Questi giorni di WSOP 2021 ci ricordano, se mai ce ne fosse stato bisogno, che Las Vegas è la culla del poker negli Stati Uniti. E non solo del poker.
Las Vegas, insieme ad Atlantic City, è il punto di riferimento per chi vuole divertirsi, fare shopping e giocare d’azzardo. Il tutto in modo abbastanza… esagerato. Basta dare uno sguardo alla famosissima Strip che incarna la quintessenza dell’esagerazione.
Non è un caso che la città più importante – anche se non è il capoluogo – del Nevada sia stata ribattezzata Sin City, “città del peccato”.
Di sicuro il peccato a Las Vegas si collega in maniera molto più diretta al gioco d’azzardo che non ad altri tipi di vizi. Ma nel passato di questa città, purtroppo, il gambling ha significato anche malavita.
La storia forse più famosa in questo senso è quella di Benjamin “Bugsy” Siegel (1906-1947).
Nasce a Brooklyn (New York) come Benjamin Hymen Siegelbaum. La famiglia era di origine ebraica forse fuggita dalla Russia zarista (secondo alcuni la famiglia proveniva dall’Austria), e la sua infanzia non fu facile, divisa tra povertà e gang.
Non sorprende più di tanto che Bugsy sia diventato uno degli esponenti della malavita americana tra gli anni ’30 e ’40. Faceva parte della cosiddetta Murder, Inc. (“anonima omicidi” o “Brownsville Boys”), ovvero il gruppo di killer italiani ed ebrei che uccidevano su commissione. Tra le sue amicizie c’era anche un certo Al Capone.
Di certo non si può definire Siegel uno stinco di santo. Nonostante questo, la città di Las Vegas deve comunque moltissimo a questo visionario personaggio americano con un debole per il glamour.
Alla fine degli anni quaranta, negli ultimi mesi della sua movimentata vita da gangster, Bugsy decise di reinventarsi imprenditore per inseguire un sogno dal sapore hollywoodiano. Con i (tanti) soldi guadagnati come gangster, fece costruire il famoso hotel casinò “Flamingo“, inaugurando un’era sfavillante di luci e divertimento che ha cambiato per sempre il volto di quella zona desertica del Nevada.
Il Flamingo originale, che sorgeva dove c’è il giardino con piscina del resort attuale, era semplicemente il più grande e lussuoso di tutta Las Vegas, il terzo complesso di questo tipo ad aprire sulla Strip e il più vecchio tra quelli storici ancora in piedi.
A quanto pare, lo sfarzo voluto dall’ossessionato Siegel aveva fatto lievitare il budget per la costruzione da 1,5 a 6 milioni di dollari. E questi costi fuori dalla norma non erano ben visti dai loschi uomini d’affari coinvolti nel progetto. Nelle primissime settimane di lavoro il casinò si ritrovò oltretutto in perdita e l’uomo perse definitivamente la fiducia dei sospettosi soci.
Le conseguenze furono tragiche. Bugsy venne ucciso appena sei mesi dopo l’inaugurazione, avvenuta il 26 dicembre 1946, freddato da un killer venuto quasi certamente per regolare i conti dell’albergo.
In realtà, la storia ci dice che il Flamingo si è rivelato uno dei più grandi investimenti degli ultimi due secoli. Già nel 1991, ai tempi del film biografico (“Bugsy“) con Warren Beatty, la stima di quei 6 milioni investiti nel lungimirante sogno di Bugsy parlava di ricavi impressionanti, pari a 100 miliardi di dollari!
Il successo di questa faraonica formula contribuì inoltre a spianare la strada alle tantissime strutture simili che hanno trasformato Las Vegas in una vera e propria “capitale dell’intrattenimento”, dotata di uno sviluppo economico costante e apparentemente privo di crisi.
Immagine di testa: il nuovo Hotel Flamingo (credits VFM Leonardo)