Non tutti i recordman sono ugualmente famosi perché non tutti i risultati hanno lo stesso peso.
Parlando di calcio, ad esempio, gli 8 scudetti consecutivi della Juventus sono una striscia di successi impressionante; eppure in Europa il record di campionati vinti uno dopo l’altro appartiene al Lincoln e allo Skonto Riga. Certo, i campionati di Gibilterra e Lettonia non possono valere quanto quello italiano, dove la concorrenza per il titolo è nettamente più agguerrita; ciononostante le due squadre hanno giustamente trovato il loro posto nel libro dei record calcistici.
Lo stesso vale per il poker. La maggior parte degli appassionati sa che Phil Hellmuth detiene il record di titoli vinti alle World Series Of Poker. Ma se chiedessimo a qualcuno chi è Crandell Addington, probabilmente la risposta sarebbe un laconico “mai sentito”.
Di fatto stiamo parlando del giocatore con il maggior numero di apparizioni al tavolo finale del Main Event WSOP: ben sette, realizzate tra il 1970 e il 1979, in un decennio in cui al torneo più importante al mondo – forse l’unico in quel periodo – partecipavano in media una ventina di giocatori.
Ecco dov’è il problema: l’impossibilità di comparare quel poker (e quei numeri) a quello di oggi. Ma parlare di Crandell Addington significa andare oltre il paragone impossibile e rivivere un pezzo di storia importante di questo gioco.
L’oggi 82enne di Graham (Texas), laureato in Economia alla Southwestern University, è uno dei “cowboys” del poker che, insieme a Doyle Brunson e Amarillo Slim, dominano la scena pokeristica americana nel pieno degli anni Sessanta.
In quel periodo di tornei di poker non si parla. Il gioco nelle sue varianti più diffuse – Texas Hold’em, 5 Card Draw, Stud – è infatti esclusivamente in modalità cash game. Le WSOP sono ancora lontane, almeno fino al 1969 quando Tom Moore, un altro “cowboy” amico di Addington, organizza a Reno la Texas Gamblers Convention. L’evento, che di fatto è una scusa per riunire i migliori giocatori di high-stakes davanti a un tavolo da poker, diventerà il precursore delle WSOP.
“Le World Series Of Poker non sono mai state pensate per diventare quello che sono oggi“, ha spiegato Crandell Addington in una recente intervista rilasciata a PokerNews. Fatto sta che Benny Binion, il futuro patron delle WSOP, chiede a Moore di vendergli l’idea. Moore, su consiglio di Addington, accetta e così l’evento si sposta l’anno successivo a Las Vegas e prende il nome di World Series Of Poker.
Nel 1970 il formato rimane lo stesso della convention di Reno: cash game libero, con votazione finale per eleggere il miglior giocatore. Addington è tra i sette candidati, insieme a Doyle Brunson, Amarillo Slim e Johnny Moss: il più votato è proprio quest’ultimo che entra di diritto nella storia del poker come primo vincitore di un titolo WSOP ME.
Un anno dopo, però, le cose iniziano a cambiare. L’evento ha attirato l’attenzione di alcuni giornalisti che suggeriscono un formato maggiormente “pubblicizzabile”. Nasce così l’idea del torneo in modalità Texas Hold’em No Limit – la preferita dai giocatori – e buy-in di 5.000 dollari. I partecipanti sono ancora pochi, 6 in tutto, ma lo scopo non dichiarato è quello di attirare nuovi clienti al casinò, come ha confermato lo stesso Addington: “Noi eravamo gli squali in attesa delle prede. Ne catturavamo un bel po’ e loro perdevano un sacco di soldi“. Per la cronaca, il torneo va a Johnny Moss che incassa i 30.000 dollari di primo premio.
In realtà a quell’edizione Addington non c’è (“ero da qualche parte in Canada o forse in Messico, dove si giocava molto forte“). Si ripresenta nel 1972, anno della vittoria di Amarillo “Slim” Preston, e chiude al 4° posto su 8 iscritti.
