Giampiero Galeazzi ha vissuto almeno due esistenze: la prima da sportivo, la seconda da giornalista.
Avviato al canottaggio dal padre Rino, campione italiano nel 1932, Galeazzi dimostra grande determinazione, forza ed eleganza nella disciplina, che approfondisce anno dopo anno allo storico Circolo Canottieri nella zona del Flaminio, a Roma. Per Giampiero vogare il Tevere non è uno svago, ma una missione. Lo certifica il successo come singolo nel campionato italiano del 1967, per poi ripetersi nel doppio in coppia con Giuliano Spingardi nel 1968.
Nel momento in cui la sua carriera di canottiere sembra poter definitivamente esplodere, un’ingiustizia sportiva gli tarpa le ali. È il 1968 e le Olimpiadi messicane rappresentano per la famiglia Galeazzi un’opportunità storica. Giampiero ancora non sa cosa il destino ha in serbo per lui.
Egli, insieme a Spingardi, viene ingiustamente escluso dalla selezione per le Olimpiadi – e da una probabile finale –, ma “grazie” a questo episodio Galeazzi inizierà ufficialmente la propria carriera di giornalista sportivo.
Il passaggio dalla carriera sportiva a quella giornalistica
È infatti il 1970 quando l’ex campione italiano di canottaggio deve partecipare a una partita di tennis. Trattasi, per la precisione, di un doppio da giocare assieme a Renato Venturini, giornalista radiofonico della Rai. Premessa necessaria. Galeazzi in quel momento è ancora a tutti gli effetti un canottiere di successo. Continua ad allenarsi e a gareggiare fino alla metà degli anni ’70. Per lui questo incontro con Venturini non è che una mera casualità, una delle tante porte alle tante vite di Bisteccone.
È in questa occasione, non a caso, che il soprannome gli viene affibbiato. Quando Galeazzi si presenta infatti in via del Babuino per prendere l’amico, Gilberto Evangelisti – fratello del potente Franco, braccio destro di Andreotti e numero uno della redazione sportiva della Rai – lo nota e chiede a Venturini: «A Rena’, e chi è sto bisteccone?». Un momento anche comico, se vogliamo. E insieme una consacrazione. Va da sé che, dopo questa celebre partitella, Galeazzi entrerà in Rai e vi diverrà una delle indimenticabili icone vocali, visive, teatrali, di ogni tempo.
Certo, l’apprendistato in Rai è rapido, ma proprio per questo durissimo. Passa dalle 10 alle 12 ore al giorno in redazione, a stretto contatto con Ameri, che lo prende sotto la propria ala protettrice, e con Ciotti, a cui porta il cappuccino tutte le mattine. Inizia intanto a leggere i risultati della Serie C la domenica.
Poi, nel 1972, un altro colpo di fortuna. Si giocano le Olimpiadi di Monaco e il radiocronista titolare del canottaggio, Mirko Petternella, è in ritardo a causa di una gara di scherma al cardiopalmo. La direzione Rai decide dunque di convocare in fretta e in furia proprio lui, bisteccone.
L’esordio è fantozziano: «qui c’è molto vento, le bandiere sembrano di legno». Paradossalmente, queste gaffe consolideranno la fortuna, e la celebrità, del personaggio. Negli studi Rai di Roma l’imbarazzo è palpabile: «va bene così, Galeazzi, vai avanti». E avanti ci va, con grande dignità, bisteccone.
Le tre anime di un personaggio unico
Se il Galeazzi sportivo è essenzialmente uno, il giornalista è trino: Giampiero ha un’anima popolare, quella calcistica, un’anima aristocratica, quella tennistica, e una esistenziale, quella del canottaggio.
Memorabile la sua telecronaca alle Olimpiadi di Seul del 1988, quando tale fu il trasporto da costringerlo ad alzarsi in piedi, a sostegno – fisico prima che spirituale – dei fratelli Abbagnale. Che vinsero l’oro, inscrivendo così nella storia anche il nome di Giampiero Galeazzi. Il quale non a caso, al termine di quell’emozionante telecronaca, ricorderà l’ingiustizia – a lui e al compagno di squadra occorsa – del ’68. «Rinviene la Germania, ma la prua è italiana!».
