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Ai Giochi Olimpici del 1980 a Mosca, disputatasi dal 20 al 30 luglio, c’è un grande assente. Nel 1979 l’URSS aveva invaso l’Afghanistan, una mossa militare e politica che, nel contesto della Guerra Fredda, non era decisamente piaciuta agli americani e al Presidente Jimmy Carter, il quale aveva deciso, tra le altre cose, di boicottare i Giochi Olimpici del 1980. Un segnale forte che, dal punto di vista cestistico, aveva privato l’Olimpiade della squadra da battere, ovvero Team Usa, sostituita dalla non irresistibile Svezia. Un’esclusione eccellente, che permise a Jugoslavia e URSS di puntare alla medaglia d’oro, con alcune squadre in agguato, tra cui l’Italbasket di coach Sandro Gamba.

I gironi

Alle Olimpiadi di pallacanestro del 1980 partecipano dunque 12 team, tra cui i padroni di casa dell’URSS e la quotata Jugoslavia, due formazioni talentuose e fisicate, con un obiettivo chiaro in mente. I gironi sono tre: nel gruppo A si collocano Unione Sovietica, Brasile, Cecoslovacchia e India; nel gruppo B sono inserite Jugoslavia, Spagna, Polonia e Senegal, mentre nel gruppo C l’Italia sfida Cuba, Australia e Svezia. La formula, definita “balzana” dal grande Aldo Giordani in un articolo dell’epoca sul Corriere della Sera, prevede che le prime due di ogni raggruppamento si giochino un girone finale (da sei squadre) per stabilire chi raggiungerà le finali (le prime due si sarebbero giocate la medaglia d’oro, la terza e la quarta si sarebbero giocate quella di bronzo). E dunque, l’obiettivo primario, non solo di URSS e Jugoslavia, ma anche di nazionali come Italia, Spagna e Brasile, resta innanzitutto chiudere nei primi due posti, per poi giocarsi il tutto per tutto nella seconda fase.

L’Italbasket è guidata in panchina da coach Sandro Gamba. In campo Meneghin e Villalta sono i leader di una squadra composta da Sacchetti, Brunamonti, Gilardi, Della Fiori, Solfrini, Bonamico, Vecchiato, Marzorati, Generali e dall’oriundo Mike Sylvester. La nostra nazionale vuole fare bene, ma sul cammino azzurro si materializzeranno la Jugoslavia di coach Ranko Žeravica, in cui figurano i nomi di Kićanović, Dalipagić, Delibašić, Ćosić, Slavnić e Jerkov, e l’Unione Sovietica di Tkačenko e Sergej Belov che vuole fare bella figura di fronte al proprio pubblico.

La prima fase

Inutile dire che URSS e Jugoslavia chiudono al primo posto i rispettivi gironi, vincendo tre partite su tre, senza colpo ferire. La Jugoslavia, in particolar modo, supera in tranquillità Senegal (104-69) e Polonia (129-91), anche se poi è costretta ad un extra-sforzo contro la Spagna, battuta 95-91. L’Italbasket invece non ha vita facile nel proprio girone. I ragazzi di coach Gamba aprono la propria avventura superando la Svezia (92-77), ma nel secondo match non possono nulla contro Davies (33 punti) e l’Australia, con quest’ultima che si impone per 77-84. Ci si gioca tutto nella gara contro Cuba: l’Italia deve vincere di almeno 6 punti per passare, questa è l’unica cosa che conta. E, in questo caso, il destino decide di assistere la nostra nazionale. Dino Meneghin e compagni vincono di 7 punti, grazie ad un canestro e fallo subito nel finale di Gilardi, eroe che permette all’Italia di qualificarsi, insieme proprio a Cuba, che diventerà l’agnello sacrificale nel successivo raggruppamento. In sostanza, L’Italia chiude con 2 vittorie e 1 sconfitta, così come Cuba e Australia, ma passa per differenza canestri, mentre la Svezia è ultima (0-3).

Sul filo del rasoio

Si passa al girone di classificazione, in cui si sono qualificate Jugoslavia, la già citata Italia, URSS, Spagna, Brasile e Cuba. Le prime due partite che la nostra nazionale deve affrontare sono proprio contro Jugoslavia e URSS: si decide già qui, in parte, il destino della nostra nazionale. La Jugoslavia però ha tropo talento e ci spazza via (102-81), dando quella sensazione di superiorità tipica delle grandi squadre. L’Italbasket non ha scuse, deve battere l’URSS a domicilio, un’impresa sicuramente non semplice. Ed è qui che il cuore azzurro batte più forte che mai. Il match è combattuto fino agli istanti finali, con l’Italia che prende qualche punto di vantaggio e lotta. Il simbolo è Dino Meneghin, che fa a sportellate sotto canestro con il gigante Tkačenko (220 cm) e, nel finale, lo fa saltare con una finta e gli fa commettere il suo quinto fallo. Meneghin poi segna i due liberi che consegnano la vittoria ad un’Italia che trova un’altra grande prestazione di Villalta (21 punti), il quale concluderà la sua Olimpiade a 19.4 punti segnati a partita.

