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Non è una concetto molto tecnico, ma è probabile che ogni giocatore abbia una propria mano favorita. E non parliamo di coppia di Assi o di Re, sarebbe troppo facile e banale, ma di una mano che magari è un porta fortuna o che ricorda un evento positivo o che semplicemente è la preferita dal punto di vista estetico.

L’importante è non farsi trasportare dal feeling e rinunciare a giocarla quando proprio non è il caso. A maggior ragione se si tratta di una mano mediocre.

Ma nel grande libro del poker, alla pagina WSOP, c’è un capitolo che smentisce quanto abbiamo appena detto. Anzi ce ne sono due, entrambi scritti da Doyle Brunson.

Doyle Brunson (credits WSOP/PokerNews)

Texas Dolly, questo il nickname del giocatore di Longworth (USA), è una vera e propria leggenda del poker mondiale. Si è spento il 14 maggio 2023 a 89 anni d’età (era nato il 10 agosto del 1933), dopo averne dedicati più di sessanta al gioco.

Quando un incidente sul lavoro interrompe la sua promettente carriera nel basket, Brunson – terminati gli studi universitari – si dedica al poker professionistico. A cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta inizia ad accumulare vincite in Texas, Oklahoma e Louisiana. Con l’apertura dei casinò in Nevada decide però di trasferirsi a Las Vegas.

Qui, a partire dalla metà degli anni Settanta, la sua carriera decolla e raggiunge l’apice grazie ai due Main Event WSOP vinti nel 1976 e nel 1977 e ad altri 8 braccialetti, l’ultimo dei quali infilato al polso nel 2005. Nel giugno del 2018, a 84 anni compiuti, ha sfiorato l’undicesimo braccialetto piazzandosi al sesto posto nel $10.000 No Limit 2-7 Lowball Draw Championship (torneo vinto poi da Brian Rast, con il nostro Dario Sammartino terzo).

Il curriculum torneistico di Doyle Brunson conta 89 in the money, 18 primi posti (comprese le 10 vittorie alle WSOP) e più di 6 milioni di dollari vinti. Nel 1988 è stato inserito nella Poker Hall of Fame ed è l’autore di Super System, in assoluto il libro sul poker più letto al mondo.

Torniamo alla questione delle mani favorite. Ebbene, quella di Texas Dolly è 10-2: una super trash hand, cioè due carte da non giocare mai ma che hanno regalato a Doyle Brunson proprio le due vittorie consecutive nel Main Event WSOP!

Non sorprende che 10-2 sia stata ribattezzata “Doyle Brunson hand“.

La famosa mano stampata su Super System

Nel 1976 Doyle Brunson raggiunge il suo primo tavolo finale alle World Series Of Poker di Las Vegas. Non solo, sopravvive a tutte le eliminazioni fino all’heads-up conclusivo, quello contro Jesse Alto.

Ad un certo punto della partita, Jesse Alto apre con A♣J♥, due ottime carte per iniziare rilanciando. Texas Dolly, in netto vantaggio di chips, decide di chiamare con un marginale 10♠2♠. Il flop è tutto a favore dell’original raiser che centra una doppia coppia grazie a A♥J♠10♥. Jesse Alto punta forte ma Brunson, forse sentendo puzza di bluff, decide di rilanciare all-in con la bottom pair e un kicker inesistente! Il resto del board è clamoroso: prima un 2♣ al turn, doppia coppia ma inferiore a quella di Alto; poi un 10♦ e situazione ribaltata in un fullhouse! I 230.000 dollari di primo premio vanno a Doyle Brunson che, per la cronaca, quello stesso anno vincerà anche un altro titolo nel torneo di Deuce to Seven Draw.

Jesse Alto (a sx) seduto al tavolo contro Doyle Brunson (dx) nell’HU del ME WSOP 1976 (credits WSOP)

L’anno dopo arriva il bis. Nel 1977 a contrastare la marcia di Brunson verso il secondo titolo WSOP Main Event c’è Bones Berland. Brunson è chipleader quando tra le mani si trova di nuovo 10♠2♥, la sua mano, e decide di chiamare da small blind. Berland, che ha 8♠5♥, da big blind opta per vedere il flop senza ulteriore investimento di chip.

Sul tavolo scendono le prime tre carte comuni: 10♦8♠5♥. Brunson hitta la top pair, ma il suo avversario ha doppia coppia. A differenza di quanto avvenuto un anno prima, i due giocatori scelgono di non investire chips al flop. Il turn è un segno del destino: un 2♣, la stessa carta del 1976, ma che questa volta è sufficiente per portare in vantaggio Brunson grazie alla doppia coppia superiore. I due finiscono ai resti e l’ultima carta del board recita un copione già visto: 10♣, un altro “full di 10 ai 2” che consegna a Brunson il secondo titolo e 340.000 dollari di primo premio. Per Berland non c’è nemmeno la consolazione del secondo premio, dal momento che quell’anno il ME WSOP fu giocato in modalità winner takes all.

Una doppietta storica, quella di Brunson, che ha trasformato una mano a dir poco marginale nella più famosa starting hand del poker.

Chiudiamo con due curiosità su questa icona del poker. La prima riguarda l’ultimo braccialetto vinto alle WSOP da Doyle Brunson nel 2005, il $5.000 No Limit Shorthanded Texas Hold ‘em. In quella occasione la mano vincente fu 10-3, non proprio “la sua”, ma molto vicina.

La seconda riguarda la starting hand meno amata da Doyle Brunson: A-Q, definita da Texas Dolly una mano problematica (“trouble hand“). Curioso è il fatto che al Main Event delle WSOP 2007 sia stato eliminato giocando proprio questa combinazione di due carte.

Foto principale: Doyle “Texas Dolly” Brunson (by PokerNews.com)

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