Chiunque, appassionato di poker o meno, conosca Rounders ricorderà una scena in cui c’è una mano realmente giocata alle World Series Of Poker. Il protagonista del film Mike McDermott (interpretato da Matt Demon) è davanti al suo televisore, intento ad analizzare per l’ennesima volta l’ultima azione del Main Event 1988. Al tavolo ci sono Johnny “The Master” Chan e il protagonista di questa storia, Erik Seidel. Nel precedente articolo lo avevamo lasciato proprio a questo punto, a un passo dalla possibilità di vincere un braccialetto al suo debutto nel più importante torneo del mondo.
“Essere all’heads-up mi intimidiva” racconta Seidel. “A quel tempo non sapevo ancora se le mie abilità di giocatore avrebbero retto al di fuori delle partite cui ero abituato al Mayfair club”.
L’epilogo è noto. Chan floppa la scala e piazza lo slowplay fino al river. Seidel abbocca continuando a puntare al flop e al turn con la sua top pair. Quando scende l’ultima carta, decide di andare all-in: Chan snappa e lo lascia di sasso mostrandogli la best hand. Il cino-americano diventa così campione del mondo per la seconda volta consecutiva e incassa 700mila dollari. A Seidel ne toccano 280.000 che però dovrà dividere con i suoi amici-stakers newyorkesi: alla fine il suo profit sarà “soltanto” di 90mila dollari. Una cifra comunque importante per quel periodo ma non sufficiente a convincere Seidel che il poker da solo sia una garanzia sufficiente per mantenere se stesso e la famiglia. E così torna alla sua precedente occupazione, quella di operatore finanziario.
In quel periodo Erik Seidel conduce una doppia vita. Di giorno è un trader a Wall Street, di notte si trasforma in un eccellente poker player. Uno stress non indifferente che può consumare in fretta anche i migliori. E così nel 1995 arriva la svolta, d’accordo con la famiglia.
“Mia moglie vedeva che non ero contento della mia vita. Non mi piaceva dover indossare giacca e cravatta tutti i giorni, per infilarmi in una metro affollata e restare ore e ore in piedi a contrattare azioni”. E’ propria la sua compagna a suggerire il cambiamento. Gli dice: “Perché non fai una prova, magari per cinque anni? Ci spostiamo a Vegas e vediamo come funziona la carriera da professionista nel poker…” Come sempre le donne sono più coraggiose. E così la coppia lascia New York, ma la testa del futuro Hall of Famer è ancora piena di dubbi. Seidel non è sicuro che la edge offerta dal poker sia sufficiente per farne una professione. E poi lasciare la “Grande Mela” per la “Sin City” del gioco non è proprio una passeggiata, soprattutto se c’è di mezzo anche una famiglia con figli.
Quest’ultima incertezza sarà la prima ad essere fugata: “La vita a Las Vegas si è rivelata piuttosto tranquilla, quasi provinciale per dir così. Un buon posto dove far crescere i figli”. Gli servirà poco tempo anche per capire di essere un eccezionale giocatore, in grado di fare del poker una fonte di guadagno ben al di là dei bisogni familiari.
Non ci dilungheremo troppo sui suoi risultati, in parte già indicati nel precedente articolo. Tra questi ci sono 8 braccialetti WSOP. Manca solo quell’ultimo gioiello, il braccialetto del Main Event, sfuggitogli nel 1988. Almeno per ora, anche se oggi è molto più difficile vincere il ME WSOP e questo Erik Seidel lo sa bene. Ciononostante, a 62 anni, il newyorkese rimane uno dei più forti al mondo, in grado di misurarsi (e a volte anche outplayare) giocatori che hanno 35-40 anni di meno, che studiano il poker attraverso i software e che potrebbe aver già giocato più mani di lui grazie ai ritmi del poker online. Un esempio della sua competitività vs la new generation è qui.
Viene naturale interrogarsi sul segreto del suo successo, così duraturo. Quando si vince così tanto non può essere tutto una questione di studio. Un pizzico di talento innato è evidente. E d’altra parte Seidel ha dimostrato di possedere una mente fatta per il gioco, sin dalle prime partite di backgammon. Ma anche la passione ha un ruolo decisivo.
La sua è quasi una dichiarazione d’amore nei confronti del poker: “Impariamo molto su noi stessi giocando a poker. E’ un gioco che mi affascina ancora oggi, ogni giorno. Una buona parte di quello che ho imparato nella vita lo devo al percorso fatto per diventare un giocatore professionista. Qualunque sia il nostro punto debole, il poker non fa altro che evidenziarlo, e così impariamo come compensare la debolezza. C’è moltissimo da imparare giocando”. E ancora, sul tanto discusso ruolo della fortuna: “Nella maggior parte dei casi, il risultato che otteniamo non ha nulla a che fare con il caso, ma dipende dalle decisioni che abbiamo preso nel corso della partita e che, ripensandole, ci accorgiamo che avrebbero potuto essere differenti. Se ci limitiamo a difendere quello che abbiamo fatto, non c’è margine per il miglioramento“.
Nel percorso professionale di Erik Seidel ci sono però anche figure decisive per la sua formazione da giocatore. La prima è quella di Paul Magriel che è stato il suo maestro e mentore nel backgammon, oltre al ruolo di “consigliere” quando Seidel ha esordito con il poker. Purtroppo, la vita del matematico-scacchista-maestro di backgammon è stata funestata da episodi legati ad una fragilità personale che lo ha condotto verso l’uso di sostanze stupefacenti. Paul Magriel è morto il 5 marzo 2018, all’età di 71 anni. “L’ho visto molto meno negli ultimi anni, nonostante vivesse anche lui a Las Vegas. Aveva molti problemi, assumeva droghe e questo ha reso più difficile la frequentazione. Siamo rimasti amici, ma il rapporto era ormai cambiato”.
Sul fronte più strettamente pokeristico Erik Seidel deve molto a Stu Ungar, dal quale ha assorbito come una spugna una serie di concetti che in quel periodo erano assolutamente all’avanguardia. Lo aveva incontrato al Mayfair club, quando Ungar stava imparando un po’ di backgammon: “Ho sempre avuto un bel rapporto con lui. Non ce ne sarà mai più un altro così, era davvero unico. Avere quel tipo di talento è una cosa rara”. Le parole di Seidel sono un degno epitaffio sul One of a kind del poker.
Questo è il passato di Erik Seidel. Il presente è quello di un giocatore che anche in tempi di pandemia – e quindi di pochissimo poker live – sa vincere: nel 2020 Seidel ha messo a segno 15 ITM alle WSOP in formato online. E il futuro?
“Mi piacerebbe giocare per altri dieci, anche venti anni perché amo il poker, davvero. Mi sono preso una breve pausa dopo l’estate (del 2019, ndr) per decidere se continuare a giocare full time o se invece rallentare un po’. E’ stata solo una fase, so che ho voglia di considerarlo un lavoro ancora per un po’! Mia moglie dice che faccio questo discorso ogni anno!”
Non entriamo in questioni domestiche, ma se il proposito di Erik Seidel è quello di continuare a fare il pro a tempo pieno, chi ama il poker non potrà che esserne felice. Soprattutto adesso che all’orizzonte ci sono finalmente bagliori di poker dal vivo.
Foto di testa: Erik Seidel (credits PokerNews)