Per chi nasceva a Venezia intorno alla fine degli anni ’90, lo sport legittimamente riconosciuto era il calcio. Mettiamoci pure il rugby, per non far torto alla palla ovale. Certamente, non possiamo inserire la scherma.
Ma il 4 marzo del 1997, proprio all’ombra del Leone di San Marco, nasceva una stella del fioretto: Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio, per tutti Bebe.
Voglia di competere
La scherma è solo l’ultimo delle migliaia di sport che Beatrice pratica fin da giovanissima. Fin da quando, cioè, è in grado di comprendere cosa significhi in italiano «vittoria» e «sconfitta».
Bebe non lo ha mai nascosto: l’aspetto agonistico dello sport è per lei fondamentale, fin da piccola. È il limite sottile e tagliente che passa tra l’oro e l’argento a significare per lei tutto. Non c’è sport senza il riconoscimento di questo limite. Varcarlo significa accettarlo, e accettarlo significa entrare in un’altra dimensione.
A quattro anni Beatrice inizia la ginnastica artista, in compagnia di un’amica. Ma quando a fine anno chiede spaesata alla mamma perché non ci sia alcuna gara per certificare il proprio talento, butta a terra i panni della ginnasta, e cerca subito uno sport che preveda un incontro decisivo.
Ancora non sa che è troppo piccola perché, in quasi tutti gli sport, questo possa verificarsi. Fatto sta che, tra le risate affettuose dei genitori, Bebe inizia la pallavolo. Qui le partite, gioco forza, ci sono sempre, anche quando si tratta di puri e semplici allenamenti. Beatrice di pallavolo ne sa poco e nulla. A dirla tutta, nemmeno le piace troppo, questo sport. Ma è uno sport che prevede la sconfitta e la vittoria. Prevede un test che stabilisca il limite tra vincitori e sconfitti. Vinta qualche partita, capisce che quella non è la sua strada. Ma è proprio su quella strada, che avviene l’incontro per lei decisivo.
Beatrice sta lasciando di corsa la palestra a fine allenamento, quando entra accidentalmente nella palestra di Andrea Cipressa e qui incontra il maestro Gastone Gal.
Sarà il suo primo e più grande insegnante di scherma in assoluto. Gastone guarda la ragazza, che ha due occhi grandi come la speranza, e le pupille piccole come quelle dei vincenti. Bebe vede l’oggetto con cura maneggiato da Gastone non con semplice curiosità, ma quasi con trepidante attesa.
È un’autentica rivelazione. Come il brigante vede il crocifisso per la prima volta, e già è santo, così Vio vede la spada, e vede in quella spada il riflesso della sua gloria futura.
La battaglia più grande
La rivelazione, comunque, si accompagna sempre ad una conoscenza – anche minima, anche casuale – che viene dal passato. Bebe il combattimento ha imparato a conoscerlo con gli scout, ma la vera battaglia purtroppo per lei non è ancora arrivata.
Cade per l’esattezza il 19 novembre del 2008, e durerà per 104 giorni. Una guerra tra la vita e la morte, provocata da una meningite fulminante da meningococco C. Una malattia devastante, che ha i sintomi iniziali dell’influenza, e quelli successivi della leucemia.
Beatrice viene ricoverata d’urgenza il 20 novembre del 2008 all’ospedale di Padova. Per una settimana cadrà in coma farmacologico, per quarantadue giorni il luogo della battaglia sarà quello della camera iperbarica.
Seguiranno settimane di terapia intensiva, intervallata da numerosi interventi, tra trapianti, medicazioni e amputazioni. Soprattutto amputazioni. Quando i medici si rendono conto della gravità delle condizioni di Vio, che perde sangue a causa di alcune emorragie interne, sono costretti a recidere gli arti superiori e inferiori della ragazza, che perderà in un solo colpo le due braccia e le due gambe.
La vita sembra avergli voltato le spalle, ma Bebe è ancora viva. E questo è il primo grande miracolo che la riguarda.
Il secondo non dista di molto nel tempo – appena sei anni. Arriviamoci per gradi.
Nel 2010 i genitori creano l’Art4sport, una ONLUS che aiuta i bambini portatori di protesi di arto a integrarsi nella società attraverso lo sport. All’epoca, Vio si muove ancora sulla sedia a rotelle.