Tornando al “fronte” Jugoslavo, Dalipagić e compagni vinceranno tutte le partite del raggruppamento, chiudendo con un record immacolato (5-0). Dopo l’Italia, le vittime del team di coach Žeravica sono Cuba (+28) e URSS (dopo un supplementare), prima di arrivare al momento decisivo. La strada dell’Italbasket dipende anche dai risultati della Jugoslavia, dato che la squadra di coach Sandro Gamba cade contro il Brasile guidata da un ragazzo di nome Oscar Schmidt (33 punti). La Jugoslavia dunque deve battere il Brasile e l’Italia deve vincere contro la Spagna: questa è la combinazione necessaria per fare in modo che il team di coach Gamba acceda alla finale; in caso contrario per la medaglia d’oro giocherebbe l’URSS.

Tra Jugoslavia e Brasile nasce una partita combattuta e la nostra nazionale rimane a guardare, attenta e con le palpitazioni a mille. È Delibašić a salvare baracca e burattini, segnando i due tiri liberi che consegnano la vittoria alla sua nazionale (96-95), oltre alla qualificazione alla finale all’Italia, anche perché quest’ultima riuscirà a vincere contro la Spagna per 95-89, con doppia-doppia di Meneghin (29 punti e 11 rimbalzi). Si dice anche, recuperando le parole del telecronista sportivo Sergio Tavčar nel suo libro “La Jugoslavia, il basket e un telecronista”, che Slavnić abbia scommesso con il suo compagno Delibašić che quest’ultimo avrebbe sbagliato almeno uno dei primi due tiri liberi a sua disposizione di cui sopra. Glielo aveva sussurrato all’orecchio prima dei due tiri, ma alla fine il suo compagno gli aveva segnati entrambi, vincendo scommessa e partita.

La finale

La medaglia di bronzo è preda dei padroni di casa dell’URSS, che segnano 117 punti e battono la Spagna. Una medaglia però non particolarmente apprezzata dalla nazione, che, senza team USA, avrebbe preferito ben altro metallo.

In ogni caso, la sfida che ci interessa è la finalissima, che vede contrapposte Jugoslavia e Italia. Di per sé, la nostra nazionale ha già vinto, arrivando all’ultimo atto non da favorita e guadagnandosi, al minimo, la medaglia d’argento. Villalta è spaziale (alla fine saranno 29 punti finali) e continua il suo pazzesco momento in fase offensiva: l’Italia è avanti al 15’ (37-32), ma deve fare i conti con il team di coach Žeravica. In un amen, la partita cambia padrone, complice anche il terzo fallo di Meneghin, e la Jugoslavia mostra tutta la sua forza. Non c’è niente da fare per gli azzurri che vengono sconfitti per 86-77 in un  secondo tempo che non ha assolutamente storia. Kićanović 22 punti, Delibašić  20, Dalipagić 18: solo questi numeri e questi nomi bastano a far capire il perché di una tale vittoria. L’Italia comunque può ritenersi soddisfatta.

Il colpo proibito

C’è un episodio finale però non tanto piacevole. A 10 secondi dalla fine, con la partita in ghiaccio da tempo, Kićanović riceve palla nella metà campo offensiva e, superato per un attimo il pressing italiano, corre verso canestro, di fianco alla linea di fondo. Quasi sotto il canestro avviene il contatto con Dino Meneghin, che lo colpisce, seppur inavvertitamente, con una ginocchiata. Riprendiamo le parole del già citato Tavčar, che scrisse nel suo libro: “Meneghin colpì con una ginocchiata del tutto gratuita, per quanto parzialmente fortuita, Kićanović, lacerandogli il quadricipite per tutta l’estate e che amareggiò moltissimo il giocatore serbo, che cominciò a covare nei confronti di Meneghin e in generale dei giocatori italiani un rancore che esplose a Limoges”. Meneghin si scusa prontamente con il giocatore avversario, il quale esce dal campo con l’aiuto dello staff medico. La Jugoslavia, come detto, vincerà quella partita e l’oro, ma a Limoges, ad Eurobasket 1983, si scatenerà una vera e propria rissa tra Jugoslavia e Italia in un match della prima fase, una rissa dovuta proprio ai rancori nati a Mosca – per altro, in questa edizione degli europei, l’Italbasket chiuderà con la medaglia d’oro e la Jugoslavia al settimo posto.

I due quintetti ideali

Nel primo starting five migliore dell’Olimpiade appaiono i nomi di Kićanović e Dalipagić, i due giocatori della Jugoslavia che guidano un quintetto in cui sono presenti anche Sergej Belov (URSS) e il grande Oscar Schmidt (Brasile). Tra questi mostri sacri della pallacanestro, spicca il nome del nostro Dino Meneghin, autore di una grande Olimpiade e sicuramente Mvp del match contro l’URSS, specie nella metà campo difensiva. Nel secondo starting five ideale è presente un altro italiano – e non potrebbe essere altrimenti viste le sue medie realizzative nel 1980 – ovvero Renato Villalta, affiancato da altri due Jugoslavi, Slavnić e Jerkov, oltre a Marcel (Brasile) e Tkačenko (URSS).