Paese che vai, gioco da tavolo (o da tavoliere) che trovi.
Ad esempio, se vi recate in Grecia, in Turchia o in qualche altro Paese che si affaccia sul Mediterraneo orientale, di sicuro troverete persone impegnate in una partita a backgammon. La stessa cosa capita anche in Germania, Austria, Olanda e Danimarca visto che nel XX secolo la “tavola reale” si è molto diffusa nell’area mitteleuropea.
Gli scacchi, pur essendo un gioco con origini orientali (indiane sembrerebbe), sono il boardgame più diffuso nei Paesi dell’Europa dell’Est.
In Cina e in buona parte del Far East si gioca soprattutto a Mah Jong (o Mahjong) e a Go, mentre il Giappone ha la propria versione degli scacchi chiamata Shogi.
E poi ci sono i giochi di carte. Tanti quante sono le varianti ormai diffuse in tutto il mondo, nonostante l’origine sia probabilmente asiatica (Cina?).
Se osserviamo i giochi fino a qui elencati, appare chiaro che la “culla del gioco” è quell’area che va dall’Estremo Oriente al bacino del Mediterraneo.
In realtà ci sono altre parti del globo dove si sono sviluppate culture autoctone del gioco. Ve lo dimostriamo con tre esempi.
MANCALA
Non si tratta di un gioco unico, ma di una famiglia di giochi nata nell’area del Corno d’Africa e incentrata sul ruolo della “semina“. La ragione è legata al sostentamento di Paesi come Etiopia ed Eritrea, dipendenti soprattutto dai raccolti e dalla presenza del bacino idrografico del Nilo.
In effetti alcuni scavi archeologici nella zone di Matara (Etiopia axumita ora Eritrea) e di Yeha (in Etiopia) hanno portato alla luce i resti di tavole di Mancala. Altri esempi di questa famiglia di giochi sono stati trovati anche in Kenya, dove il gioco è chiamato Awale, all’interno di piramidi egizie e di rovine nel Sahara.
Secondo gli studiosi la datazione dei ritrovamenti nel Corno d’Africa risale al periodo 500-700 d.C., anche se il nome Mancala deriva dall’arabo naqala, che significa “muoversi”. E’ quindi possibile che in origine il nome del gioco fosse diverso e sia stato cambiato in Mancala con l’arrivo degli Arabi tra il IX e il X secolo d.C..
Comunque sia, la parola araba traduce la meccanica generale del gioco. I partecipanti devono infatti muovere i propri “semi” lungo le “buche” del tavoliere. Numero delle buche e forma del tavoliere possono variare a seconda del tipo di Mancala.
Lo scopo del gioco è catturare i semi dell’avversario attraverso lo spostamento dei propri: la superiorità numerica di semi in una stessa buca porta all’eliminazione di quelli in minoranza. Se l’avversario non può più fare mosse legali, perde. La stessa cosa accade se tutti i semi presenti nelle case di un giocatore vengono eliminati: in quel caso si usa il termine “carestia”.
In tempi recenti, alcuni editori hanno prodotto versioni moderne del gioco, come quella che vedete nella foto qui sotto:
PATOLLI
Dall’Africa ci spostiamo al continente americano che, prima di diventare il “Nuovo Mondo”, era quello di tante civiltà native.
Il Patolli (diventato “patole” dopo l’arrivo degli spagnoli) era conosciuto e giocato in tutta la Mesoamerica. In particolare era diffuso soprattutto tra i nobili Aztechi: si dice che persino il sovrano Montezuma ne fosse affascinato.
Il gioco è raffigurato anche nel Codice Magliabecchiano, dove si vede il dio azteco Macuilxochitl che supervisiona una partita.
In gioco consiste in una corsa su una tavola a forma di croce e costituita da 52 caselle. I partecipanti tirano 5 fagioli segnati su un lato con un punto bianco: per ogni lato bianco visibile dopo il tiro, il giocatore può muovere il proprio segnalino (una pietra) di una casella. In caso di 5 lati bianchi esposti, le mosse a disposizione diventano 10.
Non ci si può fermare su una casella occupata dal segnalino avversario e, come nel giro dell’oca, bisogna terminare la corsa con il punteggio esatto, altrimenti non è possibile muovere.
Il Patolli era un gioco d’azzardo: i partecipanti si accordavano prima di iniziare su quale tipo di bene fosse la posta in palio.
HNEFATAFL
Per quanto strano possa sembrare, anche i Vichinghi avevano il loro boardgame. L’Hnefatafl (classico nome nordico facile da pronunciare…) è un gioco strategico astratto molto simile agli scacchi. Sembra però che le popolazioni nordiche lo giocassero già nel 400 d.C., molto prima dell’arrivo in Europa degli scacchi.
La parola norrena significa “Tavola del Re”. In effetti lo scopo del gioco ruota attorno a questa pedina: il giocatore bianco (o comunque quello che schiera i propri pezzi al centro) deve cercare di portare il Re in un angolo (“rifugio”) della scacchiera. L’avversario, che schiera sui quattro lati, deve invece bloccarlo. L’immagine rende l’idea dello schieramento iniziale:
Gli altri pezzi si muovono tutti come la torre degli scacchi. Non si può passare attraverso una casella occupata e un pezzo viene eliminato bloccandolo in mezzo ad altri due. Per il Re invece ce ne vogliono 4.
Qualcuno però dice che il gioco fosse lento con regole non molto bilanciate: chissà come finivano realmente le partite di Hnefatafl tra gli antichi Vichinghi…
Immagine di testa: “scacchiera” di Hnefatafl (credits Gamefound.com)