Compie oggi 33 anni il playmaker dei Golden State Warriors, destinato a diventare il più grande specialista del tiro da tre nella storia del basket.
2.665, questo è il numero di triple messe a segno da Steph Curry nel momento in cui scriviamo, numero che è destinato, ovviamente, a salire ancora. È al secondo posto nella classifica di tutti i tempi per triple messe a segno nell’Nba, solo Ray Allen davanti a lui, a quota 2.973. Ma anche lo stesso Allen lo sa, è solo questione di tempo. Curry è destinato a raggiungere il primo posto in questa classifica, dopotutto la sua straordinaria capacità dalla distanza non solo gli è valsa l’elogio e l’endorsement dei colleghi, ma anche cambiato il gioco del basket, con le percentuali di triple tentate dalle varie squadre salite vertiginosamente negli ultimi anni, dopo aver assistito al dominio totale della franchigia di San Francisco, trascinata dalle bombe di Curry. Il nativo di Akron ha definito un’epoca, i suoi scontri con Lebron James saranno ricordati come quelli tra Magic Johnson e Larry Bird in un futuro non troppo lontano. Dicevamo di Lebron e di Akron, sembra incredibile, ma è proprio in questa sconosciuta città dell’Ohio (e anche nello stesso ospedale), che sono nati i due fenomeni, a distanza di quattro anni l’uno dall’altro. La coincidenza è presto spiegata: il padre Wardell Stephen Curry, stesso nome del figlio, gioca ai Cleveland Cavaliers in quel periodo della sua carriera Nba, prima di trasferirsi lo stesso anno nei neonati Charlotte Hornets, con cui gioca per dieci stagioni. Di fatto il piccolo Steph cresce quindi nel Nord Carolina, e la sua strada è già scritta, dopotutto anche mamma Sonya e il fratello di due anni più piccolo Seth hanno il basket nel sangue. Le sue prestazioni a livello di punti sono decisamente importanti sia negli anni delle high school che in quelli del college, frequentato a Davidson, eppure Curry non è uno dei nomi in cima alle liste degli addetti ai lavori. Permane qualche dubbio sulla sua fisicità, che non lo rendono uno dei nomi di punta del Draft del 2009, in cui si rende eleggibile. I Golden State Warriors scommettono su di lui, chiamandolo con la settima scelta. Non lo sanno ancora, ma stanno per cambiare la storia della franchigia e del basket intero.
Bisogna aspettare qualche anno per vedere sviluppare il talento di Curry. Nelle prime stagioni si intuiscono le potenzialità, ma non pare poter diventare il fenomeno che è ora. Nel 2011 giunge in squadra Klay Thompson, con cui formerà i temibili “Splash Brothers”, ma è un anno in cui Steph salta più di metà stagione per infortunio. Inizia ad imporsi nel 2013, quando raggiunge una media di 22,9 punti a partita e riporta i Warriors ai play-off dopo un’assenza che durava dal 2007. Il 2014 è l’anno della svolta, da qui infatti Golden State raggiungerà l’adeguata maturità cestistica per puntare al titolo ogni anno. Con Kerr in panchina e gli Splash Brothers a bombardare il canestro in campo, i Warriors iniziano una magnifica cavalcata che li porta a rivincere il titolo Nba 40 anni dopo l’ultima volta, grazie alla vittoria nella serie finale contro i Cavaliers di Lebron James. Curry viene indicato come Mvp della regular season, e da lì non si ferma più. Bissa il titolo nel 2016, anno in cui è anche il miglior marcatore della lega con 30 punti di media, in una squadra storica, capace di vincere 73 partite su 82, battendo il record dei Bulls di Jordan. Il titolo andrà a Cleveland, nella storica serie rimontata da 1-3 a 4-3, ma con l’arrivo nella stessa estate di Kevin Durant il team di San Francisco riprenderà saldamente in mano la situazione, andando a vincere nettamente le Finals del 2017 e 2018, sempre contro i Cavaliers, battuti 8 volte su 9 incontri complessivi. Curry nel frattempo macina record su record dalla lunga distanza, dove realizza con facilità disarmante anche da distanze impensabili. Arriva a realizzare almeno una tripla per 157 partite di fila, ne mette 13 in un solo incontro, fissando un record poi superato da Thompson. Anche quest’anno è tornato ai suoi livelli, dopo una stagione terribile per Golden State, fuori dai play-off e con un record altamente negativo a causa della partenza di Durant e dell’assenza dello stesso Curry, solo 5 partite giocate l’anno scorso per infortunio. Trust, commitment, care: fiducia, impegno e cura sono le parole tatuate da Steph sul suo corpo, a indicare ciò che lo ha reso uno dei più grandi di sempre.