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Dopo 16 anni di attesa, Novak Djokovic ce l’ha fatta. Il supercampione serbo, che è anche fortissimamente legato ai colori della sua Serbia, è riuscito a portare a casa la medaglia d’oro olimpica nel singolare maschile . Cosa significa questo oro per Nole? E cosa può succedere alla sua carriera adesso?

Novak Djokovic e le Olimpiadi: un’attesa lunga 16 anni

2008, Pechino

Nel 2008, sul Decoturf dell’Olympic Green Center di Pechino, eravamo ancora agli albori dell’era dei Big 3. Novak Djokovic, che 7 mesi prima aveva vinto il suo primo Slam a Melbourne, si presentava da terza testa di serie dietro a Roger Federer e Rafa Nadal. Al tempo, Nole sembrava ancora solo il terzo incomodo tra i due grandi rivali. Il tempo avrebbe raccontato un’altra storia, ma nel frattempo Djokovic si dovette inchinare proprio a Nadal, in semifinale: 6-4 1-6 6-4 il punteggio, con il maiorchino che avrebbe poi vinto l’oro in finale contro il sorprendente Fernando Gonzales alias “Mano de piedra”. Nole avrebbe poi vinto il bronzo contro James Blake, in quello che è stato il suo miglior risultato alle Olimpiadi fino a poco più di 24 ore fa.

2012, Londra

Nel 2012, il torneo olimpico veniva ospitato per la prima e finora unica volta (perlomeno dal ritorno del tennis tra gli sport olimpici, nel 1988) sull’erba, la stessa di Wimbledon. Nel frattempo, Novak Djokovic era già molto più che un terzo incomodo: l’anno precedente aveva vinto tre prove del Grande Slam su quattro, e nel 2012 aveva vinto l’Australian Open, fermandosi in finale al Roland Garros e in semifinale a Wimbledon. La testa di serie numero 1 era Roger Federer, lui era subito dietro ma ancora una volta si dovette fermare in semifinale. L’assatanato Andy Murray lo sconfisse per 7-5 6-4, andandosi poi a prendere anche la medaglia d’oro sullo stesso Federer, vendicando la sconfitta di poche settimane prima proprio in finale a Wimbledon. In questo caso non arrivò nemmeno la medaglia di bronzo, che andò all’argentino Juan Martin Del Potro, vincitore della finalina su Nole per 7-5 6-4.

2016, Rio

Proprio il nome di Delpo tornerà d’attualità quattro anni dopo, a Rio de Janeiro. Qui Nole arrivava da prima testa di serie, con i primi due Slam stagionali vinti e un Wimbledon inopinatamente finito al terzo turno per opera di Sam Querrey. A Rio si gioca sull’amato sintetico, ma il bizzarro tabellone gli mette contro proprio Juan Martin Del Potro al 1° turno. L’argentino, dentro al torneo solo per il Protected Ranking, tira un nuovo scherzo a Nole, sconfiggendolo per 7-6 7-6. Quella sconfitta era stata la delusione più grande per Novak Djokovic alle Olimpiadi, e una delle più grandi nella carriera. Ma non l’ultima.

2021, Tokyo

Si arriva così a Tokyo nel 2021, un anno dopo l’anno olimpico canonico per via del Covid. Nonostante le feroci polemiche sulle sue idee anti-vax e sul suo comportamento durante la pandemia, Novak Djokovic arrivava ai Giochi Olimpici con uno score impressionante: tre Slam vinti su tre, un primo posto nel ranking ATP inavvicinabile e il sogno del Grande Slam da realizzare a New York il mese seguente. La medaglia d’oro olimpica era però lì a un passo, rappresentando da un lato una ferita ancora aperta, dall’altro il sogno di realizzare qualcosa riuscito solo a Steffi Graf: il Golden Slam, ovvero le 4 prove del Grande Slam e la medaglia d’oro olimpica, nello stesso anno solare. In semifinale tutto sembra scorrere liscio contro Sascha Zverev, che aveva raccolto appena un game nel primo set. Il tedesco però trova una pazzesca rimonta vincendo 6-3 il 2° set e 6-1 il terzo, andando poi a prendersi la medaglia d’oro. Nole invece perderà un’altra finalina, contro il non certo irresistibile Pablo Carreno Busta. Soprattutto, ai primi di settembre perderà in finale lo US Open dicendo addio ai sogni non solo di Golden Slam, ma anche di Grande Slam.

Parigi 2024, Nole in missione

La marcia di avvicinamento di Novak Djokovic a Parigi 2024 era stata assai accidentata. Il campione serbo, ormai una leggenda vivente dello sport (non solo del tennis), è in evidente declino fisico, del resto inevitabile per tutti compreso quella sorta di cyborg che è il nativo di Belgrado. Nel mondo di oggi che ama dividersi su tutto, lui è un personaggio perfetto, perché è sempre stato divisivo nella misura in cui è andato sempre per la propria strada, senza temere le conseguenze delle sue opinioni, qualsiasi esse fossero.

La semifinale di Davis persa contro Jannik Sinner a fine 2023 pareva aver aperto una breccia in una corazza a lungo inscalfibile, e il 2024 era iniziato con grandi incertezze fisiche e diversi infortuni. Tuttavia, seppure con sempre meno match nelle gambe, Nole raggiunge i quarti al Roland Garros prima di ritirarsi per un problema al ginocchio, che richiede un intervento chirurgico. Inizia la corsa contro il tempo, verso Wimbledon ma soprattutto verso un altro appuntamento parigino, quello atteso da 16 anni, quello con la medaglia d’oro olimpica.