In campo tennistico si registrano i suoi più divertenti strafalcioni. «Borg ha fatto un rovescio che sembra una bomba al Nepal», o «il tiebreak è come una roulotte». Comiche cadute linguistiche di fantozziana memoria che non devono però celare l’essenziale: Galeazzi era soprattutto un grande conoscitore di sport, della racchetta come del canottaggio o del calcio. Negli anni Sessanta vede all’opera Pietrangeli, ma il vero rapporto lo instaura col buon Panatta: «se Nicola mi ha insegnato il tennis, Adriano mi ha laureato . Mi ha fatto capire lo spirito di questo sport».
Il suo cuore, comunque, è in verità scisso tra due fedi: quella per la Lazio e quella per il canottaggio. «Per me il canottaggio è stato tutto. Anche se giornalista e uomo di spettacolo, io rimango dentro canottiere».
Ed è proprio con lo spirito da canottiere che il 14 maggio del 2000 si catapulta dagli Internazionali di Roma, dove è in corso la finale – «una noia mortale, Norman–Kuerten, vinse Norman», dirà in una memoria, allo Stadio Olimpico, di lì a pochi passi situato. La Lazio ha battuto la Reggina e i tifosi hanno invaso il campo. Ora attendono con ansia il fischio finale dal Curi di Perugia, dove i padroni di casa stanno battendo 1-0 la Juventus.
Sportivo, giornalista, uomo di spettacolo
Per molti versi Galeazzi è stato un autentico precursore. Precursore delle interviste a bordocampo, condotte – e co-condotte – insieme ai calciatori o ai protagonisti, precursore anche di una certa telecronaca iper-emozionale ed iper-passionale che trova l’illustre sua scuola in Argentina, e che con Fabio Caressa a Germania 2006 e ad Euro 2020 ha trovato la sua definitiva consacrazione. Il suo finale suggello, probabilmente iniziato sotto la buona stella di bisteccone.
E pensare che a Domenica In Galeazzi nemmeno doveva andarci. «Qui c’è ‘na bionda che te vole a tutti i costi», gli dicono dalla direzione di rete. È Maria Venier, niente di meno. Con lei Galeazzi instaurerà un sodalizio destinato a durare in eterno. Non doveva andarci, a Domenica In, bisteccone, perché i parenti, soprattutto il figlio Gianluca, non erano troppo felici di quel nuovo incarico: «chi te lo fa fare? Sei un grande giornalista sportivo, papà. A scuola mi prenderanno tutti in giro». Invece, diventerà un’icona della televisione nazional-popolare degli anni Novanta.
Tutto questo dopo aver scritto memorabili pagine con la Domenica Sportiva. Soprattutto con Diego Armando Maradona, suo confidente da subito, e amico negli anni. In occasione del primo scudetto, nello spogliatoio del San Paolo, Galeazzi lotta, combatte e viene ferito dai celerini che credono debba rapire D10S.
Quando lo raggiunge è lui a prendere la parola. Non Galeazzi, ma Diego. Grazie a bisteccone, regista e insieme attore di uno spettacolo memorabile. Che si ripete in occasione del secondo scudetto partenopeo, quando viene rinchiuso nello spogliatoio degli azzurri con duecento e più giornalisti rimasti fuori dalla porta.
Maradona speaker, ancora. Che stavolta fa addirittura le interviste ai compagni di squadra. E che infine lascia il microfono a Galeazzi. Ancora una volta, la creatura torna al creatore. Per gli ultimi 500 metri.
L’addio a Galeazzi, per tutti Bisteccone
Questi ultimi 500 metri Giampiero Galeazzi li ha percorsi con grande dignità e amore per lo sport e la sua professione.
Galeazzi è morto nella mattina del 12 Novembre 2021, lasciandoci quel senso di vuoto che si ha quando viene a mancare qualcuno di conosciuto, familiare, con cui abbiamo condiviso tanti ricordi.
Il suo approccio al giornalismo ci ha lasciato in eredità quella leggerezza che aveva al microfono in contrapposizione alla robusta costituzione e alla figura invero imponente.
Negli ultimi anni Galeazzi si era ritirato a vita privata, solo talvolta cercato per avere qualche battuta o qualche analisi. Era stato ospite al salotto dell’amica Mara Venier, ma lo sport lo aveva in un certo senso accantonato.
Eppure quel modo leggero di raccontare le gesta, quella telecronaca così emotiva e coinvolgente è un lascito che parte in buona misura da lui.
E se anche negli ultimi 500 metri della sua vita terrena è rimasto nascosto, noi lo vedremo sempre al traguardo mettere la prua leggermente più avanti.
Per andare – comunque – a vincere.