Dando una scorsa al payout ci si accorge che anche quell’anno la formula del torneo prevede il winner takes all, cioè l’intero montepremi finisce nelle tasche del vincitore. E in effetti anche i risultati di Addington indicano solo 3 in the money alle WSOP nonostante i 6 tavoli finali raggiunti (quello del 1970 è chiaramente senza premio in denaro).
Pochi soldi quindi per il recordman di final table? Non proprio, perché i giocatori erano soliti fare un deal a porte chiuse per spartire il montepremi: “I giocatori votavano per dividere i soldi tra gli ultimi tre o quattro rimasti in gara. Io ho sempre spinto perché il denaro andasse solo al vincitore“, ha candidamente ammesso Crandell Addington a PokerNews. “Ma tu hai più soldi di noi” gli veniva normalmente rinfacciato.
In effetti, già in quegli anni Addington è un ricco uomo d’affari del settore petrolifero. Ma il suo cuore batte sempre per il poker e per le WSOP, che iniziano ad attirare un numero crescente di giocatori.
Nel 1974 Addington, soprannominato “Dandy” per il suo look elegante, è runner-up dietro a Johnny Moss su un field di 16 partecipanti, l’anno dopo si piazza 3° su 21 e nel 1976 è 4° su 22.
Il 1976 è anche l’anno del primo titolo vinto da Doyle Bruson che in teoria avrebbe dovuto incassare 220.000 dollari. Così non è, perché l’accordo stabilito prima della volata finale a quattro prevede che ciascuno incassi il 75% del valore dello stack che ha davanti (in quel periodo il valore nominale dei gettoni coincideva con quello reale), mentre il restante 25% vada al vincitore. Addington, che al momento del deal è chipleader, si assicura un buon ritorno economico, probabilmente migliore di quello di Brunson: “Io ho incassato il 75% delle mie chip e Bruson ha dovuto pagare le tasse su tutto il montepremi!” ha ammesso candidamente il protagonista.
Nel 1977 “Dandy” arriva ancora al final table, ma il suo nome non compare nella lista dei finalisti forse per ragioni di IRS (il fisco americano). La questione del payout è ovviamente destinata a cambiare. E così nel 1978 (42 partecipanti) si arriva al payout stabilito prima dell’inizio del torneo. Alla fine vince Bobby Baldwin per $210.000. Dietro a lui c’è Addington che incassa $84.000, questa volta in maniera ufficiale.
Negli anni ’80, il giocatore texano inizia a rallentare la sua presenza ai tavoli da poker, per dedicarsi maggiormente all’attività imprenditoriale. Il suo ultimo cash è datato 1990, un secondo posto da 56.700 dollari nel $1.500 + 50 No Limit Hold’em all’Hall Of Fame Poker Classic di Las Vegas. Nel 2005 torna nella “Sin City” a stelle e strisce per giocare il Main Event delle WSOP ma soprattutto per vedere il proprio nome inserimento nella Hall of Fame del poker.
“La cosa ironica è che io non sono mai stato un giocatore da torneo e non ho mai preso parte ad eventi che non fossero le WSOP. Ho giocato il Main Event solo perché Benny (Binion) mi ha chiesto di farlo… Io, uno che proprio non è un giocatore di tornei, finisco per avere il record di tavoli final al Main Event!“.
Oggi Crandell Addington vive con la moglie a San Antonio (Texas) e si diletta con la pesca sportiva. E’ uno dei fondatori della Phoenix Biotechnology, azienda americana del settore biotecnologico che nel 2020 si è impegnata nella realizzazione di un vaccino per il coronavirus.
Il tempo del poker è alle spalle, ma rimane il fil rouge con il suo grande amico Doyle Brunson, l’altro Texas road gambler ancora in circolazione.
Per concludere, ci piace ricordare una delle frasi più celebri di Crandell Addington sul poker: “Limit poker is a science, but no-limit is an art. In limit, you’re shooting at a target. In no-limit, the target comes alive and shoots back at you” (“Se il Limit Poker è una scienza, il No Limit è un’arte. Nel Limit spari ad un bersaglio, nel No Limit il bersaglio prende vita, si alza e ti spara”).
Foto di testa: da sinistra Crandell Addington, Doyle Brunson e Jack Binion (by PokerNews)