Con quattro carte in mano è quasi impossibile non chiudere un punto, quindi conviene sempre vedere almeno il flop. Questo è probabilmente l’errore più grosso che si possa commettere nel Pot Limit Omaha.
Un ragionamento fuorviante in cui cadono molti giocatori alle prime armi e che si traduce non solo in grosse delusioni al tavolo, ma spesso anche in un disamoramento per questa forma di poker. Entrare in tutti i piatti preflop significa perderne la maggior parte.
“Mi scoppiano sempre, non vale la pena giocare” è il lamento del beginner che si tuffa nell’action senza prima aver capito che nel PLO la selezione delle mani di partenza è ancora più importante che nel Texas Hold’em. Ma non è il gioco ad essere “buggato”, è la mancanza di conoscenza nella scelta delle starting hands.
In un precedente articolo abbiamo fornito una serie di concetti base per identificare le combinazioni di carte migliori con le quali investire chips, anche in base alla posizione e alla maggiore o minore aggressività degli avversari. Qui entriamo invece nel dettaglio delle starting hands, proponendo alcune esempi.
Sappiamo – grazie soprattutto all’intelligenza artificiale – che le migliori 30 combinazioni di partenza comprendono soprattutto carte “broadway” (dall’Asso al Dieci) double suited, cioè con doppia possibilità di chiudere un colore. Per capirci, A♥A♠K♥K♠ consente di completare sul board il nut flush di cuori o quello di picche, ed è anche la miglior starting hand. Quella che segue è la top 30, ricordando però che la differenza di forza tra le mani è molto più bassa di quanto succede nel Texas Hold’em.
Si capisce facilmente perché queste siano le miglior starting hands. Tutte combinano infatti la possibilità di chiudere punti alti: set, scala, colore, fullhouse e perfino poker. E’ esattamente quello che serve nel PLO.
Questo però non significa che siano le uniche da utilizzare. Se aspettiamo di ricevere una di questa mani prima di fare azione, potrebbe passare un bel po’ di tempo (45.120 a 1 le chance di ricevere la prima del ranking), durante il quale i bui intaccano lo stack e il nostro gioco diventa troppo dichiaratamente “nitty” (conservativo): puntando, riceveremo solo dei fold da parte degli avversari!
Bisogna quindi saper ampliare il range, tenendo conto della posizione al tavolo. Prendiamo il caso delle mani che contengono il famigerato dangler, cioè una carta che non si collega in alcun modo alle altre 3. In linea di massima sono da foldare preflop, ma in certi casi l’intruso è un… mezzo dangler! Ad esempio, nella mano A♥K♦K♠7♠ il 7♠ rappresenta l’anello debole, però crea la possibilità di chiudere un colore second nuts in combo con il K♠. L’aggiunta del potenziale set (o poker) di K, di una scala broadway (da A a T) e della doppia coppia più alta, rendono giocabile questa mano. L’importante è farlo da late position e per un investimento non troppo alto di chips.
C’è poi la situazione in cui ci vengono servite tre carte uguali. Ovviamente si tratta di uno svantaggio perché riduce del 50% le odds di settare ed elimina la possibilità di chiudere un poker. Al tempo stesso è necessario saper distinguere le situazioni. Ad esempio, J♠J♣J♥10♣ è da foldare sempre: set improbabile e battuto da 3 superiori (set di Q, K e A), colore medio-basso e relativamente poche combinazioni di scala (quella comprese tra 7 e J, e tra T e A). A♦A♥A♣10♦ è invece giocabile, perché può chiudere tre punti “top”: set di Assi, colore nuts di quadri e scala broadway.
Passiamo alle quattro carte dello stesso seme. Auto-fold? Non necessariamente. A♣3♣4♣K♣ ha l’ovvio problema di auto-limitare le odds per il nut flush, ma mantiene le chance per la scala alta (usando A e K) e anche quella bassa, dove A, 3 e 4 sono utilizzabili. Attenzione invece a una mano come 6♦8♦9♦J♦. In questo caso il colore, oltre ad essere poco probabile, rischia di essere battuto da uno superiore. Non solo, ma anche i progetti di scala diventano vulnerabili. Questo succede quando le quattro carte sono troppo vicine dal punto di vista del valore: si tolgono out a vicenda e possono essere battute da scale superiori chiuse al turn o al river. E’ sempre meglio avere carte che mirano a scale lontane fra loro, ad esempio la wheel (A-5) e una che coinvolge carte broadway.
Attenzione anche all'”abbaglio” Texas Hold’em. Chi è abituato alla versione texana del poker, può essere indotto a valutare le 4 carte dividendole in starting hand da 2. Ma l’Omaha non è il TH, questo è bene ricordarlo sempre.
Ad esempio, K♦K♣8♥7♥ contiene due blocchi buoni per il TH, cioè la coppia di K e i suited connectors 8-7. Nell’Omaha, però, la forza della mano sta nel confrontare tra loro tutte le 4 carte. Nell’esempio, K-8 e K-7 offsuited non creano niente di utile: si tratta di una mano debole e quindi da foldare di fronte a un raise preflop.
Lo stesso discorso si applica, in parte, ai due Assi di partenza. Se il resto della mano è totalmente scollegato (a colore o scala), American Airlines possono rimanere a terra.
Più giocabili sono invece le starting hand che contengono una coppia media e sono accompagnate da carte vicine in valore, con le quali possono chiudere un altro punto. 6♣8♣8♦9♥ può settare, chiudere un colore (debole) e giocare su un range di scale che vanno dal 4 alla Q, anche se quest’ultima opzione è a rischio (servono T-J-Q sul board, ma un avversario con AK chiude la scala superiore).
Concludendo, ribadiamo che il concetto fondamentale quando si valuta una mano di partenza nel PLO è la quantità di opzioni che le 4 carte offrono. In questo gioco, per vincere il piatto si ragiona dal set in su e una selezione troppo loose delle starting hands non paga. Anzi, si trasforma in una perdita costante di chips.
Come però abbiamo già sottolineato, il PLO è un tipo di poker che premia soprattutto l’abilità nell’azione post-flop. La gestione di questa fase sarà infatti uno dei nostri prossimi contenuti.
Immagine di testa credits PokerNews