La ginnastica da sempre una disciplina molto cara ai paesi dell’est e in Jury Chechi il filo conduttore parte proprio dalla scelta del suo nome, che i genitori hanno scelto per richiamare quello di Gagarin, il primo uomo ad andare nello spazio.
Chechi non è andato così in alto, ma i suoi movimenti potenti e aggraziati al tempo stesso, lo hanno fatto volare altrettanto lontano.
Un inizio quasi per caso
E dire che la carriera sportiva nel mondo della ginnastica di Jury Chechi è nata quasi per caso. Nella società sportiva di Prato a iscriversi per prima era stata la sorella, che in qualche modo è stata di ispirazione.
E infatti Jury ci prova e a quanto pare quella disciplina gli riesce dannatamente bene. Al punto che non solo comincia subito a vincere qualche gara, ma di lì a poco sono in molti ad accorgersi del suo talento e portarlo a Varese nella nazionale juniores.
Perchè l’inizio può anche essere stato un caso, ma per arrivare a quei livelli c’è poi bisogno di tanto allenamento e volontà. Quella stessa che nel 1988 lo porta alla sua prima Olimpiade a Seul.
La prima volta alle Olimpiadi
Jury è un ragazzo di diciannove anni alla sua prima esperienza olimpica, mentre i suoi rivali sono già di qualche anno più esperti e soprattutto vantano successi importanti.
La scuola sovietica degli anelli è sempre ai vertici, così come quella della Germania Est. Non a caso in quell’occasione si dividono equamente l’Oro olimpico con lo stesso punteggio di 19,925 per Holger Behrendt e Dmitri Bilozertchev.
Per Chechi la prima uscita è un comunque soddisfacente sesto posto. Non siamo ancora in grado di battere i più forti della specialità, ma la strada è quella giusta.
Quei magnifici anni novanta
L’ascesa però non tarda ad arrivare e con gli anni novanta arrivano anche le prime grandi prestazioni. Due bronzi ai mondiali e l’Oro agli Europei faranno solo da apripista alla sfilza di successi che caratterizzeranno questo decennio per l’atleta azzurro.
Basti pensare che ai Campionati del Mondo saranno ben cinque le vittorie di fila dal 1993 fino al 1997.
L’appuntamento alle Olimpiadi di Barcellona del 1992, sembra insomma un modo per mettere subito la sua firma anche nella competizione dai cinque cerchi. Ma il destino ci mette il suo zampino nell’occasione, con Chechi che si rompe il tendine di Achille proprio un mese prima delle gare.
Un’occasione solo rimandata, perchè per il “Signore degli Anelli” il momento della consacrazione olimpica arriverà poi ad Atlanta nel 1996.
L’Oro di Atlanta
Il Chechi che arriva alle Olimpiadi di Atlanta è senza alcun dubbio il più forte al mondo della sua specialità.
Ma come l’infortunio di quattro anni prima ha insegnato, ci sono mille variabili che devono mettersi in fila per centrare la prestazione perfetta.
L’Italia intera è con Jury durante l’esercizio finale, nonostante l’orario improbo dell’alba, siamo tutti in religioso silenzio fino a quel volo finale e all’atterraggio senza alcuna sbavatura.
I giudici assegnano un 9.887 che vale la prima posizione e quell’Oro Olimpico tanto atteso.
Il quasi ritiro e l’ennesimo infortunio
Nel 1997 Jury Chechi è per la quinta volta consecutiva campione del mondo, con un’oro olimpico in bacheca e dopo aver vinto tutto quello che si poteva vincere in carriera.
L’anagrafe segna ormai 28 anni e forse è arrivato il momento di ritirarsi, proprio quando si è sulla cresta dell’onda. Queste almeno sono le sue prime intenzioni, perché in fondo quando raggiungi questi livelli e sei il migliore al mondo per così tanto tempo, non è facile lasciarsi tutto alle spalle.
Specialmente se l’obiettivo di Sydney 2000 e lì a un passo, per cercare non solo di difendere il proprio titolo olimpico, ma possibilmente di mettersi un’altra medaglia al collo.
E così ci ripensa e si mette di buona lena a prepararsi per una nuova prova olimpica. Peccato che per la seconda volta, la sfortuna metta i bastoni tra le ruote al nostro campione: ancora il tendine lo costringe a saltare le Olimpiadi australiane. E sembra davvero la fine questa volta.
Non mollare mai: le ultime Olimpiadi
Una mazzata incredibile per uno sportivo, che si vede portare via la sua ultima chances di giocarsi la vittoria ed entrare nella storia.
Solo che i grandi campioni non ne vogliono sapere di fare cose “normali” e anche quello che sembra impossibile per tutti, diventa invece motivo di stimolo.
È così che invece di ritirarsi dalle scene, Jury Chechi prende quell’ennesimo infortunio come una sfida personale e alza l’asticella ancora più in alto, verso Atene 2004.
In una promessa reciproca fatta anche con il padre, in quel periodo gravemente malato: “Se ce la fai tu, io farò l’ultima gara”. E così fecero, entrambi.
Parliamo di un atleta che in quel periodo arriverà a 35 anni di età, in una disciplina tra le più difficili fisicamente. Non sono in molti infatti a credere realmente nelle sue possibilità, eppure il solo fatto di provarci e alla fine di esserci, lo rende di per se qualcosa di straordinariamente meritevole. Non a caso è proprio lui il porta bandiera azzurro per l’occasione, incarnando davvero tutti i valori più veri dello sport.
Come detto, sarebbe già un successo anche il solo esserci.
Ma Chechi non è tipo da fare le cose a metà. E allora ecco che nella prova degli anelli, stravolge tutti i pronostici e piazza una prova superba che vale il podio, pur nel gradino più basso.
In un bronzo che sembra tanto fatto di oro e platino.