Ma la sua mente è focalizzata già sul futuro insieme alle protesi. Non simboli di un tempo triste, ma compagne fedeli nella rinascita gloriosa. E quasi per tutti inaspettata.
La sua determinazione è sensazionale. Ancora in assenza di protesi adatte, Bebe si allena con il fioretto fissato al braccio con un nastro adesivo. Va a Bologna, Roma, Padova, con due dei più noti allenatori di scherma, il polacco Ryszard Zub e l’italiano Fabio Giovannini.
Mentalità vincente
Le due allenatrici che la seguivano da prima della malattia, Federica Berton e Alice Esposito, continuano a stimolarla quasi quotidianamente anche dopo l’intervento, aiutando la piccola schermitrice all’adattamento della palestra di Mogliano Veneto. Avute finalmente le protesi adatte, Vio diventa la prima atleta in Europa ad avere il braccio armato protesizzato. Una difficoltà che non va certo spiegata, ma alla quale Bebe non si è mai piegata. Al contrario.
Quando era stata costretta a lasciare a causa della malattia, Beatrice si trovata al numero cinque del ranking italiano giovanile. Quando torna è lontana da questa posizione, ma è determinata più che mai a riprendersela. Impara ad usare le protesi di gambe e braccia al Centro Protesi di Budrio, dove a seguirla da vicina c’è anche Melissa Milani, Comitato Paralimpico Italiano.
Bebe vuole gareggiare con i “normali”, e il lavoro più importante che va fatto adesso con lei è quello di farle capire che la normalità non esiste. Che anzi l’eccezione è la vera chiave di volta nella vita di una persona. Anche nella sua. Soprattutto nella sua. Carrozzina, guanto sulla protesi, fioretto di plastica con scotch sul guanto. Sei incontri di fila, braccio insanguinato, e felicità alle stelle. «Ho avuto il secondo colpo di fulmine. È peggio del primo».
Il motivo è semplice: «nella scherma in piedi, quando sei in difficoltà, o non sai che pesci pigliare, puoi indietreggiare. In carrozzina non puoi fuggire. Sei bloccato, la distanza fra te e l’avversario è fissa. Quindi, la morale è: se non puoi scappare, non puoi avere paura».
La mentalità non manca a questa ragazza. No signore. Eppure, sorge un problema. Fabio Giovannini, coach della Nazionale paralimpica di scherma, risponde a Melissa Milani, che aveva seguito Beatrice e aveva chiesto a Fabio di farla entrare in squadra: «è impossibile», perché tirare di scherma senza pollice, indice e medio, oltre al polso, non si può fare. Non è un’opinione. Ma l’amore è più grande della matematica. E dove la matematica dichiara l’impossibile, l’amore comincia la sua marcia irrefrenabile.
Grazie a Melissa, l’arte ortopedica di Budrio e papà Ruggero, Bebe Vio può gareggiare. Non era mai successo nella storia. Nel 2010 Beatrice partecipa ai primi Campionati italiani assoluti a Foggia, chiudendo al secondo posto dietro Loredana Trigilia.
A settembre inizia la sua prima stagione agonistica, che culmina con una medaglia d’oro ai Campionati italiani assoluti di Livorno 2011. Dopo qualche mese, vince i Mondiali u-18 di Varsavia, stagliandosi sul palcoscenico internazionale come la stella del futuro – se non del presente.
Seguiranno altri memorabili successi, prima dell’indimenticabile finale a Rio de Janeiro, alle Paralimpiadi del 2016. Dopo aver vinto il girone con estrema facilità, Bebe Vio stupisce tutti vincendo 15-6 contro la polacca Marta Makowska e in semifinale 15-1 (sic!) contro una delle favorite alla medaglia d’oro, la cinese Yao Fang.
Un’altra cinese la aspetta in finale. Dove Bebe Vio trionfa definitivamente: 15-7, a Jingjing Zhou, 29enne, non rimane che assistere passivamente a quel fuoco vivente.
È oro. È per lei la seconda medaglia dopo il bronzo della gara a squadre, quando Bebe Vio rimonta la squadra cinese battendo Yu 45-44 – prima dell’ingresso della Vio, eravamo 38-40 per le cinesi. Altro giro, altro trionfo.