “abbraccio” che è durato nel tempo: non solo per Brunson ma per le centinaia di milioni di appassionati che ancora oggi giocano a Texas Hold’em da qualsiasi latitudine del pianeta.
Foto di testa by Getty Images