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Se si vuole trovare un vero e proprio spartiacque tra il regno della velocità antico e moderno, probabilmente occorre tornare indietro ad un’epoca in cui gli atleti statunitensi erano preparati in maniera migliore rispetto a quelli di altre nazioni, la Jamaica stava covando i suoi primi gioielli che esplosero in seguito e, infine, la dinastia tradizionale cominciava a segnare il passo.

I 100 metri piani: la regina delle regine

Nel momento un cui, invece, vogliamo dare la palma alla gara più seguita dell’Atletica Leggera, il pensiero va subito alla competizione dei 100 metri piani.

Chiudendo ancora di più il cerchio, invece, alle Olimpiadi la disciplina più tradizionale è sicuramente quella dell’Atletica Leggera, d’altronde, laddove tutto iniziò, ad Atene, alcuni degli sport più praticati resistono ancora oggi, seppur con qualche ovvia variazione.

Non si va molto lontani, quindi, se ci riferiamo ai 100 metri come la regina delle regine e, proprio in riferimento al momento d’oro della velocità statunitense, non si può non fare riferimento ad uno sei suoi esponenti più conosciuti, Carl Lewis.

Carl Lewis, un giovane Il Superman in pista

La storia di Carl Lewis alle Olimpiadi comincia con un episodio che potremmo definire come una falsa partenza.

I primi Giochi ai quali lo statunitense avrebbe potuto partecipare, sarebbero stati quelli di Mosca del 1980, ma la situazione politica dell’epoca, durante la quale la Guerra Fredda influenzava buona parte delle decisioni del blocco occidentale e di quello orientale, non gli permise di volare nell’allora Unione Sovietica e provare a conquistare le sue prime medaglie.

Il suo nome completo è Frederick Carlton Lewis e la sua città di nascita è Birmingham, da non confondere con quella ben più famosa del Regno Unito, ma altrettanto importante per via del fatto che essa è la più popolata tra le città dell’Alabama.

Carl Lewis è nato il primo luglio del 1961 e le cronache degli anni immediatamente successivi a quella data, ne fecero una specie di giovane promessa del salto in lungo, specialità nella quale i suoi primi allenatori si resero conto di quanto potesse essere letale la sua esplosività in pedana e di quanto potesse essere utilizzata nelle gare di velocità.

Lewis si trasferì insieme alla famiglia nel New Jersey, dove cominciò a mettersi in mostra fin da ragazzino e, dopo il diploma conseguito alla Willingboro High School, Lewis si iscrisse all’Università di Houston, dove cominciò ad affinare la sua tecnica poco dopo aver compiuto i 18 anni.

La partenza il cruccio, l’esplosività il pregio

Nonostante una partenza da mettere sotto il torchio degli allenatori e dei suoi allenamenti, Carl Lewis fu presto “traslocato” alle discipline di velocità, 100 e 200 metri, anche se il suo primo amore per il salto in lungo non fu mai abbandonato.

Anche se negli ultimi decenni si è pensato a costruire gli atleti con caratteristiche che evitano la multi disciplina, all’epoca non erano pochi i casi in cui nel salto in lungo e nelle gare veloci, emergevano gli stessi atleti.

Dopo la delusione del 1980, Lewis non si perse d’animo e cominciò a macinare risultati clamorosi fin dal 1981 e, due anni più tardi, iniziarono ad arrivare i successi ai campionati del mondo di Helsinki, dove furono tre le medaglie d’oro per l’ormai da tutti considerato “Il figlio del vento”, 100 metri, staffetta 4×100 e salto in lungo.

Le due Olimpiadi di casa

Il passo successivo fu dunque l’approdo ai Giochi Olimpici di Los Angeles dove nessun boicottaggio gli avrebbe precluso la partecipazione.

In quell’occasione Carl Lewis fece il cannibale, aggiungendo ai tre ori dei mondiali finlandesi, quello dei 200 metri piani, mettendo al collo 4 medaglie olimpiche del valore più pregiato.

Nelle tre successive Olimpiadi alle quali partecipò, 1988 a Seoul, 1992 a Barcellona e 1996 ad Atlanta, Lewis vinse 9 medaglie d’oro complessive, tra cui l’ultima, quella leggendaria nel salto in lungo del 1996.

L’ultima manifestazione ufficiale alla quale prese parte il leggendario velocista americano, fu quella di Berlino, al Gran Prix del 26 agosto del 1997.

L’arroganza al potere

Spostandoci dall’interno degli stadi gremiti di spettatori che pagavano il biglietto solo per lui, per capire meglio il personaggio, di Carl Lewis se ne sono dette di cotte e di crude.

Durante il corso di tutta la sua carriera, Lewis ha avuto sempre un rapporto di amore e odio con la stampa, con i suoi allenatori, perfino, a più riprese, con i suoi tifosi.

Non sono in pochi ad averlo considerato come uno dei campioni più arroganti e antipatici della storia, tanto che molti giornalisti dell’epoca ne riportarono un atteggiamento che andava ben al di là dello spirito olimpico, atto, semmai, a conseguire maggiore presenza personale e, di conseguenza, arricchimento in termini prettamente economici.

Inoltre era un campione che non le mandava a dire quando si trattava di doping e aiutini più o meno furbi.

La querelle con il velocista Ben Johnson, è rimasta storica, soprattutto all’indomani della scoperta dell’uso di steroidi da parte di quest’ultimo ai giochi di Seoul, quando prima centrò l’oro battendo proprio Carl Lewis e poi venne squalificati da CIO per essere risultato positivo alle analisi.

Il problema è che a carriera chiusa, anche Carl Lewis dovette ammettere di essere ricorso a qualche aiuto di origine non proprio lecita nel 1988 e questo tipo di ammissione cambiò radicalmente la percezione di atleta pulito che si aveva di lui.

Il tutto corroborato dal fatto che lui stesso non sembrò per nulla pentito, cosa che i suoi tifosi, ancora oggi, non gli perdonano.