Nelle settimane tra il Roland Garros e Wimbledon, in tanti temono che a Londra Nole non si presenterà affatto, e mettono le Olimpiadi come vero e realistico obiettivo. Alla fine, Nole a Wimbledon ci va sul serio e si spinge fino alla finale.

Per il torneo Olimpico si torna sulla terra battuta del Roland Garros, ma sulla distanza dei tre set e non dei cinque, come avviene negli Slam. Questo è un elemento decisivo per il suo successo. L’autonomia fisica ad altissimi livelli non può essere quella di un tempo, la sua carriera ha iniziato un countdown di cui però solo lui conosce lo status. Se c’è un momento in cui dare tutto, in cui non lasciare proprio nulla di intentato, è questo singolare maschile.

Il tabellone “facile”, il crescendo irresistibile

Da un punto di vista tecnico, Parigi si può paragonare a un Masters 1000 come quello di Montecarlo, anche per un discorso di tabellone a 64 giocatori. Con le partite al meglio dei tre set e un incontro in meno dei 7 necessari da vincere in uno Slam, per Nole si tratta di un vero e proprio allin.

Il primo turno lo mette di fronte a una delle scemenze del regolamento olimpico del tennis, di cui è stata vittima anche l’Italia dopo il ritiro di Jannik Sinner. Il ripescato per l’Australia è Matthew Ebden, da tanti anni dedito esclusivamente al doppio e che infatti racimola appena un game. Va appena un po’ meglio a Rafa Nadal, contro il quale giocava il match numero SESSANTA in carriera. Ma Rafa non è (scegliete voi se “ancora” o “più”) competitivo e perde 6-1 6-4. Dopo la pratica Koepfer, sempre senza perdere nemmeno un set Nole si libera di due ossi molto duri come Stefanos Tsitsipas e Lorenzo Musetti. Sia il greco che l’azzurro sembrano in grado di sgambettare il supercampione, che a volte sembra essere solo la controfigura di se stesso. Ma Nole ha una caratteristica che lo rende unico: quando va “in missione”, difficilmente trova ostacoli umani sufficienti a frapporsi tra lui e l’obiettivo. E qui parliamo della missione più importante di tutte: vincere l’unico alloro davvero mancante alla sua inimitabile carriera, e al contempo portare la prima medaglia d’oro olimpica nel tennis alla sua Serbia.

La finale, il dritto, il capolavoro

Questa totale trance agonistica emerge anche nel match più atteso: la finale contro Carlos Alcaraz. Carlitos lo ha da poco demolito in finale di Wimbledon, e i primi game sembrano presentarlo in una versione molto “noleana”: lo spagnolo prende tutto, copre il campo con una disinvoltura pazzesca e sembra avere qualcosa in più. Infatti Nole fatica molto a mantenere i suoi turni di servizio mentre Alcaraz li vince più agevolmente. Ma Djokovic rimane aggrappato alla partita, esattamente come un uomo in missione. Da qualche parte, in qualche anfratto del match, sa che troverà il dettaglio giusto per vincere. L’occasione si presenta sul 3-3 del tie-break, subito dopo il cambio campo, con una bella risposta vincente di dritto. Il mini-break regge e Nole chiude il primo set. In un’ora e 33 minuti di gioco dall’intensità irreale.

Parte il secondo set e Nole sembra avanzare a spallate mentali, ma davanti a sé ha un campione vero che non accetta il destino. Sale il livello del gioco, per una partita che si fa di una intensità forse mai vista a livello olimpico. La cosa incredibile è la gestione chirurgica delle risorse fisiche di Djokovic, e il controllo mentale del match che non sfugge mai realisticamente dalle sue mani, nonostante un avversario fortissimo. Non a caso, a fine match Alcaraz avrà tirato un numero di vincenti più che doppio rispetto a Nole (33 vs 15), statistica che era stata addirittura incredibile nel primo set: 23 vincenti per Alcaraz, solo 6 per Djokovic.

Ma ieri, nei punti che fanno la differenza c’è stata quasi sempre la firma di Nole. E anche stavolta con un dritto favoloso protagonista, mentre in carriera è stato molto più spesso il rovescio, a dargli tante soddisfazioni.

Si arriva di nuovo al tie-break ed è – indovina un po’ – ancora un dritto vincente, incrociato come diverse altre occasioni che hanno tolto certezze allo spagnolo, che consegna definitivamente Novak Djokovic alla leggenda. Per lui è Career Golden Slam, non come quello di Steffi Graf, ma chissenefrega.

Cosa significa questa medaglia d’oro e cosa dobbiamo aspettarci da Novak Djokovic

Qui può partire la sfilza dei nostri “Se io fossi Novak Djokovic”, per provare a capire cosa dobbiamo aspettarci dal campione serbo da ora in avanti. Come detto in precedenza, tennisticamente questa medaglia d’oro vale quanto un Masters 1000 come Montecarlo. Ma il suo peso specifico è enormemente più alto, anche perché chiude ipoteticamente un cerchio.

Se c’era un momento in cui Nole poteva e doveva chiedere qualcosa in più, qualcosa di definitivo, al suo corpo, quello era il torneo olimpico. Il sogno del Grande Slam sembra ormai tramontato, e questo possiamo dirlo con ragionevole certezza. Per quanto straordinario sia questo giocatore, il tennis 3-su-5 richiede un dispendio psicofisico che è davvero arduo chiedere a un 37enne.

Se posso azzardare una previsione, Nole potrebbe non presentarsi allo US Open. Lo rivedremo probabilmente a tentare di portare all’amata patria un nuovo alloro, come la Coppa Davis che ha vinto sì, ma soltanto una volta. E le ATP Finals potrebbero davvero essere l’ultimo atto di una carriera senza precedenti. Ma sono consapevole di essere scettico già mentre digito queste parole.