Il 14 aprile scorso si è spento a 83 anni Crandell Addington, uno dei grandi pionieri dei tornei di poker e più in generale del Texas Hold’em.
Era nato il 2 giugno 1938 a Graham (Texas, USA) e tra gli anni ’60 e ’70 aveva fatto parte di quel gruppo di giocatori texani che aveva rivoluzionato il gioco e che comprendeva leggende quali Johnny Moss, Amarillo Slim e Doyle Brunson. Insieme a loro aveva battezzato la nascita delle World Series Of Poker, per poi accompagnarle lungo tutto il primo ventennio di vita.
Sul database TheHendonMob.com, a nome di Addington sono registrati 7 in the money. L’ultimo è un runner-up all’Hall Of Fame Poker Classic 1990, gli altri portano tutti l’etichetta WSOP. E sono quasi tutti final table del Main Event: ben sette!
Si tratta di un record ancora oggi imbattuto e probabilmente imbattibile, vista la differenza tra le WSOP dei primi anni, caratterizzate da poche decine di partecipanti, e quelle post-Moneymaker effect, quando le entries sono passate regolarmente a 4 cifre.
Ciò non toglie valore alla sua figura di pioniere del gioco, tanto che nel 2005 Crandell Addington è stato inserito nella All Of Fame del poker.
Ma nella sua storia personale non c’è solo il poker. Il texano, laureato in Economia alla Southwestern University, è stato anche un businessman nel settore petrolifero per poi passare a quello biotecnologico, diventando uno dei fondatori di Phoenix Biotechnology, azienda americana che nel 2020 si è impegnata nella realizzazione di un vaccino per il coronavirus.
Il suo nome rimane però indissolubilmente legato al record targato World Series Of Poker e, per chi ama quel brand, vale la pena ripercorrere la storia del Crandell Addington giocatore.
“Le World Series Of Poker non sono mai state pensate per diventare quello che sono oggi“, ha spiegato Crandell Addington in una recente intervista rilasciata a PokerNews. All’origine c’è la Texas Gamblers Convention – una “convention” per giocare a poker – organizzata a Reno da Tom Moore, un altro “cowboy” amico di Addington. Benny Binion, il futuro patron delle WSOP, è colpito dall’idea e chiede a Moore di vendergli l’idea. Quest’ultimo, su consiglio di Addington, accetta e così l’evento si sposta l’anno successivo a Las Vegas e prende il nome di World Series Of Poker.
Nel 1970 il formato rimane lo stesso della convention di Reno: cash game libero, con votazione finale per eleggere il miglior giocatore. Addington è tra i sette candidati, insieme a Doyle Brunson, Amarillo Slim e Johnny Moss. Il più votato è proprio quest’ultimo che entra di diritto nella storia del poker come primo vincitore di un titolo WSOP ME.
Un anno dopo, però, le cose iniziano a cambiare. L’evento ha attirato l’attenzione di alcuni giornalisti che suggeriscono un formato maggiormente “pubblicizzabile”. Nasce così l’idea del torneo in modalità Texas Hold’em No Limit – la preferita dai giocatori – e buy-in di 5.000 dollari. I partecipanti sono ancora pochi, 6 in tutto, ma lo scopo non dichiarato è quello di attirare nuovi clienti al casinò, come ha confermato lo stesso Addington: “Noi eravamo gli squali in attesa delle prede. Ne catturavamo un bel po’ e loro perdevano un sacco di soldi“. Per la cronaca, il torneo va a Johnny Moss che incassa i 30.000 dollari di primo premio.
In realtà a quell’edizione Addington non c’è (“ero da qualche parte in Canada o forse in Messico, dove si giocava molto forte“). Si ripresenta nel 1972, anno della vittoria di Amarillo “Slim” Preston, e chiude al 4° posto su 8 iscritti.
Nel 1974 Addington, soprannominato “Dandy” per il suo look elegante, è runner-up dietro a Johnny Moss su un field di 16 partecipanti, l’anno dopo si piazza 3° su 21 e nel 1976 è 4° su 22.
Il 1976 è anche l’anno del primo titolo vinto da Doyle Bruson che in teoria avrebbe dovuto incassare 220.000 dollari. Così non è, perché l’accordo stabilito prima della volata finale a quattro prevede che ciascuno incassi il 75% del valore dello stack che ha davanti (in quel periodo il valore nominale dei gettoni coincideva con quello reale), mentre il restante 25% va al vincitore. Addington, che al momento del deal è chipleader, si assicura un buon ritorno economico, probabilmente migliore di quello di Brunson. “Io ho incassato il 75% delle mie chips e Bruson ha dovuto pagare le tasse su tutto il montepremi!” ha ammesso candidamente il protagonista.
Nel 1977 “Dandy” arriva ancora al final table, ma il suo nome non compare nella lista dei finalisti forse per ragioni di IRS (il fisco americano). La questione del payout è ovviamente destinata a cambiare. E così nel 1978 (42 partecipanti) si arriva al payout stabilito prima dell’inizio del torneo. Alla fine vince Bobby Baldwin per $210.000. Dietro a lui c’è Addington che incassa $84.000, questa volta in maniera ufficiale.
Negli anni ’80, il giocatore texano inizia a rallentare la sua presenza ai tavoli da poker, per dedicarsi maggiormente all’attività imprenditoriale. “La cosa ironica è che io non sono mai stato un giocatore da torneo e non ho mai preso parte ad eventi che non fossero le WSOP. Ho giocato il Main Event solo perché Benny (Binion) mi ha chiesto di farlo. Io, uno che proprio non è un giocatore di tornei, finisco per avere il record di tavoli final al Main Event!“.
Un record che racconta pagine di storia del poker da torneo e anche della diffusione del Texas Hold’em No Limit. Lo stesso Addington ha lasciato una celebre definizione per questo gioco: “Limit poker is a science, but no-limit is an art. In limit, you’re shooting at a target. In no-limit, the target comes alive and shoots back at you”. (“Se il Limit Poker è una scienza, il No Limit è un’arte. Nel Limit spari ad un bersaglio, nel No Limit il bersaglio prende vita, si alza e ti spara”).
Immagine di testa: Crandell Addington (sx) e Doyle Brunson (photo credits Steve Beyer/Image Masters)